Da bambina pensavo che sarebbe bastato un cassetto. Una scatola. Un anello. Un anello magico che avrebbe contenuto tutto quanto mi era caro o mi potesse servire. Credevo che dentro a uno spazio ristretto, avrei potuto custodire tutto ciò di cui avrei avuto bisogno per vivere.
Ora sono in uno spazio angusto, una sorta di rientranza buia dietro a una libreria: ci sono scatole piene di cose, un aspirapolvere, un asse da stiro, scarpe, e tutte quelle cose utili che si tengono nascoste, non visibili. Sono qua e ci sto bene. Accucciata a scribacchiare. Potrei starci a lungo. Sarebbe sufficiente sostituire il contenuto delle scatole con qualche cambio d’abito, una torcia, viveri, cosmetici, acqua, un cuscino e una coperta. Come quando facevo la capanna. Per sopravvivere, per riposare, per dare a se stessi un aspetto presentabile sono sufficienti un paio di metri quadri. Uno spazio vitale che sia solo nostro. Per questo, credo, possiamo vivere così come viviamo. In spazi ben più angusti. Di quel gioco della capanna, però, abbiamo smarrito lo spirito: non si tratta più di un avventuroso punto di partenza, ma di un misero punto d’arrivo.
2010
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