lunedì 22 aprile 2013

GIORNATA DELLA TERRA

Oggi è la Giornata della Terra.
Se ne iniziò a parlare negli anni ’60, durante le proteste contro la guerra in Vietnam e prese forma nel 1969 a seguito del disastro ambientale della Union Oil in California.
Le Nazioni Unite ne sono portavoce e sostegno e a ogni ricorrenza suonano la campana della pace nel quartier generale di New York.
Dal 2000 l’iniziativa si è diffusa a livello mondiale e viene celebrata ogni anno, il 22 di aprile, riunendo migliaia di associazioni ambientaliste. Persone che ci credono e che si impegnano.

Cos’altro?
Imponenti concerti e sponsor illustri.
Poi, ogni anno dal 23 aprile, tutto come prima.


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domenica 21 aprile 2013

BIOLOGICO?

11 aprile: ingenti quantità di mais ogm e di soia ai pesticidi spacciate per biologiche: sequestri in cinque regioni.
E chi se lo sarebbe mai aspettato?
Ridicoli lo stupore e lo scandalo.
Primo, l’estensione di tali monoculture intensive a livello mondiale, per quanto in gran parte destinate all’allevamento (e anche lì ci sarebbe da aprire un ampio dibattito ma rimando a un altro post) e ai biocarburanti, un piccolo dubbio avrebbe dovuto suscitarlo.
Secondo, la diffusissima predisposizione criminale alla sofisticazione e alla frode in ambito alimentare (gli esempi abbondano) avrebbe dovuto, ugualmente, mettere sul chi va là.
Quest’abbondanza di prodotti biologici a scaffale, soia e mais biologici come se piovesse, anche a prezzi stracciati, ma da dove arriva?
Dove stanno tutte queste incontaminate e virtuose coltivazioni che da mercato di nicchia ora riescono a saturare la grande distribuzione?
Con centinaia di milioni di ettari che producono a ritmo serrato, destinarne una parte, per vie traverse, a un mercato che frutta minimo un 8% in più a tonnellata, e fino al 500% in più al chilo nella vendita al dettaglio, non diventa una tentazione ma un piano operativo.

11 aprile 2013

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sabato 20 aprile 2013

ECONOMIA

In tutto il mondo le persone stanno sempre peggio.
Vien da chiedersi, ma non è che questo sistema di mercato non funziona?
Perché la politica si ostina a sostenerlo e difenderlo, raccontandoci che è la strada giusta o, comunque, l’unica percorribile? E perché devono stare meglio quelli che danno un contributo negativo alla società? Eppure il sistema politico internazionale avvalla anziché correggere il sistema mercato nonostante si stia rivelando fallimentare. Tranne per un esigua parte della popolazione mondiale, pari a poco più dell’1%. Insomma non sta funzionando come dovrebbe.
Le teorie di Smith secondo cui il perseguimento degli interessi di un’èlite portano a un benessere sociale partono dal presupposto che i ritorni privati siano allineati a quelli sociali e che si riceva un compenso proporzionale ai contributi apportati alla società.
Ma oggi non è più così.
Si dovrebbe creare ricchezza, intesa come benessere equamente distribuito, non sottrarne.
Di fatto è una corsa a sbranare la carcassa.
Anche quando si fanno considerazioni del tipo che il Pil non misura la sostenibilità della crescita, si dice una cosa giusta ma si utilizza un vocabolo che alimenta equivoci. Non si tratta di crescita. Ma di sottrazione. Questo è il punto che dovrebbe essere ben chiaro e che può mettere a tacere qualsiasi argomentazione a favore dell’attuale situazione. Sottrazione di beni comuni, di risorse, di libertà, di democrazia, di dignità.
Fino a esaurimento scorte.
I mercati dovrebbero funzionare su una reale libera concorrenza tutelata da governi che devono impedire la realizzazione di profitti di natura monopolistica. Ma esistono molti sistemi che permettono al sistema finanziario di impedire che i mercati funzionino bene e quindi che pochi si arricchiscano indipendentemente dai meriti, anzi, sempre più, procurando danno.
Eppure pare che questo orami sia l’unico mondo possibile. Che se cambiassimo strada crollerebbe il sistema e tutti ne verremmo danneggiati. Che qualsiasi inversione di tendenza sarebbe letale. Le obiezioni principali si riassumono nella considerazione che qualsiasi iniziativa, dal tagliare le spese militari, al non esternalizzare i costi ambientali, all’eliminare i benefici fiscali a favore delle grandi imprese, si tradurrebbe in perdita di posti di lavoro, e in un danno per la collettività.
Che la perdita costante ed esponenziale di posti di lavoro sia comunque sotto agli occhi di tutti poco importa.
In fondo tendiamo a credere a tutto ciò che conferma le nostre credenze pregresse. E quanto ci hanno inculcato riguardo all’efficienza dei mercati che viene meno solo a fronte di un ingerenza dei governi, è un’idea ben radicata. Rimossa invece l’idea che le imprese (e le banche) funzionano all’80% grazie alla ricerca, agli incentivi, alle agevolazioni fiscali degli Stati, cioè grazie ai soldi nostri. Anche il denaro dato alle banche (troppo grandi per fallire) avrebbe dovuto impedire che il credito si interrompesse. Invece la maggior parte di quei soldi sono finiti per pagare i bonus di chi ha determinato il collasso del sistema. I tassi di interesse pari quasi a zero con cui gli istituti bancari si sono potuti rifinanziare con denaro pubblico, hanno fatto sì che si provvedesse in fretta e furia a distribuire dividendi anziché rimettere in circolo un credito che avrebbe concesso respiro alla piccola e media impresa.
Per cui, visto che i governi si indebitano comunque x sostenere le grandi corporations finanziarie, non sarebbe meglio che lo facessero per garantire un’istruzione elevata, sviluppo tecnologico e, quindi, crescita di domanda di lavoro qualificato e protezione dell’ambiente?
Invece non solo non si punisce (encomiabile il caso dell’Islanda, ma si sa, è un paese piccolo) ma addirittura si premia chi danneggia la società.
La ricchezza la si crea o la si sottrae.
Un sistema basato esclusivamente sullo sfruttamento delle risorse ambientali e umane, a questo punto di risorse ai minimi termini, non può che divenire stagnante. Immobile. L’unico modo di arricchirsi è procedere all’accaparramento di ciò che c’è in circolazione, di ciò che rimane. A scapito del resto dell’umanità.
Ed è quanto sta accadendo. Impunemente.
Inoltre, in un circolo vizioso, spostando la ricchezza dal basso verso l’alto, cioè in mano a un numero sempre più esiguo di individui, i consumi non possono che scendere e, comunque, non possono essere proporzionali ai livelli di produzione e offerta necessari a un’economia viva e dinamica. E la disillusione nei confronti di un sistema politico che permette iniquità, porta a una diminuzione della partecipazione alla vita politica, al rassegnarsi a una vita sempre meno democratica. La perdita stessa di sovranità economica è una perdita di democrazia.
Ma, come ben sappiamo, i cambiamenti di mentalità e le convinzioni collettive mutano molto lentamente e lo fanno solo se lo mutano quelle di un numero considerevole di persone. Altrimenti si consolidano.
Media e think tank hanno lavorato e lavorano molto bene in merito.

ottobre 2012

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PETROLIO vs ACQUA

L'Asia Water Development Outlook 2013 rivela che due terzi degli abitanti dell'Asia (circa 3 miliardi di persone) non hanno accesso ad acqua potabile né a una rete fognaria.
La Banca Asiatica per lo Sviluppo (ADB) stima in 130 miliardi di dollari gli investimenti per rimediare in buona parte alla situazione.

Solo nel 2011 sono stati erogati più di 500 miliardi di dollari a sostegno dei combustibili fossili
(fonte: World Energy Outlook 2012 dell’International Energy Agency)


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venerdì 19 aprile 2013

PERPLESSITA'

In base a come siamo e come cambiamo noi stessi modifichiamo l’ambiente che ci circonda.
E’ un precetto filosofico, religioso e scientifico.
Io ho sempre vissuto in funzione di principi che ritengo indiscutibili, quali i diritti inalienabili degli individui. Mi sono impegnata per diffonderli e difenderli. Per comprendere io per prima le dinamiche sociali, politiche e, non ultimo, economiche che portano a calpestare tali diritti e per cercare di spiegarle.
Eppure, tra le persone che conosco, incontro, frequento, c’è ancora chi proclama che agli immigrati bisognerebbe sparargli in bocca, ché ci tolgono il lavoro, chi dice che bisognerebbe gasarli perché troppo complicato e costoso distinguere tra profughi legittimi e terroristi, che la tolleranza zero è l’unica soluzione.


