Parto
dai fatti. Quelli evidenti. Li elenco. Come i termini di un problema
da risolvere.
Prima
di tutto il terreno di coltura su cui operare. La condizione di
partenza è che siamo nel pieno di un mutamento generale della vita
sul pianeta, un mutamento di una portata quale non avremmo mai
immaginato e di cui non siamo evidentemente coscienti nella misura
necessaria.
Innanzitutto
un mutamento dell'ambiente in cui viviamo, che si è ridotto di
dimensioni, qualità, risorse, con una conseguente e progressiva
inabitabilità dei territori che obbliga a una revisione radicale del
modello geopolitico esistente.
Poi
abbiamo un'oggettiva trasformazione dei rapporti di potere, una
dirompente rivoluzione scientifico tecnologica, una rivoluzione nelle
modalità di comunicazione, una significativa mutazione della
struttura sociale. Da ciò anche una trasformazione degli individui,
una mutazione antropologica di Pasoliniana memoria. Anche se forse
ormai anche e soprattutto a livello neurofisiologico, oltreché
concettuale e culturale. Anzi, direi che i due livelli si stanno
fondendo inesorabilmente.
Da
questo primo breve elenco si potrebbe estrapolare la rivoluzione
tecnologica come fattore di positività ma, per ora, manterrei una
valenza neutra.
Un'altra
premessa obbligata per provare a immaginare uno scenario futuro
verosimile consiste nell'ammettere che la politica agli inizi del XXI
secolo è una politica priva di grandi visioni. Per i singoli stati
il governare si è ridotto a un mero amministrare, bene o male, la
cosa pubblica internamente ai propri confini nazionali, senza alcuna
funzione di guida, privi della più pallida idea di dove saranno i
Paesi cui si sovrintende tra vent'anni e tanto meno di dove sarà il
mondo. I politici non lo comprendono il mondo e credono di non aver
alcun obbligo di comprensione al riguardo. Ben lieti di cederne
l'amministrazione al mondo dell'economia e della finanza.
Governi
che, rispetto alla realtà, sono in differita di minimo un ventennio.
Siamo di fronte a un divario di quasi mezzo secolo tra la forma
mentis e, quindi, le convinzioni che dettano le scelte dei nostri
politici e la realtà su cui tali scelte dovrebbero avere un impatto
costruttivo e lungimirante. Come a dire di voler risolvere i problemi
del 2030 con la testa nel 1980. Del tutto ignoranti e per nulla
intenzionati a colmarlo questo divario, incapaci di risolvere
problemi urgenti e rispondere alle istanze dei popoli della terra,
costoro creano un vuoto di potere che sarà inevitabilmente colmato
da nuove e più efficienti strutture che non è detto avranno le
caratteristiche di trasparenza e democrazia che diamo per scontate.
Una totale e allarmante perdita di controllo degli eventi prossimi.
Un fallimento senza ritorno nell'indicare una visione perlomeno
ragionevole del futuro.
Gli
stessi elettori, salvo eccezioni, non sanno nulla dei temi che
saranno decisivi per determinare la società futura. Incapaci, senza
sbuffare, di leggere un articolo di giornale dall'inizio alla fine,
un romanzo che rispetti la consecutio temporum, una qualsiasi cosa
che richieda una minima capacità di concentrazione, del tutto
digiuni di politica internazionale e dei meccanismi e connessioni che
determinano gli eventi, come si può pretendere che prendano anche
solo lontanamente in considerazione argomenti tanto, apparentemente,
lontani come, ad esempio, la biotecnologia, il decadimento biologico
dell'ecosistema, gli obiettivi dei post umanisti, l'intelligenza
artificiale, il datismo, correlandoli tra loro? Già il fatto che
qualcuno possa proporre loro di farlo susciterebbe un alzata di
sopraccigli e uno sguardo di scherno. Roba da intellettuali, da chi
ce l'ha grassa. I veri problemi sono altri! Il fatto è che queste
stesse persone percepiscono però chiaramente che qualcosa non
funziona, che i governi non riescono a far fronte alle necessità,
che il proprio voto non ha una presa reale sul potere e riescono
solo, sulla base certo di alcuni presupposti veri, a dare colpe a
caso. Ad esempio all'UE, che si sarebbe appropriata dei diritti di
tutti per cedere agli interessi di una lobby occulta, e quindi
vogliono uscirne o ai flussi migratori o a ciò e a chi, a turno,
capita sotto. La realtà è che nessuno sa dove sia finito il potere
reale. Certo non tra le mani delle persone comuni. Per quanti cortei
possano percorrere le strade del mondo, non influenzeranno mai
concretamente le decisioni di chi lo detiene. Perché le persone che
compongono i cortei non hanno la benché minima influenza nel
determinarlo. Chi regge le fila, un pugno di umani, si è
adeguatamente parato le spalle e, tutto sommato, non ha bisogno del
benestare di nessuno. Da opporre abbiamo solo impegno civile e
partecipazione politica ma il livello di competenza di chi gestisce
la politica è insostenibilmente basso e la rassegnazione collettiva
a votare il meno peggio ha portato infine, in un gioco al ribasso, a
una caduta libera in cui ci si arrende persino all'assenza del minimo
sindacale di competenza richiesta a chi ricopre un ruolo di
amministrazione e di guida. Trasformando l'elettorato in un demos
inerte e viepiù privo di coscienza critica. Siamo in una democrazia
demoscopica in cui il popolo si esprime su una manciata di questioni
senza cognizione di causa. In tale condizione non si dà una
partecipazione consapevole e attiva né si sviluppa un autentico
interesse per la politica.
