mercoledì 30 marzo 2016

NAIROBI CENTRO (da "Foto non fatte" ed. Philobiblon 2004)

In realtà è una foto non fatta più di dieci anni fa, ma è così vivida nella memoria che vale la pena tentare di disegnare con parole quello che ho visto.
Sono scesa dal pulmino che dall'aeroporto mi ha condotto nel cuore di Nairobi, in Moi avenue. Sono scesa nel caldo avvolgente e secco e sono rimasta ferma. Per capacitarmi di quanto avevo già intravisto dai finestrini. Un fiume di gente. Un fiume in piena. Per me che ero al mio primo vero viaggio era sorprendente. Moi* avenue è una via larga e trafficata. Auto di tutti i tipi, taxi, matatu**, camioncini, veicoli che da noi sarebbero buoni per lo sfasciacarrozze, lamiere ammaccate con sotto le ruote e un motore che gira. E gente. Su entrambi i marciapiedi. Che va scorrendo in direzioni opposte con lentezza e senza una meta evidente o apparente. Crocicchi, chioschi, cassette, venditrici di frutti impilati a piramide al suolo, storpi, impiegati, disoccupati vestiti da impiegati, ragazzini, gruppi di Masai scalzi, donne fiere vestite di colorati drappi modellati sul corpo con maestria, venditori, gente, gente, così tanta gente da togliere il fiato.
Sono anch'io sul marciapiedi e avanzo con gli occhi storditi da tanti corpi e le narici pregne. 
Una via dopo l'altra, Nairobi è facile, nel senso che in un paio di giorni il centro lo impari e ci giri. Cammino. Dapprima lentamente, poi accelero l'andatura quel tanto per amalgamami al flusso e diventarne parte. Ora la mia retina percepisce forme e colori, istantanee che scorrono lateralmente a me in un impasto di strisce variopinte: non ci sono volti, occhi sguardi bocche espressioni, solo figure, parti di figure che vanno, brandelli di vocaboli lasciati alle mie orecchie da discorsi ormai oltre. 
Gambe passi braccia gesti mani borse giornali turisti radioline a terra mendicanti offerte insistenti di stanze e safari a te ma se continui a camminare offerte a chi è dopo di te se ha la pelle del tuo stesso colore. Fosforescente.
Scatto continuo. Funzione di scatto continuo. Immagini da proporre in sequenza, fotogrammi rapidi come un film ma senza movimento, passaggi fermati fissati da rivedere in successione, attimi bloccati di umanità che scorre. Scattare a caso velocemente in continuazione per ritrovare anzi per trovare, ché senza la fissità di una foto li avremmo persi, il riso della donna che scherza con l'amica, lo sguardo di quell'uomo che cerca qualcuno allungando il collo, il tipo perso nei propri pensieri il cui braccio nudo finisce dalla mia prospettiva sul giallo fiorito dell'abito di una ragazza di spalle con altre ragazze che guardano jeans su un banchetto dell'usato, le borse che pendono kikoy kyondo*** esposte in vendita, uomini seduti indolenti. Accanto il muro esterno di una macelleria muro insegna disegno naïf dalla vacca al piatto ogni fase in dettaglio variopinto ed esplicito, barberie con sul muro identico sistema pubblicitario teste foggiate tagli di capelli cartelli interdetto l'ingresso ai bianchi birra Tusker coca cola cestini ambulanti pastiglie antimalariche a basso costo acconciature elaborate schiene dritte donne visi fieri africaan cafè vetrine ricoperte di foto di sederi crema antiemorroidi banconibar con inferriate vuoti a rendere la via degli stereo predicatore con chitarra elettrica acqua minerale bottiglie di plastica a scaffali pieni pasta barilla formaggio mono qualità grattacielo hotel Ambassador occhiate torve curiose speranzose decise cordialità movimento continuo aria tersa e asciutta rarefatta sole battente muri mercati coperti commercio commercio commercio vicoli in ombra odorosi spezie spazzatura bambini che frugano quartieriuffici banche souvenir da bancarella boutiques per souvenirs di lusso giraffe zebre etnici soprammobili alberi segati in forma di posate zoomorfe stoffe dipinte da incorniciare o indossare in spiagge nostrane sono stata in africa o riposte dopo l'africa nel cassetto dei ricordi, strade da attraversare poliziotti di quartiere**** professore universitario seduto in un'aiuola spiega il kenya così turistico raccomandabile rassicurante proposta di tour operator che pensano che l’africa dura e pericolosa sia altrove è una bomba a orologeria oppressione censura armamenti accordi con multinazionali extranazionali fame bande controllo svalutazione cento per cento annua e sorride neanche lontanamente crede che la soluzione sia fuori da lui fuori da Nairobi fuori dal Kenya fuori dall'Africa, pensioni a tre stelle due stelle una stella senza stelle corrente elettrica a singhiozzo andirivieni incessante bouganvillee polvere piedi che camminano ovunque da una parte all'altra della città dentro alla città attorno alla città fuori dalla città via dalla città e camminano camminano e tornano da dove sono venuti per ritornare domani, qualcuno in matatu, le code sono strane, file indiane che seguono il percorso delle vie angoli e tutto e la prima volta non capisci queste file ferme e pazienti di persone che serpeggiano di via in via angolo dopo angolo fino alla stazione dei matatu che non è una stazione ma un punto dove il matatu in genere si ferma e un tipo grida nomi in successione e se li capisci e riconosci il nome del posto dove vuoi andare, allora è il tuo matatu e il posto più o meno c’è sempre sono da quindici posti ma in trenta e qualcuno ancora ci si può stare dentro e poi sopra qualcuno si aggiunge, altri che abitano proprio lontano se ne vanno in treno, treno che ferma nel nulla apparente savana piatta e vuota da qualunque lato del treno guardi solo savana qualcuno scende e s'incammina distanze improbabili per standard occidentali treno linea unica Nairobi Mombasa linea coloniale treno coloniale opaca argenteria e sdrucite livree coloniali velocità da paura e se fai tutto il viaggio fino a Mombasa e devi passare la notte in treno uomini con uomini donne con donne se sei turista chiudono un occhio ma devi affittare scompartimento intero quattro posti prima classe. 
Nairobi si svuota la sera prende la densità umana consueta di città del primo mondo, almeno il centro, fuori c'è Korogocho*****, il cuore della città sta attorno alla città, baracche infinite pulsanti mentre il centro là dove ci può scappare un’opportunità di guadagno il giorno ora si riposa ora che viene la notte. Il fiume di gente è defluito restano ancora persone che vagano ma non così tante, almeno non più così visibili, una prostituta da strada si avvicina e sconsiglia di passare da una certa via un po’ buia gentile si avvicina poi si affretta verso un probabile cliente autista di furgone notturno finestrino giù gomito fuori sta alla provocazione lei lo sollecita con movenze frenetiche dei fianchi così eccessive da essere ridicole, più in là troneggia luminosa l’insegna dell’hard rock cafè. Mai stata. Una birra fresca ci sta. Dentro cravatte anelli bracciali d’oro adipe prostitute d’alto bordo champagne scintillio di denti labbra grosse mani che afferrano e prendono bicchieri come ogni cosa nella vita  senso del possesso del potere ostentazione di sorrisi da fottuti pezzi di merda bianchi neri insieme orgia di ricchezza senza effetto sgocciolamento. Niente birra. Non ci sta proprio.