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giovedì 18 aprile 2013

I SUICIDI VIVEVANO LONTANI

I suicidi vivevano lontani.
Nella letteratura classica e romantica. Animi nobili e amanti infelici.
O in qualche remoto racconto di famigliari o conoscenti. La moglie di un lontano cugino che fin da ragazza però era stata sempre tanto melanconica. O in qualche triste articolo di cronaca.
Poi erano il vento divino, i piloti giapponesi nelle pagine dei libri di storia e nei film.
Poi vivevano in India. Prima, per non essere sfollati*, si lasciavano sommergere dalle acque delle Grandi Dighe. Dopo un po’ si sono messi a bere gli erbicidi*.
Poi vivevano in Tibet ed erano monaci che si davano fuoco. Il centesimo un paio di mesi fa.
Sempre più prossimi nel tempo ma comunque lontani.

Ora sono vicini di casa. Uno al giorno.



* A causa delle Grandi Dighe, si calcola che in India siano state sfollate in poco più di un ventennio circa 33.000.000 di persone senza che sia stata loro procurata una sistemazione alternativa. Alcuni hanno preferito restare sulle proprie terre che stavano per essere sommerse.
Per approfondimenti consiglio la lettura de “La fine delle illusioni” di Arundhati Roy.
Il fenomeno dei contadini suicidi, invece, è iniziato nel 1997, quando il governo indiano ha eliminato i sussidi alla coltivazione del cotone, e contemporaneamente sono state introdotte su larga scala semenze geneticamente modificate. Ma le promesse riguardo alla loro resa non sono state mantenute: le piante non resistono agli attacchi dei più comuni parassiti e richiedono dosi massicce di pesticidi. I contadini si suicidano principalmente in tre periodi dell’anno: tra gennaio e febbraio, quando al momento di vendere i raccolti si rendono conto che, oltre a una produzione minore del previsto, i prezzi sono calati, per cui quello che guadagnano non basta a pagare i debiti contratti l'anno prima e i relativi interessi, quindi in primavera, quando servono soldi per acquistare nuove sementi e per pagare gli affitti dei terreni, infine in autunno quando le piante sono cresciute e si riforniscono di pesticidi per proteggere i raccolti e finiscono con il togliersi la vita bevendoli. Si stima una cifra di circa 200.000 suicidi negli ultimi 10 anni.


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lunedì 15 aprile 2013

CONFESSIONE

Nel 2005 ho smesso di pensare. Avevo buoni motivi per mettere a riposo il cervello: problemi famigliari, di salute, lavorativi, che da anni si accavallavano a ritmo serrato. Quello che capita un po’a tutti: contingenze spesso gravi che obbligano ad accantonare riflessioni sul senso della propria esistenza. 
Ricordo quando negli anni ’70 e primi ’80, il futuro appariva come una meta fatta di progresso, scoperte, crescita e miglior qualità della vita per tutti. Poi dagli anni ’90 qualcosa è iniziato a mutare in modo talmente macroscopico da non essere quasi percettibile. Come un camuffamento. 
Ho dedicato, per una decina d’anni, tutto il tempo libero a studiare, documentarmi, cercare di capire cosa stava avvenendo, intenzionata a trovare una connessione tra le cose. E il quadro che si delineava man mano era inquietante o, meglio, non convincente. Avevo la netta percezione che qualcosa non quadrasse. 
Che la direzione intrapresa fosse molto distante da ciò che ci si aspettava. 
E poi un surplus di informazioni e uno spazio sempre maggiormente ristretto. La digitalizzazione dell’esistenza, l’induzione di bisogni superflui, l’affermazione di strutture di potere sovranazionali, l’economia sempre più distaccata dal commercio e legata alla finanza, le calamità naturali indotte, le pandemie, gli sfruttamenti, le oppressioni, la manomissione del linguaggio. Troppi imput, troppi dati, il senso di impotenza, la sindrome di TINA. 
E dall’altra parte le difficoltà di gestire la quotidianità: le rate, i mutui, la competitività, la flessibilità, gli imbonimenti, l’hig tech, le vacanze low cost, il credito al consumo, l’immigrazione, le ristrutturazioni aziendali, i black block, la sicurezza, le promesse, gli ogm, le allergie, la sindrome da stanchezza cronica, i tumori, i discount, le tessere fedeltà, le bollette, la baby sitter, gli incentivi auto, le lotterie, le selezioni televisive. Un trattato su ognuno di questi punti, non credete? 
E cosa può fare un misero mortale che debba star dietro a tutto questo? Può solo spegnere il cervello. E  credo che dall’inizio del nuovo millennio lo abbiamo fatto in molti. Per sopravvivenza. O perché, a un certo punto, rinneghi la tua ragione e ti dici che, no, non può essere possibile che le cose stiano così. E ci si convince di essere forse almeno un poco paranoici. 
Correre il rischio di essere derisi o presi per pazzi? No. Meglio l’acquiescenza dell’happy hours e delle offerte negli ipermercati. Le diatribe sul calcio o su destra e sinistra. 

