mercoledì 13 febbraio 2019

IL DESTINO DELLA PUTTANA



All'angolo del Vico dell'amor perfetto, su piazza delle Vigne a Genova, riconosco Carmela, prostituta da tutta una vita. A neanche un metro un crocicchio di africani. Dall'accento capisco che non sono senegalesi. L'ultima volta che sono stata da queste parti erano senegalesi. Mi avvicino e la chiamo per nome. Si volta e leggo nello sguardo il classico, ti ho già vista ma non so chi sei. Sono un amica di Maurizio, - le dico - mi ha pregato, se ti avessi incontrata, di portarti i suoi saluti. Lei esita qualche secondo poi fa mente locale e mi chiede come sta. Le racconto che sta abbastanza bene e che ha trovato un po' di lavoro dalle parti di Imperia. Tempo addietro aveva lavorato per qualche mese in via San Luca e aveva stretto amicizia con alcune signorine, come le chiama lui. Al mattino faceva colazione in un bar e comprava la colazione per tutte loro. La sera, a termine giornata, passava a salutarle e a scambiare quattro chiacchiere. Carmela sorride e dice che è contenta per lui. Poi mi racconta che la vita è sempre più difficile nei vicoli. Questi - mi confida – sono più pericolosi. Se ho decifrato correttamente il suo racconto in un italiano straniero e biascicato, la maggior parte sono ex bambini soldato. Insensibili e incattiviti. Li guardo. Un paio sono pieni fino agli occhi di droga. Alcuni si fanno i fatti loro, un altro paio ci tiene d'occhio. Mi si stringe il cuore. Non vedo uomini pericolosi. Vedo i figli che quest'umanità imperfetta ha partorito. Tutti gli errori commessi presentano il conto. Se si costruiscono inferni, prima o poi si rischia di trovarcisi impantanati. Sono così vicini e così lontani questi giovani uomini. Con quale linguaggio avvicinarsi? Detesto il tradimento di ciò cui ho creduto per tutta la vita. Il senso di fallimento che provo. La rabbia verso chi è più forte della giustizia. Non quella legale ma quella che determina la giustezza del vivere. Sono io a essere lontana da loro.
Con tutte le difficoltà e la precarietà della mia vita so di essere una privilegiata.
Cosa posso dire a questa donna? Cosa posso raccontarle?
Le prendo la mano tra le mie, la saluto, le auguro di star bene.
Mi allontano e raggiungo l'amica con cui sono con un pensiero che si ripete nella testa. Le scelte, il merito, certo c'entrano ma è solo per caso, solo per l'aver avuto più di fortuna nella vita, che non sono come lei in piedi tra i vicoli in attesa.




La mia amica mi fa una foto fuori dal bar delle Vigne nei pressi del Vico dell'amor perfetto.

NOA



Il ristorante è accogliente, la cucina buona. Con la mia amica ci siamo concesse due giorni di vacanza a Genova, città che lei non conosce. La donna che ci serve al tavolo ha un bel modo di porsi. È cordiale e guarda dritto negli occhi. Dopo il secondo la mia amica mi domanda se intendo mangiare anche il dolce. Sono sazia e rispondo che non potrei mai farcela ad affrontare un boccone in più, inoltre non amo particolarmente i dolci. Giusto a un bûnet non saprei dire di no ma non corro rischi visto che si tratta di un dolce delle Langhe e dubito lo servano in un'osteria di Genova. Quando la donna si avvicina, la mia amica le chiede cosa c'è di dolce e lei inizia l'elenco proprio con il bûnet. Scoppiamo a ridere. Mi tocca ordinarlo. La donna è stupita della nostra ilarità ed esita con aria interrogativa. Le spieghiamo la faccenda e ride anche lei. Si crea un'intimità leggera e piacevole. In quel momento il lavoro è tranquillo, per cui si intrattiene qualche minuto con noi. Ci raccontiamo a vicenda chi siamo. Poche parole, l'essenziale per presentarsi in modo informale. Parliamo anche di lavoro. Lei è egiziana. Vive a Genova da dodici anni. Separata, suo marito era violento, mantiene una figlia di undici anni, che è stata operata al cuore pochi mesi fa. Lavora a chiamata e non guadagna abbastanza per affittare una casa. Può permettersi soltanto una stanza con il bagno in comune. Le domando dov'è sua figlia mentre lei lavora. Mi spiega che esiste l'associazione delle Vigne; volontari che aiutano chi è in difficoltà. Una famiglia di italiani si occupa della ragazzina durante l'orario del lavoro. Poco dopo mezzanotte la va a riprendere e tornano nella loro stanza. Dice che la figlia dovrà subire un altro intervento ed è preoccupata perché è veramente difficile tirare avanti. Lei non ha paura di lavorare. Accetta tutti i lavori regolari che le propongono. Vuole garantirle un avvenire diverso dal proprio. Vuole che studi e che un marito, se lo vorrà, se lo possa scegliere. L'importante è poterla curare. Sono fortunata che qui c'è il Gaslini, conclude. Durante tutto il racconto ha sempre sorriso. Crede nella propria tenacia, e che la vita possa essere migliore. Ha detto tutto lei, cosa aggiungere? Solo rimediare a una dimenticanza iniziale.
Io mi chiamo Barbara, e tu?
Noa, mi chiamo Noa.