venerdì 8 febbraio 2013

TRI

Due mesi fa (maggio 2007) è stato sottoscritto il protocollo della TRI, la Terza Rivoluzione Industriale. Più precisamente, è stata diramata una dichiarazione scritta da parte del Parlamento Europeo in cui si afferma che i principi della TRI rappresenteranno le linee guida per i progetti economici a lungo termine dell’Europa. Qual è l’obiettivo e quali sono questi principi? L’obiettivo è la conquista dell’indipendenza energetica e i punti cardine per riuscirci sono il passaggio alle fonti energetiche rinnovabili, la trasformazione del patrimonio immobiliare mondiale (ogni edificio produrrà, immagazzinerà e distribuirà energia), l’utilizzo della rete internet per rendere la rete elettrica una rete di produzione e condivisione dell’energia (!), la conversione di tutti i mezzi di trasporto in veicoli a celle a combustibile che possano usufruire della rete elettrica trasformata. Fantascienza? Lo sembra. Ma gli appassionati del genere sanno che le visioni di tanti autori di fantascienza altro non sono stati e non sono che analisi della contemporaneità e anticipazione del futuro. 
Con le dovute scremature. 
Ora il punto è, perché sostenere la Terza Rivoluzione Industriale? 

Alcuni dati e osservazioni in ordine sparso: 

• il picco di petrolio pro capite, e cioè se immaginassimo di distribuire equamente per abitante il petrolio a oggi disponibile, la quota individuale sarebbe inferiore a quella del 1979, ovvero abbiamo già superato il picco in questione. Da non confondere con il picco della produzione petrolifera, cioè l’estrazione avvenuta di metà delle risorse mondiali disponibili ( per gli USA il picco di produzione petrolifera interno è stato raggiunto nel 1970 circa e questo può spiegare l’incremento di certe scelte politico/militari, nonché la definizione del diritto all’approvvigionamento di fonti energetiche ovunque sul pianeta quale questione di Difesa Nazionale – meglio prima consumare quello degli altri e salvaguardare le proprie riserve) 

• da circa un decennio la produzione di greggio non riesce a soddisfare l’aumento della domanda; ce ne sarà forse ancora per un valore di parecchie decine di migliaia di miliardi di dollari, ma è sempre meno quello che può essere prodotto facilmente a costi contenuti 

• l’aumento della produzione determina un aumento del costo del petrolio 

• le grandi recessioni sono collegate al prezzo del petrolio, quando il prezzo al barile raggiunge e supera i cento dollari, l’economia globale è a rischio 

• i combustibili fossili non si trovano ovunque: proteggere l’accesso ai giacimenti richiede investimento di risorse militari e gestione geopolitica 

• la Royal Dutch Shell, la Exxon Mobil,e la Bp, con circa 500 multinazionali sotto di loro, gestiscono circa 22.550 miliardi di dollari all’anno, e cioè poco meno di un terzo del PIL mondiale (65 trilioni – 2011), basando la loro sussistenza sui combustibili fossili 

• aumentano i conflitti per l’accesso alle fonti di energia 

• l’approvvigionamento di combustibili da Stati esteri genera quasi sempre dipendenza, con il rischio, in situazioni di emergenza, di discontinuità di fornitura e chiusura dei rubinetti, oltreché di spropositati aumenti. 

• nel mondo circa 450 reattori nucleari producono poco più del 6% dell’energia totale. Per ridurre le emissioni in misura percettibile e utile, secondo attendibili e congiunti studi della comunità scientifica internazionale, bisognerebbe incrementare tale percentuale fino al 20%. Ciò comporterebbe la necessità di arrivare a 1500 reattori: 3 nuove centrali al mese per i prossimi 40 anni, troppo tempo per come siamo messi e per poter parlare di beneficio reale, e con un costo previsto di 12.000 miliardi di dollari (poco più della metà del fatturato annuo delle multinazionali di cui sopra!). Senza contare che anche l’uranio è una risorsa a termine. 

