venerdì 8 febbraio 2013

SCRIVERE A CALDO

È meglio scrivere a caldo, a costo di dover rivedere le proprie opinioni, approfondirle, riformularle, sì, a caldo, perché se ci si pensa sopra troppo, si finisce con lo smussare gli angoli per educazione, per correttezza, per rispetto e, sicuramente, in molti casi, per giustezza, ma gli angoli è meglio vederli, se ci sono. Scrivere a caldo, quando il sangue ribolle e la mente erutta pensieri. Su certi argomenti non si può andare per il sottile, bisogna avere il coraggio di chiamare le cose con il loro proprio nome, esporre i fatti con chiarezza, quella cosa che nulla ha a che spartire con la morbosità. Con la dovizia di particolari inutili. Di cui abbondiamo oggi come novello detrito da differenziare. Dalla cronaca alla politica, dalle scienze al costume, dall’economia internazionale alle guerre, di tutto viene fornita un’analisi impura e corrotta dalla volontà criminale di trasformare i fatti nella somma dei particolari che li compongono. Un mucchio di osservazioni che non dicono nulla, che non spiegano, che non collegano, che fanno smarrire nel particolare, che fanno perdere la visione d’insieme. Distratti da miliardi di imput quotidiani, da news a ritmo serrato, da avvenimenti minori trasformati in prime pagine e accadimenti epocali ridotti a notizie Ansa, dove lo andiamo a ritrovare un equilibrio? C’è ancora un qualche ottico pazzo che costruisce occhiali per imparare di nuovo a vedere? La chiarezza è un’altra cosa. È sicuramente più vicina alla passione di voler andare a capire come stanno veramente le cose, alla volontà di indagine e di denuncia, il dire ciò che si vede, che si è visto, che si sa, con il proposito di rendere questo mondo un posto migliore. 
E se qualcuno se la prende perché non si è tenuto conto anche del suo punto di vista, della sua posizione, evvabbè, per una volta si faccia da parte, se tenerne conto può fuorviare dal nocciolo del discorso, se può rallentare la risoluzione del problema. Ugualmente facciano coloro che si turbano e indignano al doversi confrontare con tematiche troppo scabrose, quelle che, una volta che sai, non puoi mica far finta di niente e se, invece, fai finta, poi non stai tanto bene con te stesso, sempre che non si sia già irrimediabilmente obnubilati. Ho trenta righe a disposizione per scrivere di qualcosa e se quel qualcosa è importante non posso metterci dentro tutto quello che sta a lato, per quanto inscindibile: sto parlando di una cosa, di quella cosa, di quelle persone, non di altre, non di tutte. Tutto il resto c’è, lo sappiamo ma ora concentriamoci sul punto che si sta trattando e lasciamo da parte considerazioni di stile e di metodo. Io voglio semplicemente dire che non è più tempo di stare a offendersi, ma è tempo di fare qualcosa. Non fa bene alla salute, è certo, ma se mentre prendo il caffè leggo che è il mondo della finanza a dettar legge, se leggo che qualcuno si vende un pezzo di corpo per sfamarsi e qualcun altro glielo compra, se leggo che sul web un mucchio di ragazzine si sditalinano tra libri e peluches per pagarsi ricariche e cosmetici, non sento la mia sensibilità offesa, ma la mia dignità. E la dignità e l’intelligenza dell’intero genere umano. E mi sento anche in colpa. Perché ognuno con la propria disattenzione, con i propri improrogabili impegni, è complice. Per cui scrivo a caldo, per non correre il rischio di tacere quello che chiede voce da dentro l’anima. 

1999 

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