lunedì 11 febbraio 2013

DARK POOL

Tra gli spazi che non vediamo perché non siamo ancora capaci di considerarli tali, uno ha attirato la mia curiosità: la piscina nera. O dark pool. I dark pool sono esecuzioni di transazioni relative a blocchi di azioni, a prezzi vantaggiosi e con ripercussioni minime sul mercato, che avvengono fuori dal libro pubblico degli ordini. Prendendo per buone le ripercussioni minime, resta la questione della trasparenza. Ci assicurano che la tracciabilità è possibile a transazione avvenuta nella maggior parte dei casi, ma cosa vuol dire la maggior parte? E in tutti gli altri casi? E, visto che tutto può avvenire in modo tanto occulto con estrema facilità, chi glielo fa fare di dire poi come sono andate veramente le cose? Che percentuale sul totale delle transazioni ricoprono le movimentazioni dark pool? Chi le effettua e perché? O meglio, il perché è intuibile, ma i governi e la società civile non hanno la possibilità di monitorare, giudicare e quindi influenzare tali operazioni che insieme ai capitali spostano risorse, potere ed equilibri politici. Inoltre quanto sono attendibili i dati ufficiali su PIL, crescita economica e quant’altro? I dark pool sono messi nel conto? E se no, allora tutto quello che ci viene detto, tutte le previsioni, le scelte economiche e politiche non dovrebbero forse essere riconsiderate? 

Credo fermamente che oggi sia doveroso per ognuno di noi imporsi di superare la barriera di un linguaggio per addetti ai lavori e cercare di comprendere i meccanismi economici e finanziari, le ideologie sottese ad essi e, soprattutto, imparare a cogliere i collegamenti. E tenere a mente che questo spazio sconfinato in cui crediamo di vivere sta tutto sul cartone del Risiko.

 novembre 2009 

Per restare in tema. Nuovi strumenti finanziari sviluppatesi nella seconda metà degli anni ’90, ma applicati su base mondiale a partire dal 2000, i cosiddetti derivati, hanno avuto un obiettivo preciso: consentire ai crediti bancari, nella tradizione non liquidi, di trasformarsi in attivi negoziabili Si chiama cartolarizzazione dei crediti (dai mutui ipotecari, ai crediti alle imprese, prestiti al consumo, scoperti delle carte di credito, ecc.) che così possono essere acquistati da fondi pensione, compagnie di assicurazioni, grandi imprese, Stati, enti locali, ecc. Otteniamo così titoli costruiti su ipoteche (MBS – Mortgage-Backed Security), titoli garantiti da crediti (CDO – Colletarised Debt Obbligations) mescolati ad altri strumenti finanziari . E, infine, il CDS (Credit Default Swaps) e cioè un contratto il cui oggetto è rappresentato dalla protezione rispetto al rischio: l’acquirente si mette al riparo dal default di un certo titolo, corrispondendo al venditore che si impegna a risarcirlo di un’eventuale perdita, un versamento periodico. A partire dall’anno 2000, il valore dei derivati, che nel decennio precedente era quasi irrilevante, è andato crescendo in modo esponenziale, superando il valore totale del mercato azionario e finanche il valore dell’intero Pil mondiale, fino a raggiungere nel 2011 ( rilevamento della BRI – Banca delle Regolamenti Internazionali), pare, i 700 trilioni di dollari, dieci volte il Pil mondiale e la metà di tale importo è in mano a 5 istituti bancari statunitensi. 
Quello che pare è che la finanza sia un mercato dei debiti nascosti da algoritmi complessi che vengono acquistati in ultimo da persone non competenti, tra cui amministratori pubblici (con soldi pubblici) e privati cittadini. Si mescolano i debiti e li si rivendono con l’aiuto delle agenzie di rating. Ma quanto valgono questi prodotti, se valgono qualcosa? Quanto denaro c’è veramente nelle casse delle banche? E se, come si diceva, gli asset di alcune diventano via via superiori al Pil dei rispettivi Paesi di appartenenza, e non possono fallire(!), è ora, forse, di ripristinare la differenza tra banche commerciali e banche finanziarie, o di separare nettamente all’interno di ogni istituto bancario le due funzioni, sostenendo i principi base della proposta di un ex presidente della Federal Reserve, Paul Volcker negli Usa, e delle analoghe proposte di John Vickers in Inghilterra e del finlandese Erkki Liikanen in Europa*, di impedire poi che avvengano operazioni fuori bilancio, di chiudere i mercati ai derivati, di definire rigidamente i tassi di credito. 
Di opporsi al malcostume di privatizzare i profitti e socializzare le perdite. 
Di avere il coraggio di dare uno scrollone al tavolo e far crollare il castello di carte! 

* peccato che undici sui dodici membri del gruppo di lavoro, che ha trasmesso il rapporto alla Commissione Europea a ottobre 2012, fossero dirigenti di istituzioni finanziarie.

(settembre 2012) 

Il fottuto problema è che il denaro da mezzo di scambio è divenuto esso stesso merce. E noi dall’essere una società che possiede un’economia di mercato siamo divenuti una società di mercato. 

Esperti del settore, annunciando una sicura ripresa a partire dal 2013, ci invitano a investire nuovamente risparmi in azioni (settori energetico, farmaceutico e tecnologico), in Exchange Traded Found, e quant’altro. E noi, con le nostre magagne, perché non dovremmo crederci? Dopo un Natale così di musi lunghi e cupi, perché non credere in una Nuova Era che riproponga gli stessi rassicuranti ideali di benessere che ci hanno accompagnati fin qui? I recenti risultati politici giapponesi insegnano: le preoccupazioni economiche sono risultate ben più forti di tutte le altre. Resta refrattaria all’immaginazione l’idea che tali ideali di benessere (concreto) si possano conseguire più avvedutamente. 


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