febbraio 1994

Note aggiornate alla data di pubblicazione (2004)

14 – NAIROBI CENTRO
* Daniel arap Moi, presidente del Kenia dal 1978 a fine 2002.

** Matatu, mezzo di trasporto pubblico, furgoncino da dieci, dodici posti su cui vengono imbarcate anche trenta persone con bagagli a mano. Normalmente in pessime condizioni, colpisce l’assonanza del nome con la parola swahili matata che significa problema, confusione, complicazione.

***kikoy kyondo, borsa a cesto rotondo capiente sostenuta da ampio drappo variopinto da portare a tracolla.

**** Poliziotti di quartiere - Il movimento Mungiki, setta neo tradizionalista composta in massima parte dai discendenti dei combattenti Mau Mau massacrati dai colonizzatori britannici, rappresentano un vero e proprio esercito segreto, una delle milizie più potenti tra quelle che controllano la vita quotidiana informale delle 143 bidonvilles che avvolgono in un anello la capitale keniota. In queste zone in cui si concentra il 60% della popolazione urbana, il Mungiki ha privatizzato la legge. Mentre le compagnie di sicurezza del settore commerciale ufficiale si occupano dei quartieri " buoni " della città, il movimento assicura la giustizia di strada sostituendosi alla sicurezza pubblica in disarmo. I membri di questa milizia sono perlopiù diseredati ai quali è stato rifiutato tutto: sono stati respinti dalle scuole e non hanno trovato lavoro e tutto ciò per l'unico motivo che appartengono all'etnia kikuyu. Il governo di Nairobi ha periodicamente vessato i membri del Mungiki  e li ha arrestati e detenuti in carcere. Dal 1991 al 1994, i massacri per motivi etnici perpetrati dal regime del presidente Daniel Arap Moi hanno preso di mira soprattutto i kikuyu, contribuendo a procurare maggior seguito al movimento. Il Mungiki ha iniziato a diffondere un messaggio di speranza, annunciando la Parusia, ovvero la seconda venuta del Cristo in tutta la sua gloria. Il movimento diviene portavoce di un'intera generazione, fa leva sulle rivendicazioni etniche e sociali che lo avvicinano ad altri movimenti che pure si battono contro l'autocratico Moi. Il Mungiki risponde inoltre al mercato della violenza che ha preso possesso dei quartieri irregolari della città e vi si inserisce, intervenendo negli scontri violenti della " guerra degli affitti ", assicurando protezione forzata ai quartieri dove la polizia non mette mai piede, imponendo il racket ad alcune linee di trasporto pubblico, i matatu, che riportano i loro clienti dal centro città verso le bidonvilles. Il Mungiki costituisce una microsocietà di parecchie centinaia di migliaia di membri, con somme considerevoli a disposizione ed è stato, nel 2002, uno dei protagonisti nella battaglia per il potere tra Uhuru Kenyatta e Mwai Kibaki, attuale presidente. Decine di gruppi di vigilanti che controllano i quartieri della capitale keniota si mobilitarono infatti in occasione dello scrutinio presidenziale. Centinaia di giovani alla ricerca di qualsiasi mezzo di sussistenza si uniscono alle gangs al soldo dei politici. Oltre al Mungiki, le milizie più famose sono i Baghdad Boys, gli Jezi La Embakasi e i Vigilantes Luo.

***** La baraccopoli di Korogocho si trova nei pressi di una delle principali discariche di Nairobi (3 milioni di abitanti), la capitale del Kenya. Korogocho si estende per un 1 km e mezzo di lunghezza e per 1 km di larghezza. Korogocho e' uno degli insediamenti informali che si estendono a Nairobi ( 143 bidonvilles a Nairobi). Ci vive una popolazione stimata in almeno centomila persone. Abusivi, che occupano “illegalmente” terreni sia privati che demaniali. La maggioranza dei residenti e' arrivata a Korogocho dopo essere stata cacciata da qualche altro posto della citta'. In quanto “abusivi”, senza alcun titolo di possesso sulla terra che occupano, molti in Korogocho si sentono precari. Non vedono lo “slum” come la loro casa o un posto dove fermarsi per un lungo periodo. In termini pratici, essi sono dei rifugiati nel loro stesso paese. I problemi di Korogocho sono vari e numerosi. A cominciare dall’assenza di servizi igienici, fognature, approvvigionamento d’acqua e corrente elettrica. A Korogocho non esistono strutture amministrative se non ai livelli minimi. E i residenti, in assenza di un governo riconoscibile e autorevole, vivono in balia di ufficiali del governo corrotti e bande di criminali.


brano tratto da "Foto non fatte" edizioni Philobiblon 2004

(tutti i diritti riservati)

martedì 29 marzo 2016

poesia - IL NOME DEL FIORE

 

non ricordo il nome
di quel fiore
è un fiore dritto
in cima ha come stami
blu cobalto
protesi verso l’alto
e tondeggianti in cima
e lungo tutto lo stelo
alterni ha brevi peduncoli
perpendicolari al gambo
con in punta
ognuno un seme
da cadere
non ricordo il nome
l’ho scritto molte volte
ma non lo ricordo
e non ricordo il nome
della figlia di un’amica
che ora è grande ma
la vedo una volta all’anno
la conosco
e non ne ricordo il nome
e quello di un medico
che ho visto tre volte la settimana
per un lungo periodo
e che mi ha aiutata
non lo ricordo
il suo nome
e a volte non ricordo il nome
di un amico che incontro
ogni giorno e ogni giorno
per un po’non ricordo
il nome di qualcuno
qualcuno che conosco
ma ora soprattutto
non ricordo il nome di
quel fiore un nome
che ho scritto tante volte
è un fiore con stami blu cobalto
appena arcuati
e protesi verso l’alto.




maggio 2004


(poesia tratta dalla raccolta "Da Porta Venezia in poi" ed. Philobiblon - 2008)

domenica 27 marzo 2016

ACCORDO MERKEL-DAVUTOGLU SUI PROFUGHI

Ma cosa vuol dire “un siriano accolto per ogni siriano espulso”?

L’accordo della Merkel  e Davutoglu, il primo ministro turco, si basa su questo principio.
Ma è un principio che, innanzitutto, va contro il diritto di richiesta d’asilo su base individuale, perché implica il respingimento in massa dei profughi arrivati in Grecia. Devono tornare in Turchia, primo paese raggiunto uscendo dalla Siria. Sa quasi di deportazione. Ed è probabile che lo diventi.

Un principio che lede il diritto di un individuo di allontanarsi da un luogo se reputa che non gli offra soluzioni o addirittura che possa rivelarsi pericoloso. Insomma lede quel diritto che riteniamo sacrosanto per noi stessi di salvaguardare la nostra incolumità e cercare di stare il meno peggio possibile, spostandoci liberamente in caso di pericolo o di bisogno. Un diritto che riterremmo blasfemo mettere in discussione. Ma non riguarda noi. Così come non è la nostra famiglia a essere smembrata, non sono nostro marito, nostra moglie, nostra figlia, nostro nonno a essere tenuti lontani migliaia di chilometri, o di qui o di là poco importa.

Poi, per ogni profugo ripreso dalla Turchia, l’Europa prenderà in carico una domanda d’asilo.  Questo è quanto. Il tutto a fronte di un tre miliardi di euro concessi dall’Europa, più altri tre richiesti in seconda battuta, e la pretesa da parte del governo turco di sopprimere l’obbligo di visto per entrare in Europa per un ottantina di milioni turchi (i profughi siriani non raggiungono la quindicina di milioni)!

Ma poi proprio in Turchia li dobbiamo mandare?

Il ritiro di Putin dalla Siria, l’intesa con Obama, il consolidamento di Assad, considerazioni di valore a parte, e poi la morsa dell’IS che ogni tanto si allenta perché non ce la fanno a pagare gli stipendi come prima, oggi fanno della Siria una nazione non più pericolosa di quello che potrebbe essere la Turchia a breve, tra attentati di varia matrice, ricondotti quasi tutti metodicamente al partito dei lavoratori del Kurdistan, un governo dittatoriale che calpesta senza pudore i diritti civili, e un’economia non più promettente come fino a pochi anni fa.
Ma la Turchia è attaccata alla Siria ed è grande. È un luogo ideale per creare delle zone di stoccaggio. Che poi non abbia esperienza nelle politiche d’asilo, che oggi la situazione interna sia assai preoccupante, e che sia grande il rischio di creare delle regioni lager, sono aspetti che, eventualmente e come sempre, si considereranno dopo.

