domenica 26 febbraio 2017

LE BATTUTE MEMORABILI DI FEYNMAN

Mi sono comprata un gran bel libro. Lo affermo prima ancora di averlo letto. Innanzitutto è un’edizione Adelphi, una delle mie preferite quanto a eleganza, poi la copertina è in uno dei colori che prediligo. Si tratta de “Le battute memorabili di Richard Feynman”.
Tornando verso casa l’ho sfogliato a caso, leggendo qua e là e ho deciso di riportare qui di seguito alcuni brani che ben esprimono qualcosa che ho sempre sentito nell’intimo e che ho sempre avuto difficoltà nel comunicare.
Sicuramente nel corso della lettura troverò altri spunti che vorrò condividere ma intanto riporto i tre brani che ho trovato e che un po' dicono quella che è la mia fede. Fede intesa come necessità di un senso dell’esistenza. Qualcosa che ha a che fare con lo stupore e la meraviglia. Con l’accettazione serena della finitezza delle nostre singole vite.

“Ho un amico artista, il quale talvolta ha punti di vista che mi trovano in disaccordo. Per esempio prende un fiore e dice:«Guarda com’è bello», e su questo sono d’accordo. Ma poi dice: «Io, da artista, vedo quant’è bello un fiore, ma tu, da scienziato, lo dissezioni, rendendolo insulso.». secondo me gli manca qualche rotella. Prima di tutto, la bellezza che vede lui è visibile anche agli altri – me compreso, penso. Anche se non sono esteticamente raffinato come lui, sono in grado di apprezzare la bellezza di un fiore. Ma allo stesso tempo vedo molto più di lui, in quel fiore. La bellezza non è solo quella che vediamo alle dimensioni di un centimetro, c’è anche su scala più piccola. Ci sono le azioni complicate delle cellule, e altri processi biochimici. Il fatto che i colori del fiore si sono evoluti in modo da attrarre gli insetti è interessante: significa che gli insetti vedono i colori. E questo fa sorgere un’altra domanda: il senso estetico che abbiamo noi esiste anche in forme di vita inferiori? Ci sono insomma domande interessanti di ogni tipo, che vengono dalla consapevolezza scientifica, e questo non fa che aumentare l’emozione, il senso di mistero e di riverenza che si provano davanti a un fiore. È qualcosa in più, non capisco come possa essere considerato qualcosa in meno.”

“La cosa migliore è rilassarsi e godersi lo spettacolo della nostra piccolezza in rapporto all’enormità del resto dell’universo. Naturalmente se lo si dovesse trovare deprimente, si può sempre ribaltare la prospettiva e considerare quanto siamo grandi rispetto agli atomi, o alle particelle subatomiche, al cui confronto siamo enormi universi. Oppure si può rimanere nel mezzo e bearsi di entrambi i punti di vista.”


“Penso che sia molto più interessante vivere senza sapere piuttosto che avere risposte che potrebbero essere sbagliate. Io possiedo risposte approssimative, fedi possibili e gradi diversi di certezza su vari argomenti ma non c’è niente di cui sia assolutamente sicuro e vi sono molte cose di cui non so nulla, se per esempio abbia senso domandarsi perché siamo qui, che cosa significhi una tale domanda… Non sento la necessità di avere una risposta, non mi spaventa il fatto di non sapere le cose, di essere perso in un universo misterioso, senza avere alcuno scopo – che poi è il modo in cui stanno le cose, per quello che ne so.”

sabato 25 febbraio 2017

LE FOTOGRAFIE DI ALEKSEY KONDRATYEV

Vi mando al link del sito del fotografo Aleksey Kondratyev. Le sue foto di anziani pescatori sulle rive ghiacciate del fiume Ishim, a nord della capitale kazaka, sono molto belle. Ritratti all'interno di sacchi di plastica per ripararsi dal freddo, questi uomini raccontano una tradizione e una necessità di sopravvivenza.


http://alekseykondratyev.com/icefishers.html

Sono élite e me ne vanto

Vorrei condividere con voi un articolo che offre alcuni provocatori spunti di riflessione.


