lunedì 18 febbraio 2013

FRATELLO

Ha 46 anni. E’ nato in Bangladesh. Ed è un uomo fortunato. 
Vive e lavora in una città di riviera, clima mite, turismo, macchia mediterranea. Per tutta la stagione estiva cammina lungo il litorale per vendere monili, bandane, e poco altro. Porta anche un secchio con fette di cocco. D’inverno son rose, scimmiette dagli occhi lampeggianti di rosso, accendini. 
Quando arriva alla nostra spiaggia di pietre sotto Capoberta, fa una pausa, siede con noi, gli offriamo una sigaretta, lui ci offre il cocco, parliamo. Comunichiamo, perché parlare risulta difficile. Niente italiano, se non cinque parole in croce, e quanto all’inglese arriviamo a dieci. Ha portato una maglietta e un pareo per fare il bagno con noi. Li ha infilati per l’evenienza in un tubo che sbuca dal muraglione di pietra, da non doverseli portare avanti e indietro. Senso pratico e capacità di vedere le cose per quello che potrebbero essere oltre che per quello che sono. 
Uno di noi lo ha chiamato Fratello, come si chiamano tra loro i maschi amici di questa compagnia, e questo è diventato il suo nome. Anzi il nome comune con cui si chiamano tra loro, e con cui lo chiamiamo noi donne. Condivide una camera con dei connazionali qui a Imperia, ha il permesso di soggiorno, la licenza di ambulante e paga le tasse sul misero guadagno che a stento lo fa sopravvivere. Son tre anni che non vede moglie e figli e ne passeranno ancora parecchi prima che possa permettersi un volo di rientro. Se mai accadrà. Ma è un uomo fortunato. 
Negli Emirati Arabi gli operai del Bangladesh, insieme a cingalesi, indiani, birmani, thailandesi, cioè l’80% della popolazione e il 95% della forza lavoro, invece si suicidano. 
Paghe misere, un massimo di 300 dollari al mese, che spesso non vengono neanche saldate, condizioni di lavoro con orari disumani, e la totale assenza di condizioni di sicurezza. Passaporti requisiti dai datori di lavoro e contratti scritti in arabo in cui si accettano salari di molto inferiori al pattuito fatti firmare a forza. Inoltre con la recessione, molti cantieri vengono fermati: anche nella grande Dubai si percepisce che non è più come negli anni ’60 e ’70 e si rallenta il ritmo. E questi lavoratori che hanno raggiunto gli Emirati contraendo debiti per pagarsi il viaggio, si ritrovano senza lavoro, senza la paga promessa per quello che hanno lavorato, senza soldi per mangiare, nell’impossibilità assoluta di saldare i debiti contratti, e con la certezza, nel caso di riuscire miracolosamente a rientrare nel proprio Paese, di rischiare la vita e farla rischiare ai propri famigliari. Per molti di loro l’unica via d’uscita è la morte. 
Sì, Fratello è un uomo molto fortunato. 

estate 2012 

Tutti i diritti riservati
 

Nessun commento: