Alle elementari ricordo che ci parlavano degli Stati Uniti d’America come di un gran posto dove vivere. La libera iniziativa: ognuno poteva avere la propria grande opportunità.
Parliamo di poco meno di 40 anni fa. Sono quelle cose che rimangono impresse. Come le Brigate Rosse, la ricerca spaziale, Seveso, la morte di Franco, la dittatura di Pinochet, la televisione a colori, i supermercati.
A distanza di anni è evidente che gli USA sono, invece e da tempo, il luogo dove si concentra e da cui è partita una nuova concezione della vita, anzi una concezione di gestione della vita, che è ben lungi dall’immagine di cui sopra, e che è divenuta pensiero acquisito e dominante.
Culla delle corporations più potenti del pianeta (alle quali è riconosciuta la figura giuridica di “persona”), delle organizzazioni internazionali più potenti (FED, BM, FMI ecc.), di think thank che lavorano a pieno regime, nonché promotori di accordi internazionali con poteri sovranazionali, gli Stati Uniti d’America stanno tra-sfigurando la società umana, il concetto stesso di società umana. Che diventa contenitore di risorse. Da utilizzare.
In barba ai principi della Costituzione.
Si proclama la necessità, e la si sancisce legalmente come questione di sicurezza nazionale, dell’uso unilaterale della forza per difendere gli interessi vitali del Paese, interessi che includono la garanzia di accesso illimitato ai mercati chiave e alle forniture e risorse energetiche presenti sul pianeta. Non si aderisce al Trattato di non proliferazione nucleare e si rivendica il ruolo di difensori del mondo. Si consuma più di un quarto della produzione mondiale di alimenti e beni pur essendo solo il 4% della popolazione mondiale. Si liberalizza completamente, nell’arco di vent’anni, il mercato dei derivati, il cui ammontare oggi supera circa dieci volte il Pil mondiale, con le conseguenze che ben conosciamo, e si pretende sostegno alle banche.
Inoltre.
Uso sistematico del veto alle risoluzioni ONU, perenne violazione del Diritto Internazionale. Quattro quinti della popolazione USA esclusa dalla domanda internazionale di servizi, un sesto della popolazione sotto la soglia di povertà, sistemi pensionistico e sanitario al collasso, altissimo debito estero (300 mld $ gli interessi annui sul debito nazionale e cioè il 15% della spesa nazionale annua), bolla immobiliare, credito al consumo. Stop all’immigrazione e sì alle misure protezionistiche interne. Biocolonialismo. Tea party. Produttività industriale che viene dalla chiusura di fabbriche e dalla riduzione della forza lavoro. Media sotto controllo (molti americani credono che siano state trovate armi di distruzione di massa in Iraq e che l’intervento militare abbia avuto il beneplacito della comunità internazionale), libertà civili compromesse (UPA Usa Patriot Act). Crescita patrimoniale per l’11% della popolazione.
Insomma uno stile di vita non negoziabile. Per quell’11%.
Ma da questa politica viene una visione ormai globale che non paga.
Un sistema mercantilistico oligopolista, sotto le spoglie di una fittizia globalizzazione e di un fasullo libero mercato, in cui le politiche a favore della democrazia pare servano solo ad allentare la pressione verso cambiamenti sociali e democratici più radicali. Cambiamenti dall’alto verso il basso che non rischino di capovolgere le tradizionali strutture di potere.
Un sistema di mega società e di banche, strategicamente connesse, che gestiscono l’economia globale e si affidano al potere statale per la socializzazione dei rischi. Liberalizzazione dei flussi finanziari e dei mercati valutari internazionali. Divulgazione della filosofia del futile e della paura. Quasi un esperimento di ingegneria sociale.
Il cittadino americano medio, troppo occupato a sbarcare il lunario, non ha né tempo né voglia di interessarsi alle culture altre e spesso non sa individuare luoghi su una carta geografica, come può quindi comprendere la necessità/liceità di un intervento militare/umanitario o economico e prendere coscienza dei mutamenti planetari in atto, dando un avvallo consapevole alla politica estera del proprio governo?
Il neonato movimento di Occupy Wall Street temo avrà vita breve: rabbia ed entusiasmo non sono sufficienti. Ci vuole un piano. E mezzi. E i mezzi sono già tutti occupati. Politici ed economici. Internet non è sufficiente. Anzi rischia di dare l’illusione di poter fare chissà che. Ma l’ordine socio economico in cui viviamo non è che l’esito di decisioni prese all’interno di istituzioni create da noi. Come si suole dire, le decisioni si possono cambiare e le istituzioni anche. Nella storia dell’uomo è già accaduto, perché non potrebbe succedere di nuovo? Ma perché questo accada è fondamentale una partecipazione attiva alla vita politica da parte di tutti che non si limiti a una crocetta sul nome meno ributtante o sull’illusione, ipotetica, che essere neri significhi necessariamente essere buoni.
ottobre 2011 – aggiornato –
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