Ma io vi chiedo, se vi avanza un’ora prima o poi, dedicatela a cercare più immagini possibili di quest’umanità in cammino, di tutta quest’umanità in cammino, non solo dalla Siria ma da ogni parte del mondo dove si muore. Queste anime arrampicate, impigliate, lacere e sporche, queste anime stanche ma determinate a offrire a se stesse e ai propri cari una possibilità di esistenza.

Guardate chi sono, che età hanno, cosa si portano appresso. Guardate i loro volti, guardate nei loro occhi, osservate le loro mani. Dopo, ma solo dopo, decidete qual è la cosa giusta da fare per potersi definire uomini degni di essere apparsi alla vita.



(tutti i diritti riservati)


venerdì 25 marzo 2016

Poesia


Sono grande, accogliente

e azzurra

come il mio tavolo

obliquo

riverniciato di fretta.

E come lui

mai riportata alla forma

originaria.


  

                            (luglio 98)

poesia tratta da "Annotazioni" ed. Philobiblon 2002

mercoledì 23 marzo 2016

LOCATION PER UNA FIABA

C’era una volta un posto dove le case erano tutte alte alte e strette strette, con una porticina in basso e una o due finestre piccole piccole appena sotto il tetto. In genere la casa era sempre di fronte, ma il tetto si vedeva in prospettiva e cioè da davanti e da un lato insieme. Ogni casa aveva un giardino bello verde con fiori alti dai colori sgargianti. Ogni giardino aveva almeno un albero e ogni albero aveva frutti. Spesso alberi e fiori erano della stessa altezza. Sotto l’albero o nelle vicinanze c’erano sempre un tavolo imbandito e delle sedie.
Nel giardino c’erano sempre delle persone anch’esse  molto molto alte e, a volte, comprese le scarpe e i capelli o i cappelli arrivavano quasi fino al tetto della casa che era appena più alta dell’albero. In questo modo le persone potevano cogliere i frutti con poca fatica, bastava allungare un braccio e prenderli. E potevano anche lavare le finestre o spolverare il tetto della casa senza bisogno di scale. E anche annaffiare i vasi sul balcone e i balconi sembravano cassetti. Ogni tanto qualcuno annaffiava i fiori del giardino e se, per distrazione, lo faceva da troppo lontano, le gocce d’acqua dall’annaffiatoio si muovevano orizzontalmente nell’aria per coprire quella distanza e giunte sopra il fiore, allora ricadevano su di esso. Il cielo era sempre blu e c’era sempre il sole quando era giorno e una fetta di luna e tante tante stelle tutte in fila, tante righe di stelle, quando era notte. La particolarità era che sia di notte che di giorno nello spazio tra la striscia blu del cielo  e la striscia verde della terra c’era sempre luce e le persone potevano stare sempre fuori. Era meglio se stavano fuori, perché per entrare nella casa dovevano mettersi a quattro zampe per passare dalla porticina e poi, una volta dentro, potevano starci solo in piedi uno attaccato all’altro con la testa che sfiorava il soffitto e dovevano pure fare attenzione a muoversi poco per non urtare le pareti. Se dormivano in casa, dormivano in piedi: avevano inchiodato ai muri in alto dei grossi cuscini morbidi e ci appoggiavano la testa e si mettevano a dormire. Non rischiavano di cadere, perché non c’era proprio spazio e se a qualcuno mentre dormiva gli si piegavano le gambe, scivolava un po’ ma poi si fermava, perché le ginocchia si puntavano contro le gambe degli altri e rimaneva bloccato così. Quando gli alberi erano due si poteva legare un’amaca e riposare lì, oppure sdraiati sul prato, che era molto più comodo che starsene dritti dritti dentro la casa. Per lavarsi era la stessa cosa: in mezzo al soffitto di fianco al lampadario era fissato un rubinetto e la pigna di una doccia, si apriva l’acqua e voilà. Il sapone, le spugne, gli spazzolini da denti erano su delle mensole appese alle pareti sopra i quadri, che erano quadri impermeabili, altrimenti si sarebbero rovinati con tutto quel umido. Anche l’armadio era impermeabile: era alto e sottile e occupava due lati interi della casa, si apriva con delle cerniere e dentro c’erano le scarpe, i vestiti, i libri e i fiocchi per i capelli. E i cappelli. I vestiti, le scarpe, i fiocchi e i cappelli erano tutti molto belli e colorati. Gialli, rosa, arancione, rosso, blu, verde e i colori erano molto brillanti. C’erano vestiti per tutte le occasioni: pantaloni lunghi e corti, molto pratici per andare a passeggio e stare in campagna, gonne corte per l’estate e gonne lunghe e vestiti da principessa per le serate e i balli. Diciamo che era un posto in cui in casa ci si andava solo per necessità e si trascorreva la maggior parte del tempo fuori. A volte accadeva che qualcuno dovesse andare dentro per prendere o fare qualcosa, magari la mamma o la figlia o un’amica o il babbo, ma subito gli veniva l’istinto di guardare dalla piccola finestrella là in alto cosa succedeva in giardino e dal basso gli altri vedevano spuntare da quel buco quadrato lassù prima il naso poi tutta la faccia con gli occhi sgranati e curiosi e allora gli facevano ciao con la mano e gli gridavano, vieni che è pronto il caffè, vieni che facciamo un gioco, vieni che prendiamo il sole. Allora chi era dentro si accucciava per sgusciare attraverso la porticina e correre fuori e tutti insieme bevevano il caffè, giocavano con la palla o con i gatti e con i cani o con la palla insieme ai cani, che i gatti non erano capaci, e dopo si mettevano a saltare e saltare sempre più in alto, che con i piedi superavano l’altezza del tetto, e saltavano saltavano per prendere il sole.
C’erano sempre gli animali, qualche volta non si vedevano perché erano dietro la casa o nascosti dagli alberi, ma poi venivano sempre fuori. Ce n’erano di vario tipo: innanzitutto i cani e i gatti, poi almeno un cavallo, delle galline, qualche capra, conigli, senza contare i pesci nel cielo e gli uccelli nel torrente o nel laghetto, perché certi giorni si confondevano e sbagliavano posto. I gatti, in genere, erano anche loro piuttosto alti, in alcuni casi più dei cani, ma questi ultimi si consolavano perché i cavalli, che non erano pony, non erano più alti di loro, anzi a volte leggermente più bassi e  andavano insieme trotterellando per il giardino e quando erano stanchi si riparavano all’ombra dei petali dei fiori. Per cui quello era un luogo in cui non era difficile incontrare gatti più grossi di cavalli e nascosti in mezzo ai fiori cavalli che brucavano l’erba. E poi c’erano galline così ciccione che non passavano sotto il tavolo e quando ci provavano restavano incastrate e certi conigli avevano le orecchie così lunghe che facevano il solletico alle nuvole e le facevano scappare perché non resistevano al solletico. Per quello c’erano sempre il sole e la luna belli brillanti, perché le nuvole scappavano via ridendo. Che si sa, se una nuvola ride troppo poi scoppia e scende la pioggia e bisogna ripararsi tutti sotto l’albero, perché non sempre la pioggia scende fresca e leggera, certe volte ne scende un mucchio e tutta insieme e ci si bagna peggio che sotto la doccia aperta al massimo e si rischia di prendere il raffreddore. Meglio che vadano a ridere da un’altra parte le nuvole, non troppo lontano però, qualche decina di metri soltanto, perché comunque l’acqua serve al ruscello, serve alla terra, agli alberi e ai fiori e anche per fare la doccia e il caffè. E serve anche ai pesci quando scendono dal cielo e tornano al laghetto.