Vi voglio raccontare di un vecchio sogno, anzi di una serie di sogni. Le vicende mutavano ma il denominatore comune c’era. Si trattava sempre di circostanze in cui un gruppo di persone doveva trovare rifugio e proteggersi da dei fantomatici “cattivi” che tenevano sotto il giogo l’intera popolazione mondiale. Li ho sempre chiamati i “sogni di resistenza”. Questi sogni ricorrenti li facevo da bambina, dai 7 agli 11 anni circa. Erano situazioni difficili, angoscianti, incomprensibili. Inspiegabile che si formassero nella testa di una bimba delle elementari. In questi sogni faticavo molto, avevo mansioni di guardia, di organizzazione, di protezione. Ero arrivata al punto, con la mia fervida immaginazione, di credere che fossero sogni premonitori. Poi con la pubertà e l’adolescenza tutto ciò è sparito e nel tempo dimenticato. 
Ora, però, vedo segni inequivocabili: quei sogni si sono avverati. E non posso fare finta di nulla. Non posso tradire l’animo cavalleresco dell’infanzia. Non sono qui per raccontare delle verità, non ho certezze da trasmettere, ma so che la conoscenza rende liberi, per cui sono qui a raccontare cosa vedo, cosa ho capito, a chiedere cosa ne pensate, per capire ancora meglio, e a chiedere cosa vedete voi. 
Ognuno di noi ha il dovere di mettersi in gioco per il bene comune condividendo con onestà gli esiti della propria esperienza, perché è solo dal confronto che si ha crescita. 


Pensava che avrebbe attraversato mari e terre, che avrebbe conosciuto genti e persone e compiuto imprese straordinarie e ardimentose. Ora sapeva che, invece, l’opera totale e più strenua della sua vita sarebbe stata non piegarsi. 

settembre 2006

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venerdì 12 aprile 2013

ILLUMINAZIONE

Le ho notate già a una ventina di metri di distanza mentre si avvicinavano all’incrocio.
Camminavano a fianco con andatura vivace e saltellante. Ridendo complici di qualcosa che doveva essere molto divertente per entrambe. Si tenevano per mano, visi e sorrisi in pieno sole.
Quella di destra, fuseaux, cinturone e maglietta blu, scollata, un gran bel seno straripante, capelli rigogliosi al vento, lucidalabbra; quella di sinistra, abito lungo e scuro, testa velata.
Identiche.
Loro sono già oltre. Vuoi la tecnologia pane quotidiano, vuoi che nelle scuole la convivenza tra diverse culture é la norma e alla fine s’impara, vuoi l’intuizione che solo con l’uso appropriato del cervello si possono eliminare le barriere.
Ecco, forse, non tutto è perduto.