• si calcola che sfruttando il 20% dei venti disponibili sul pianeta si produrrebbe 7 volte di più di energia di quanta ne abbisogniamo oggi 

• i mutamenti/sconvolgimenti climatici avvengono più rapidamente: gli esseri umani possono provare a spostarsi a tale velocità (con le problematiche che conosciamo) ma animali e piante no 

• i ricercatori rilevano ovunque aumenti di temperatura, con ridotta crescita arborea, variazioni sul ciclo dell’acqua, rilascio di quantità troppo elevate di biossido di carbonio e di metano 

• la popolazione mondiale è in aumento esponenziale (1 mld di nuovi nati ogni 10 anni) e poco meno del 20% di essa detiene i 5/6 delle risorse (di casa propria e prese a casa di altri) 

• desertificazione, salinizzazione, eutrofizzazione, disboscamento, inondazioni, uragani, riduzione delle aree coltivabili, i conflitti sociali che ne conseguono, la presenza di regimi autoritari e collusi, rendono sempre più deleterio l’approvvigionamento di risorse nei Paesi in via di sviluppo che ne sono i maggiori depositari 

• mantenere infrastrutture obsolete, sul medio/lungo termine costa più che realizzarne di nuove efficienti 

• la produttività viene considerata il risultato della quantità di prodotto per capitale e forza lavoro investiti, ma ciò spiega meno del 20% della produttività conseguita; la differenza è data dal fattore energia, che dal calcolo viene escluso. Tenendo conto anche di tale fattore il miglior investimento sarebbe dato dal raggiungimento della maggior efficienza termodinamica 

• alla base della nostra società c’è l’obsoleta definizione economica classica che intende lo spazio come contenitore di risorse passive 

• la meccanica di Newton che riferisce che ad ogni azione ne corrisponde un’altra uguale e contraria, non tiene conto di fattori quali il trascorrere del tempo e l’irreversibilità degli eventi; la termodinamica e il concetto di entropia, coniato da Rudolfh Clausus nel 1868, delineano un quadro più veritiero. Secondo la prima legge della termodinamica, l’energia non può essere creata né distrutta e rimane costante in eterno, cambiando forma in una sola direzione, da disponibile a indisponibile. La seconda legge dice che l’energia fluisce sempre dal caldo al freddo, dal concentrato al disperso, dall’ordinato al disordinato. Una volta utilizzata ne resta sempre meno di libera per compiere ulteriore lavoro. Questa è l’entropia. Ogni essere vivente si mantiene in vita assorbendo ininterrottamente energia dall’ambiente al costo di una crescente entropia generale. Più una civiltà è evoluta, più consuma e produce, più aumenta il disequilibrio quindi l’entropia. Se ciò può apparire non determinante al cospetto di fonti energetiche quale è il sole, lo è grandemente per una società come la nostra, fondata sull’uso di un’energia da combustibili fossili e minerali metallici, la cui quantità è fissa e finita, almeno per quanto concerne un orizzonte geologico temporale che abbia un senso rilevante per la nostra specie. Che tra milioni di anni possano essersi riformate ulteriori risorse fossili non ci risolve il problema. In pratica le leggi della termodinamica determinano la nostra esistenza e sarebbe il caso che fossero materia privilegiata di studio per politici ed economisti 

• supporre che il ritmo di crescita possa continuare all’infinito contraddice le nostre più elementari conoscenze scientifiche sulle proprietà della terra, nega il concetto di biosfera e di feedback circolare (ogni forma di vita è regolato da orologi biologici che adattano i processi biologici delle forme di vita al ritmo/ciclo generale della biosfera e del pianeta: rispettare tali ritmi/cicli determina la sopravvivenza di una specie) 

• l’ammontare degli scambi finanziari mondiali quotidiani, superiore a 500 mld di dollari, corrisponde a una cifra di gran lunga eccedente a quanto occorrerebbe a finanziare lo sviluppo industriale e commerciale del pianeta secondo i nuovi principi della TRI. Ad esempio per portare la generazione elettrica statunitense da fonti geotermiche a livello competitivo, servirebbe un investimento di 3/400 milioni di dollari in 15 anni! Una tassazione proporzionale delle transazioni finanziarie è più che mai necessaria ( e anche una più severa regolamentazione) 