Sono élite e me ne vanto  di Flavia Gasperetti

L’élite è il nemico. Intellettuale, salottiera, radical-chic, fighetta. Lo dicono tutti. Se la Gran Bretagna è uscita dall’Europa, se Trump è presidente degli Stati Uniti, se i grillini spopolano da noi e così via, è tutta colpa di questo insidioso nemico. Ecco, ho inevitabilmente pensato leggendo un articolo qualche giorno fa: quel nemico sono io. Quanto a te, caro lettore, se hai tra le mani questo giornale, ci sono buone probabilità che lo sia anche tu.
L’articolo in questione è di Eliane Glaser, uscito il 2 febbraio scorso sull’Independent, e inizia così: «In quanto accademica londinese di inclinazione progressista, faccio parte del nemico della nostra epoca: l’élite liberale e metropolitana». Si tratta di un’energica chiamata alle armi contro coloro che hanno sostituito alla lotta di classe la lotta contro le accademie culturali, alle battaglie contro le diseguaglianze l’odio contro ogni forma di intellettualismo, alle battaglie delle minoranze la guerra alle minoranze.
Eliane Glaser ce l’ha con coloro che più hanno da guadagnare da questo cambio delle carte in tavola. Ce l’ha con Trump e quello che lei chiama l’oligopolio filisteo, ma è inevitabile vederci un’accusa più ampia che ha a che vedere con il clima ideologico che sostiene questi oligopoli: i nuovi populismi e la loro scomunica sistematica di tutto ciò che il loro nemico aveva di più caro: competenze rigorose, idee complesse, buon governo, giornalismo condotto con scrupolo e dotato di risorse adeguate.
Per i populisti di oggi, indubbiamente, Eliane Glaser è il nemico. E, ancora una volta, lo siamo anche noi. E dopo la Brexit e Trump, sappiamo che noialtri nemici italiani possiamo dire di essere avanti: grazie a un ventennio apripista passato a staccarci di dosso le penne e la pece, quando alla fine siamo stati derubricati da membri dell’establishment comunista e forcaiolo a servi della Kasta, non abbiamo fatto una grinza.
Non è stato difficile, diciamoci la verità, farci mettere all’angolo. Inclusiva per vocazione, l’élite progressista è probabilmente l’unica élite della storia umana che vive la sua condizione di elitarietà come una sconfitta, si vergogna, e dal momento che si vergogna spreca tutto l’arsenale analitico di cui dispone grazie a solidi studi sparandosi nei piedi, in un esercizio di perenne e distruttiva autocritica. È possibile un’altra via? È possibile non sentirsi insultati quando qualcuno ti chiama élite, borghese, radical-chic? Tu con il tuo pedante politicamente corretto? Tu e la tua ossessione per la raccolta differenziata? È possibile provare… orgoglio?
Me lo chiedo perché, lo ammetto, io stessa passo troppo del mio tempo persa in ruminazioni astiose contro l’élite progressista di casa mia. E la sostanza della mia critica può essere divisa al cinquanta e cinquanta in carrettate di uva acerba – sono una fonte inesauribile di risentimento e invidia sociale verso quanti (decido io, d’imperio) hanno più privilegi di me – e il fastidio provato quando qualcuno dell’élite non si comporta abbastanza da élite, quando non osserva i principi cardine sopra riassunti da Glaser.
Quando tollera nelle sue schiere persone dalle competenze dubbie, quando alle idee complesse preferisce il sentimentalismo e le proprie stanche mitologie, o si arrende a idee meno complesse ma rassicuranti, auto-assolutorie, quando governa per slogan ma protegge lo status quo. Eppure, mentre leggevo l’articolo ho sentito riaffiorare dentro di me l’eco di un’altra protesta esasperata, un altro precedente e altrettanto sentito “nun ce rompete”, quello di Tom Wolfe in difesa della bistrattata borghesia, del ceto medio e tutto ciò che più gli sta a cuore: «Pace, ordine, istruzione, duro lavoro, iniziativa, creatività, cooperazione, occuparsi gli uni degli altri, occuparsi del futuro dei bambini, patriottismo, correttezza e onestà». La borghesia! – pare quasi di sentirlo strepitare – La bestia umana non può essere meglio di così! Che vuoi pretendere di più? Nel bene e nel male, argomentava Wolfe, la borghesia è la forma più alta mai raggiunta dall’evoluzione umana.
E allora non potremmo, argomento invece io, dargli tregua una volta tanto? E invece, il ceto medio progressista è ostaggio della dialettica rispettosa che lui stesso ha creato, chino sotto il peso del proprio senso di colpa secolare verso gli svantaggiati (non importa quanto tu sia nuovo a questa élite, non importa se i tuoi genitori hanno zappato la terra per farti studiare: sei istruito, hai un impiego, sei di sinistra: ecco, sei un borghese, ritira pure il tuo statutario senso colpa alla cassa), è riluttante a dire qualcosa che possa offenderli e questo vale pure quando gli svantaggiati decidono di fare delle epiche, tonanti, cazzate.
Il populismo, dicono i più forbiti, è una risposta democraticamente illiberale a una percepita non democraticità del liberalismo. Può darsi, ma cosa si fa quando questa risposta viene articolata dando fuoco alla casa con tutti dentro, piromani inclusi? Come si dice, rispettosamente, al populista che si sta dando la zappa sui piedi, che sta facendo il bambino?
Il carattere infantile dei populismi odierni l’ha riassunto come meglio non si poteva David Runciman sulla London Review of Books in un pezzo che si intitolava Is this how democracy ends? I leader carismatici intorno ai quali si raccolgono i populisti non sono, come vuole la tradizione, figure di uomo forte, padri autoritari che possano difenderli da ciò che li opprime. «Non può essere vero. Trump è un bambino, il politico più infantile che io abbia mai incontrato», dice Runciman. E non è difficile vedere che questo era vero di Silvio Berlusconi, come lo è oggi di Beppe Grillo.
E chi sono, allora, gli adulti in quest’equazione? Gli adulti che «permettono ai votanti di dare in escandescenze e coalizzarsi col più teppista della classe, certi del fatto che ci saranno sempre i grandi, poi, a rimettere tutto a posto?». Lo Stato, dice Runciman, le istituzioni democratiche. E tutti coloro che si fanno garanti, che si battono per proteggere la salute di queste istituzioni. In poche parole, noi, il nemico. Gli adulti siamo noi, e questo è un pensiero terribile, tutto sommato. Se gli adulti siamo noi, adesso cosa facciamo?

venerdì 10 febbraio 2017

mercoledì 8 febbraio 2017

TRUMP E L'EFFETTO SERRA

Ma com'è che Peter Thiel, cofondatore di PayPal, da un lato sostiene Trump e dall'altro finanzia lo Seastanding Institute per il progetto, promosso dal governo della Polinesia francese, di realizzazione di micro città galleggianti anti effetto serra organizzate all'insegna dell'acquacultura, dell'eolico e del solare? Soffre di disturbi di dissociazione?