(disegni di Elena Dumas – 8 anni)

racconto tratto da "Incontri" ed. Philobiblon - 2008



(tutti i diritti riservati)

martedì 22 marzo 2016

ATTENTATI IN BELGIO

Ho cercato di dare ordine ai pensieri, alle emozioni, alle considerazioni, a tutto quanto mi ha travolto.
Ho scritto e cancellato venti volte almeno.
Non mi sento di dire nulla. Sento solo dolore.

lunedì 21 marzo 2016

ARRIVEDERCI

Gli attentati ad Ankara, la recrudescenza dell’Intifada e la decisione di blindare Gerusalemme est da parte del governo israeliano, le bombe americane su Kunduz, quelle di Putin in Siria, e, infine, la scoperta dell’acqua su Marte.
Non ho ben chiaro quale di queste notizie, con le considerazioni cui mi ha indotto, mi abbia fornito la determinazione a, finalmente, mettere in pratica una decisione presa da tempo. Forse è l’insieme. Forse si tratta della compulsività con cui i fatti entrano nella vita, senza dar tempo di assimilarli, comprenderli, ricordarli. Stragi, ingiustizie, morti, si sovrappongono e quasi si annullano. Da non saper dire a distanza di dieci giorni cosa è successo e dove, figuriamoci il perché. Non c’è tempo di arrivare a un perché. Si cerca di trattenere il filo rosso, l’unico che permette di non affogare, di individuare al di là dei fatti il reiterarsi di dinamiche note se pur sempre più complesse.
In questi due anni ho condiviso pensieri, riflessioni ed emozioni, a volte di getto, altre approfondendo prima di scrivere, e vorrei continuare a farlo. Più che altro per gratitudine. Perché devo la vita alle parole. Letteralmente, ma questa è un’altra storia. E perché a esse devo chi sono. Perché oggi non avrei nulla da dare né sarei in grado di ricevere. Tanto meno di vedere. E sono convinta che se anche una sola mia frase, che sia stato qui nel blog, o tra le poesie e i racconti che ho scritto, è arrivata al cuore e alla mente di un’unica persona, allora avrò fatto bene.
So anche che ci sono molte persone che fanno ciò molto meglio di me, con maggiore preparazione e capacità, e, nonostante questo, non avviene quella rivoluzione personale interiore oggi necessaria. Cosa c’è ancora bisogno di dire, cosa ancora scrivere che non sia stato detto o scritto? Cosa ci serve ancora?
Così ho deciso di prendermi una pausa dal blog e dedicarmi a un paio di progetti da troppi anni messi da parte.  Entrambi molto ambiziosi e non è detto che ne sarò all'altezza. Uno di essi ha sempre a che fare con le parole e so che pretenderà tutta la mia dedizione. Voglio lasciarmene coinvolgere totalmente nonostante la mia precarietà economica e le bollette arretrate. Mettermi in gioco senza riserve, come ho fatto nelle relazioni umane. Vorrei riuscire a dare la forma migliore possibile al magma che sta dentro e che deve uscire. Lo posso fare, e lo voglio fare, sia vivendo seguendo i principi in cui credo sia usando lo strumento con cui ho maggiore dimestichezza, le parole.
A voi che mi leggete, per amicizia o per caso, e che trovate un po’ di senso in ciò che scrivo, vorrei chiedere un sostegno concreto, una sorta di impegno. Vorrei che continuaste a frequentare il blog, leggendo magari dall'inizio cosa non avete letto e invitando altri a farlo, a commentare, ad aggiungere. Direttamente sul blog, non altrove dove vi può arrivare un post condiviso. Tenerlo vivo insomma. È una creatura cui tengo e devo assentarmi per un bel po’.  E poi le idee, le domande, i pensieri non è che diventano vecchi, anzi prendono linfa dal diffondersi, per questo soprattutto vi chiedo se avete voglia di contribuire.
E mi piacerebbe ricevere delle conferme in calce a questo post per non sentirmi troppo in colpa per il mio allontanamento, anche se, ovvio, in ciò che farò il filo rosso sarà ben presente.
Vi ringrazio.