• Le fonti rinnovabili sono ovunque mentre i combustibili fossili sono solo in alcuni luoghi 

• Ecc. ecc. ecc 


Le mie conclusioni sono che: 

 - la riconversione industriale e la trasformazione su scala mondiale del patrimonio immobiliare in unità di produzione/distribuzione dell’energia attraverso reti infonergetiche e il conseguente boom edilizio, creerebbero milioni di posti di lavoro su tutto il pianeta con la prospettiva di migliorarne le condizioni, favorendo anche la nascita di piccole imprese che già oggi creano l’80% dei nuovi posti di lavoro in EU, e il 65% negli USA 
- esistono le premesse, come accuratamente evidenzia Jeremy Rifkin, perché tale profondo cambiamento avvenga: la prima rivoluzione industriale nacque dall’unione del vapore con la stampa, la seconda da quella del motore a scoppio con l’elettricità e le nuove forme di comunicazione, la terza potrebbe prendere il via dalla condivisione digitale unita alle fonti energetiche rinnovabili 
- si passerebbe da una gestione gerarchica delle risorse a una gestione laterale delle stesse, con una democratizzazione dell’energia, attraverso la diffusione dell’accesso ad esse a un numero sempre crescente di individui senza aumentare l’impronta ecologica 
- l’autosufficienza energetica, essendo le fonti rinnovabili, se pur in forme diverse, disponibili dappertutto, farebbe diminuire i conflitti 
- riuscire a garantire a tutti un livello di vita buono utilizzando il sole, il vento, le maree, il calore della terra, investendo il denaro risparmiato da petrolio e armamenti in ricerca e sviluppo, ci renderebbe individui migliori e più felici Esistono le premesse, l’humus e le motivazioni a supporto perché questa profonda transizione avvenga. Resta da neutralizzare l’avidità: perché rinunciare a raschiare il fondo dei barili? In fondo per le ottuse menti di uomini ciechi che ragionano, se va bene, nei termini temporali della propria esistenza, i ricavi che l’economia da combustibili fossili può ancora generare, valgono la vita delle generazioni future, a partire da quella dei propri figli. 

luglio 2007 - dati aggiornati al 2011 


Il post carbonio. Come già, ammettendo di fumare, iniziamo a imbarazzarci al cospetto di evoluti nordici che ci osservano come obsoleti individui aggrappati a usi e costumi destinati a scomparire, individui inconsapevoli di essere entrati in una nuova era, e motivano il proprio sguardo di rimprovero non con i rischi per la salute, non solo, ma, principalmente, con quelli connessi al costo sociale, in termini di costi sanitari e quant’altro, ecco, ugualmente, dovremmo porci riguardo alla produzione e all’uso dell’energia come noi li concepiamo. Con profondo imbarazzo. 

Intanto per l’autunno 2012 è stata riesumata la serie televisiva “Dallas” – petrolio e allevamenti industriali. 

Leggo su Internazionale di novembre 2012: “Il petrolio è al centro dei nostri piani di sviluppo – spiega Rosaria Vicino, sindaco di Corleto Perticara (PZ) – è l’elemento su cui si basano le nostre speranze” 

Nel 2011 sono stati stanziati 88 miliardi a livello mondiale per sostenere le energie rinnovabili a fronte di 523 miliardi di dollari dati a sostegno dei combustibili fossili! (fonte: World Energy Outlook 2012 dell’International Energy Agency) 

Abbiamo avuto varie età nella nostra evoluzione. Direi che un duecento anni per quella del petrolio, visti e considerati gli esiti, è più che sufficiente. Ritrovarsi oggi, a un nulla dalla fine di un’epoca, senza avere in mano un’alternativa è da imbecilli. 
Ora però si parla di gas non convenzionali. Distribuiti piuttosto uniformemente sul pianeta e in abbondanza. Peccato che per l’estrazione sia necessario iniettare ad alta pressione grandi quantità d’acqua mista a reagenti chimici. Della prima non ne abbiamo abbastanza, dei secondi faremmo volentieri a meno. 


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