 agosto 2012 


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giovedì 11 aprile 2013

DONNE CON LE GONNE

Il 25 novembre è stata la giornata contro il silenzio delle donne che subiscono abusi, contro il silenzio attorno alle donne che subiscono abusi. Qualsiasi genere di abuso. Nel mondo milioni di donne pagano il fio di essere tali vivendo una vita priva di diritti, patiscono il peso di duri lavori, il peso della guerra, della fame, del dover senza mezzi sostenere una famiglia, patiscono il peso della mutilazione, dell’umiliazione, della violenza famigliare, dello stupro di massa, dell’aborto selettivo, della segregazione. Si dice che se a dirigere il mondo ci fossero le donne, le cose andrebbero un po’ meglio. Si lotta per maggiori quote rosa nei parlamenti e si biasima la mercificazione della donna, ostentata nei più diversi ambiti come carne da sesso. Nella società civile le donne sono in prima linea e, in genere, prendono molto sul serio gli impegni assunti. Come professioniste non temono la concorrenza maschile e ottengono ottimi risultati. È parziale, quindi scorretta, l’analisi che da un po’ di tempo si fa dell’universo femminile, di cui si mette sotto ai riflettori soltanto la porzione tristemente e vergognosamente ricondotta a pura forma e paillettes, si compatiscono le poverette che non sanno sottrarsi a tale processo e ci si indigna per lo squallore, per la volgarità, per la pochezza. Diversi mesi fa, un mio amico psicologo mi disse che le donne sono, se non colpevoli, corresponsabili per ciò che subiscono. Mi arrabbiai e fui infastidita da un’affermazione tanto molesta. Mi pareva la vecchia solfa sulla donna in minigonna che “era meglio se non se la metteva”. A distanza di tempo rivedo le mie posizioni. E lo faccio dal novero di quei quasi sette milioni ufficiali di donne che, solo in Italia, hanno subito violenze o abusi almeno una volta nella vita. Quindi con una certa cognizione di causa. Farsi vedere insicure, raccontare i propri problemi al primo venuto, chiedere una mano et similia è come fornire un lasciapassare; se ci si presenta come vittime non si può pretendere di essere considerate diversamente e c’è chi le vittime le sostiene e chi ne approfitta. E questo è un caso. Lasciamo fuori da questa sede le violenze sui bambini, sulle bambine visto che parliamo del genere femminile, discorso che porterebbe troppo lontano e restiamo nella fascia d’età della ragione e della libera scelta, tanto per intenderci. Ho fatto una ricerca sul mondo della pedopornografia online e in tale viaggio mi sono imbattuta e dovuta confrontare con un mondo di donne che non sospettavo tanto vasto e agguerrito. E questo è un altro caso. Resta fondamentale, soprattutto quando si vanno a fare considerazioni sulla sessualità, la domanda se la natura manifestata da molte di noi sia innata o se sia l’esito infelice di secoli di manipolazione del pensiero e del costume, ma quello che importa è quello che è. È con il risultato che bisogna fare i conti. Fantasie perverse, crudeli, cruente, assurde, nascono da menti femminili. Donne che si violentano l’un l’altra, che introducono nei propri corpi oggetti e sostanze con modalità e in quantità variabili, migliaia di filmati fai da te di donne che incitano e godono della violenza su se stesse e su altre donne, su ragazze, su adolescenti, su bambine. Ogni giorno centinaia di migliaia di ore dedicate alla masturbazione virtuale, al protagonismo in webcam, all’esibizione di orifizi, di protesi mammarie, di fronti al botulino, di inquietanti attrezzi maneggiati con destrezza. Poco prima di metter su la cena. Nessun moralismo. Solo i numeri sono sconcertanti. Niente di meglio da fare? È la nostra vendetta surreale? 
Abbiamo venduto l’anima al diavolo senza troppi scrupoli perché siamo sempre state dotate di un gran senso pratico nei momenti critici, anche le più sprovvedute e maldestre? Rigurgitiamo ciò che per secoli abbiamo dovuto ingoiare, a costo di annichilire noi stesse? Piuttosto che permettere a qualcun altro di continuare a farlo? Ci volete per soddisfare i vostri istinti più biechi? Bene noi ne abbiamo di più infimi. Forse così avrete paura. Le donne a dirigere il mondo? Sarebbe un interessante esperimento. E senza tirare in ballo Tatcher, Palin, Rice e compagne, che certo non fanno onore al genere. Mie care ragazzine delle medie che vi infilate giocosi gadgets tra le cosce, che vi leccate a vicenda rigorosamente online, che giocherellate con i vostri più intimi piercing, adolescenti che pestate i piedi per tette nuove come regalo di promozione, che in gruppo vi date alla fellatio del vostro compagno di classe, a tutte voi ha insegnato la mamma a fare così? O è stata la terribile televisione? O che altro? E poi, questa ricorrente mancanza di solidarietà di genere, la mancanza di sostegno tra donne di una stessa famiglia, la competizione tra donne in carriera, l’invidia, gli sguardi di disprezzo, la voglia di andare in guerra, indossare un uniforme e imbracciare un fucile, di sottostare a regole strette senza tempo né modo di farsi domande. Da dove viene tutto ciò? Rinneghiamo noi stesse? Rifiutiamo l’altra perché ci rappresenta? Si tratta di selezione? Di adattamento? La volontà di divenire un essere ibrido in grado di sopravvivere a tutto? Godiamo dello stupro perché l’abbiamo subito e pensiamo che non è poi così terribile, per cui te, bella, non stare a farne una tragedia? Abbiamo camminato così a lungo nella notte che alla fine quelle che hanno imparato senza soccombere, pensano che ci sia solo notte in cui camminare? O siamo geneticamente stronze? Non me ne vogliano le donne che non si riconoscono in quello che ho scritto anche se a buon diritto potrebbero; il fatto è che il fenomeno di cui sopra è così vasto e pieno ancora di zone d’ombra, che è doveroso metterlo in piazza. E, appunto, farci i conti. 