Ottobre 2015

COMUNICAZIONE D'UFFICIO

Da un po' ho un progetto nel cassetto e vorrei dedicarmici nell'ambizioso e quasi certamente illusorio tentativo di scrivere un romanzo. Ho poco tempo a disposizione, per cui dovrò dedicarlo in modo esclusivo a quest'idea, almeno per alcuni mesi, ponendomi come obbiettivo di riuscire a tirare giù uno straccio di traccia entro fine estate. Se non sarò in grado di farlo, con umiltà tornerò a più miti consigli.
Quindi smetterò di scrivere post per un po', a malincuore certo, ma sono costretta a farlo perché ho bisogno di entrare del tutto con i pensieri nel mondo cui spero di riuscire a dare forma scritta.
Per non abbandonare il blog, ho deciso di pubblicare di tanto in tanto, scegliendo a campione, testi vari già editi: poesie, racconti, resoconti. Mi allontanerò per un po' da quella che ne è sempre stata l'anima ma spero sarete indulgenti e mi aiuterete a non far finire in agonia questo spazio che, per quanto piccolo, ha per me un grande valore.
Avrei anche un racconto piuttosto lungo e inedito che potrei pubblicare qui a puntate ma mi piacerebbe sapere se la cosa potrebbe essere gradita. Perciò se vorrete consigliarmi in merito vi sarei grata.
Di seguito a questo pubblico un post che scrissi a ottobre, in cui già salutavo, ma si sa, è sempre necessario un po' di tempo perché la consapevolezza divenga azione.

giovedì 17 marzo 2016

SITI WEB PER CASE VACANZA

Anni fa utilizzai per lavoro i primi portali nati per pubblicizzare gli appartamenti ammobiliati per uso turistico. Ce n’era uno tedesco, uno francese, tre o quattro in lingua inglese. Ognuno di essi aveva il proprio layout, diversi prezzi, diverse offerte, diversi modi di proporre gli immobili. Si sceglieva quindi in base alle proprie esigenze e si modificava direttamente la propria inserzione da una pagina di accesso all'area privata. Negli anni tali portali sono aumentati di numero, hanno affinato pagine e servizi, hanno man mano diversificato le opzioni di inserzione, offrendo pacchetti per ogni esigenza.
Recentemente, per aiutare un’amica intenzionata a pubblicizzare il proprio immobile, mi sono avventurata di nuovo in un mondo che dunque conosco abbastanza bene, avendo però una sgradevole sorpresa. In pratica, di accorpamento in accorpamento, il 90% dei portali più noti e utilizzati, ha adottato medesimo layout e medesime metodologie di impostazione delle inserzioni, e, soprattutto, ha diminuito considerevolmente l’autonomia del proprietario nella gestione della stessa.
Se si opta per inserzione a basso costo o gratuite, giustamente i portali chiedono una percentuale sui contratti a buon fine, ma anche spendendo cifre nell'ordine di centinaia di euro, ci si trova limitati nell'interazione tra proprietario e cliente, privi della possibilità di contrattazione. Inoltre se non si sceglie l’opzione pagamenti online da parte del cliente si ha meno visibilità, se la si sceglie, gestiscono tutto i portali (o il portale, visto che stan tutti sotto lo stesso tetto) e solo a pagamento avvenuto ci si può scambiare recapiti e comunicare direttamente.
Inoltre vi sono alcuni aspetti non proprio funzionali ma viene meno la possibilità di rivolgersi alla concorrenza perché appunto hanno adottato praticamente tutti lo stesso sistema.
Per fare un esempio: se uno decide che la propria casa  per 6 +1 persone costa tot a settimana, sia che venga una sola persona, sia che vengano in due, tre, quattro, cinque, sei o sette, e che invece le spese (dai consumi alle pulizie)  cambino in base al numero delle persone (ad esempio 20 euro a testa alla settimana), allora iniziano i problemi. I portali, dicono per trasparenza nei confronti del cliente, aggiungono nella tabella delle tariffe al tot stabilito le spese per due persone, quindi avremo tot +40, e forniscono questa cifra come definitiva, mentre la cifra in realtà potrebbe essere inferiore o superiore ( tot + 20, tot +40, tot + 60, tot + 80, tot + 100, tot + 120). Non c’è modo di rendere questa cosa visibile per il potenziale villeggiante. Interpellati suggeriscono di mettere una cifra aggiuntiva per ogni persona in più oltre alle due fisse che stabiliscono loro, ma anche così si ottiene un risultato che non corrisponde al vero per tutte le possibilità perché nel menu a tendina si può scegliere solo +1, +2, +3, +4. Non viene contemplata l’opzione di una persona sola né quella di una casa che possa ospitare più di 6 persone. Non sarà la fine del mondo, e certo come un orologio fermo che una volta al giorno dà l'ora giusta in alcuni casi la cifra corrisponde al vero, ma pretendo da aziende leader nel settore la capacità di contemplare tutte le opzioni possibili che si possono verificare, soprattutto a fronte di pagamenti cospicui e di un monopòlio crescente che non offre alternative.

Con buona pace dei sostenitori del libero mercato che avrebbe dovuto portare a una sana concorrenza e invece ci sta strozzando in monopòli leviatano.

lunedì 14 marzo 2016

IL CORAGGIO DI ANDARE A VEDERE

Un mio conoscente ieri ha aperto un gruppo su WathsApp inserendo tutti i contatti della sua ben folta rubrica per condividere l’importanza del referendum del 17 aprile 2016 sulle trivelle (cui vi invito calorosamente a partecipare) e per informare dell’accordo, poco noto, del 21 marzo 2015 tra Italia e Francia per ridefinire i confini marittimi delle due nazioni, accordo al momento non ancora ratificato dall'Italia. Le implicazioni sono diverse, e anche in questo caso, visto che le due cose sono collegate, vi invito a cercare informazioni sulla faccenda, ma il nocciolo è che perderemo voce in capitolo sulla gestione di acque che ci riguardano non tanto come proprietà ma come impatto sulle nostre vite.
Ciò che mi preme dire qui, però, è che l’azione di questa persona è stata coraggiosa. Si è esposto, nome e cognome, ha buttato un sasso e non ha nascosto la mano, ha creato una piccola onda, e noi dobbiamo imparare a diventare parte di un onda, quando è quieta, ben motivata, e animata solo dal desiderio del bene comune. Diventare molecole che si muovono nella direzione del buon senso e della condivisione. È un imperativo morale. In ogni fase storica e sociale si arriva a un momento in cui si deve prendere posizione; non farlo comporta  responsabilità pari all'agire male. La famosa banalità del male. Il problema è che, se si è persa la capacità di vedere, di sentire dentro l’urgenza di dare un senso, se pur modesto, alla nostra comparsa alla vita, allora non si può nemmeno essere consapevoli del proprio non agire. Ma se qualcuno, con umiltà e audacia, ci si avvicina per offrirci uno squarcio, una prospettiva, un dubbio, allora almeno accogliamo l’opportunità e andiamo a vedere di che si tratta. Potremmo improvvisamente scoprire qualcosa di nuovo e importante e persino rimpiangere di non esserne stati fino al giorno prima consapevoli. Con tutte le difficoltà che la consapevolezza in genere presuppone. Ma, insieme ad esse, avremmo la sensazione di essere vivi e non soli.
Nei primi cinque minuti di creazione del gruppo su WathsApp, è stata una cascata di numeri seguiti da un ha abbandonato, di tanto in tanto qualche frase di smarrimento, chi siete? cosa volete? Salvo qualche sparuto intervento, dei pochi che hanno dedicato un minimo a raccapezzarsi, per invitare a restare, a capire, a non spaventarsi, solo timore e fuga. Ecco, quella cascata di abbandoni è la misura del timore che ci attanaglia e blocca. La paura dell’altro. Non si comunica con chi non si conosce, questa è la regola. Si scappa. E si perdono grandi opportunità di conoscenza e crescita.
Ringrazio dunque Eligio per la sua ardita iniziativa e lo invito a non chiudere lo spazio che ha creato in questo mondo sempre più stretto. Dovesse servire a cambiare in meglio la vita di anche solo una persona, sarà stata una gran cosa.