novembre 2009 

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MOLESKINE 4 - Cosa ci rende ricchi

Desiderio di ricchezza, non in quanto possesso di beni, quanto possibilità di contemplazione.
Dalla contemplazione arriva la comprensione.
Se si è impegnati a sbarcare il lunario, non si ha tempo per la mente, quindi non ci può essere maturazione individuale, e perciò sociale.

La sottrazione del tempo è un perfetto strumento per rallentare e quindi arrestare il progresso umano.
Per controllarlo.

13 febbraio 2010 

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martedì 9 aprile 2013

MOLESKINE 3 - Riflessioni sul Terzo Millennio

Nessuna conquista scientifica, o tecnico-scientifica, che possa realmente trasformare la società procurando un più equamente distribuito benessere senza danni per il pianeta e per la nostra e le altre specie, potrà mai determinare tale trasformazione se non sarà accompagnata da una rivoluzione culturale, sociale e politica. 

Una rivoluzione che ognuno deve operare innanzitutto all'interno di sé.

E' necessario che ognuno di noi si riconosca in questo obbiettivo comune.
Che la società umana intera ci si riconosca. 

E dobbiamo pretendere e rivendicare con determinazione la messa in atto, da parte di chi ci rappresenta e governa, di tutte le azioni e le misure atte al suo conseguimento.


6 gennaio 2012

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MOLESKINE 2

Parole o immagini?
Per le parole nessuno ha più tempo. Né di leggerle, né di ascoltarle.
L'immagine è il segno del nuovo linguaggio.

Denunciare la tortura, la guerra, la violenza, la fame, attraverso la diffusione di fotografie spietate dovrebbe scatenare lo sdegno e improntare gli animi a un cambiamento profondo.
Lo stesso risultato sarebbe possibile spiegando tutto quanto sta a monte della tortura, della guerra, della violenza, della fame. Dalle implicazioni economico-politiche, alla consapevolezza che la crudeltà fine a se stessa  è una predisposizione in alcuni individui affatto latente. Spiegazioni per poter attribuire le responsabilità a tutti coloro cui vanno attribuite.
Ma tale processo, inevitabilmente più lungo e complesso, rischia di incontrare l'attenzione solo di quella sparuta cerchia di ostinati che, per necessità personale, deve comprendere la connessione tra le cose.
E poi, per faccende come la tortura, la pedofilia, l'eccidio, non serve conoscere cause e concause per opporre un netto rifiuto. Un rifiuto che deve sorgere spontaneo. Quindi un'immagine.

Ma le immagini liberano?
Inducono realmente una riflessione? O soltanto suscitano un'emozione forte ma momentanea?
Alla fine anche le immagini più sconvolgenti lasciano appena una scia di nausea e l'idea confusa di qualcosa che non va. 
Poi decadono sul fondo dell'animo in successiva stratificazione, humus per un cinismo sedato e imbelle che ci obbligherà a una maggior dose di schifo, la prossima volta, per avere almeno un sussulto di umanità.

gennaio 2012

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domenica 7 aprile 2013

MOLESKINE

Come spiegare lo stato delle cose? 
La perseveranza umana nel dar fondo a ciò che viene follemente proclamato inesauribile, in barba all'entropia e al buon senso? 
Semplicemente l'uomo preferisce mettersi nei guai che in discussione. 

La perdita di una delle più grandi conquiste dell'uomo: il nesso di causalità. 

(ho deciso di trascrivere ogni tanto da una vecchia moleskine frasi estratte aprendola a caso; non riesco a star dietro a ciò che accade ogni giorno riuscendo a scriverne in modo esauriente, anche perché spesso resto annichilita e tutte le parole mi paiono totalmente prive di vigore fecondo)



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