13 marzo 2016

venerdì 11 marzo 2016

DAKAR, RIFIUTI E SOGNI

Immaginando di poter un giorno tornare in Africa, da diverso tempo, penso al Senegal. Mi attrae per diversi motivi, non ultimo il fatto che si parli francese. Un anno fa vidi un bel documentario su Rai 5 che parlava di un biologo francese che si è stabilito a sud di Dakar per dedicarsi alla divulgazione di metodi di pesca sostenibile tra la popolazione e ha messo su una squadra di sub per ripulire i fondali dalle reti rotte e abbandonate, facendo di questo programma la propria missione. Ecco un'altra persona in gamba, ho pensato. Un mio conoscente, poi, ci si è trasferito per aprire un'azienda di imballaggi alimentari da materiali riciclati. Inoltre il clima sarebbe idoneo per la mia salute. Insomma, una cosa dietro l'altra, sono arrivata a pensare che, vista la mia precarietà qui, mi ci sarei potuta trasferire dopo una visita preventiva, anzi, più correttamente, sarei potuta emigrare. Ad oggi, però, le mie finanze consentirebbero a malapena un viaggio di andata. Sarebbe veramente emigrare incrociando le dita. Di fatto l'idea è accantonata.
Ieri però, quando sono andata a perfezionare le pratiche di demolizione del mio scooter antico e distrutto da un incidente, ho letto che sarebbe finito a Dakar. Il concessionario mi ha spiegato che spedendo laggiù le moto spende un centinaio di euro in meno di rottamazione. Si sa che i nostri rifiuti più fastidiosi finiscono in Paesi in via di sviluppo, in Africa in particolare, con tutte le considerazioni del caso che qui tralascio, e che da alcuni di essi gli Africani tirano fuori ancora qualcosa di utile, come nel caso del mio scooter da cui trarranno pezzi di ricambio, ma ciò che mi ha colpito è stato pensare che proprio a Dakar è finito qualcosa di collegato a me mentre io resto qui.

lunedì 7 marzo 2016

8 MARZO

Vorrei invitarvi a celebrare l'8 marzo dedicando un poco del vostro tempo a conoscere, se ancora non la conoscete, la storia di Berta Cáceres. In rappresentanza di tutte le altre donne che in questo momento nel mondo stanno facendo qualcosa di buono.
Grazie

http://www.greenme.it/vivere/costume-e-societa/19521-berta-caceres-assassinata

domenica 6 marzo 2016

sabato 5 marzo 2016

CLASSI SOCIALI

Ho letto l’interessante articolo “Oligarchie al potere” di Paul Krugman su Internazionale della scorsa settimana*, articolo che vi consiglio, in cui ad un certo punto scrive “… i salari reali dei lavoratori della fascia media hanno smesso non solo di crescere più rapidamente di quelli della fascia bassa, ma hanno cominciato addirittura a rallentare” (nonostante le promesse della teoria della Sbtc – skill-basied technological change –ndr).
Senza entrare nel merito delle cause di questo fenomeno, è illuminante leggere che in India, in questo periodo sui giornali per la crescente intransigenza dei nazionalisti indù soprattutto nei confronti degli studenti universitari, ci siano violente proteste di piazza da parte di una casta fino a ieri benestante, per ottenere gli stessi diritti (!) delle classi inferiori che in qualche modo sono tutelati da un sistema di quote per l’accesso al lavoro nel pubblico impiego e all'istruzione.




*purtroppo non l’ho trovato online in modo da poter segnalare il link; si tratta del numero 1142 anno 23)

APPLE VERSUS FBI


Stavo riflettendo sulla controversia tra la Apple e il governo statunitense, FBI per la precisione. Quest’ultimo vuole avere accesso ai dati del telefono iPhone di uno dei responsabili della strage di san Bernardino, e la Apple, nella persona del suo amministratore delegato, Tim Cook, non cede perché per farlo dovrebbe creare un software apposta che permetterebbe l’accesso a qualsiasi dispositivo analogo. Infatti il sistema di protezione dati della Apple è tale che senza conoscere la password, l’apparecchio si blocca in modo irreversibile al decimo tentativo. Personalmente fatico a credere che tale software non esista già ma non è questo il punto. Il punto è se è giusto pretendere dalla Apple di dare il proprio contributo per combattere il crimine, come ogni onesto cittadino dovrebbe fare, o, in nome della libertà individuale e del diritto alla privacy, appoggiare l’azienda che se ne fa così ardente paladina.
Questi che seguono sono i miei pensieri, uno in fila all'altro come li ho avuti.
Nonostante la mia gratitudine nei riguardi di individui come Daniel Ellsberg, Julian Assange, Edward Snowden, e di tutti gli altri, meno noti, se non anonimi, paladini della trasparenza, ritengo, lasciando fuori ogni considerazione tanto sulla giustizia quanto sul caso particolare, che sia doveroso da parte di chiunque contribuire al trionfo del bene smascherando il male, per cui, per logica conseguente, la Apple dovrebbe fornire all'FBI non dico la tecnologia per tirare fuori i dati dal telefono ma almeno i dati stessi. Ciò creerebbe però un precedente facilmente impugnabile per ottenere dati sensibili ogni volta si tirasse in ballo la sicurezza (e in tal senso direi che quanto ad abusi siamo già a posto, grazie). Quindi sostegno alla Apple. Senonché, in termini di principio almeno, i governi dovrebbero poter essere controllabili da chi li elegge, quindi una possibilità reale di chiedere conto esiste ancora, mentre per le aziende questo non vale. E lasciare che sia un’azienda ad avere l’esclusiva sui nostri dati non è una cosa buona. Perché saremo noi i primi a perdere l’accesso ad essi. In un mondo in cui aziende e potere politico vanno sempre più a coincidere, anche un surrogato di democrazia può concederci dei margini di azione superiori al monopolio assoluto. In conclusione che gli diano questi dati, perché questa faccenda della libertà individuale e del diritto alla privacy è uno specchietto per le allodole. Si tratta di una banale lotta per il potere. L’unico vantaggio che ci viene dal conflitto è che da una delle due parti per un po' possiamo ancora ottenere qualcosa.


Ahmed Nagi: il Potere che strangola ancora la Libertà

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