Perciò
si continua a ragionare all'interno delle singole nazioni del tutto
privi di una visione d'insieme che vada la di là di Pil, Spread, e
affini.
Con
un'opinione pubblica che si deteriora ulteriormente a causa
dell'evidente progressivo decadere della qualità dell'istruzione e
dei media. E, allo stesso tempo, un'opinione pubblica delusa dalle
promesse infrante di un futuro prospero, arrabbiata, e determinata a
ritrovare perlomeno una condizione di benessere e sicurezza quale la
si è conosciuta fino a qualche tempo fa. Malauguratamente però
troppo presa da problemi quotidiani e contingenti per guardare alla
luna anziché alla punta del dito. E forte dell'illusione che gli
esseri umani si stiano liberando, grazie al cyber spazio, dei vincoli
fisico materiali che invece li contraddistinguono. In un processo di
adeguamento alla virtualità che porta a non comprendere quasi più
la materialità del pianeta in cui si vive, drammaticamente persuasi
di poter rimediare indefinitamente ai Game Over con l'introduzione di
un'altra monetina.
Non
è una bella situazione e, oltre a lasciare gli ultimi dove sono,
anzi ingrossandone le fila, che i governanti perseverino
nell'ignorare e nel negare le vere cause alla base delle
rivendicazioni di chi viveva in una società relativamente omogenea e
ora si ritrova a non sapere più qual'è il proprio posto nel mondo,
significa abbandonare una massa sterminata di persone al potere di
chi sfrutta i timori a proprio vantaggio.
La
maggior parte dei fenomeni politici attuali nel mondo esprimono
questo sentimento di esclusione dal processo di cambiamento economico
sociale. Conservatorismo e xenofobia sono le principali tra le
conseguenze di tale sentimento. L'Europa, ad esempio, che ha avuto il
grande merito di cancellare le guerre all'interno di un vasto
territorio, infine ha soltanto promosso un pensiero politicamente
benpensante ma non ha affrontato i problemi alla radice e con una
strategia unitaria. In un mondo in cui il dibattito sul futuro è più
che altro un catalogo di ingegnerie avanzate che mostrano come
saranno le nostre case automatizzate o come saranno efficienti i
nostri devices, in cui si pensa solo ad incentivare l'industria dei
nuovi bisogni per evitare che la macchina produttiva si arresti,
senza nemmeno considerare l'ipotesi di trasformarla, in cui è ormai
evidente che gli stili di vita della “modernità” sono
praticabili solo per una ristretta porzione della popolazione
mondiale e che la promessa universalistica fatta dalla civiltà
industriale è stata una mistificazione, cosa ci si può aspettare?
Da
una parte abbiamo Pentagono e Ministeri della Difesa di USA, Regno
Unito, e Australia, che considerano il cambiamento climatico e le sue
conseguenze il maggior fattore di destabilizzazione sociale, si
organizzano e investono la parte più grande del loro budget su tale
analisi, e hanno come priorità in agenda la sorveglianza di tutto
quanto correlato ai problemi ambientali. Abbiamo coloro che portano
avanti quella che Christian Parenti ben definisce politica della
scialuppa armata, cioè un’opzione che combina interventi
contro-insurrezionali a lungo termine, frontiere militarizzate e
un’aggressiva politica anti-immigrazione, laddove per gli
stati-nazione la priorità sarà esclusivamente tutelare le proprie
risorse tenendo a bada le maree di poveri, di rifugiati climatici, e
di variamente esclusi.
Dall'altra
parte abbiamo una maggioranza di individui che non presta attenzione
(non in grado/non più in grado di farlo) alle tesi sensate,
ragionate, circostanziate, e su cui fanno presa solo frasi
sintetiche, efficaci, apocalittiche. Abbiamo discussioni sui social
che sono cloache a cielo aperto, dove regnano scortesia, volgarità,
stupidità, prepotenza. Abbiamo ceti medi frustrati e incapaci di
identificare le cause dei problemi, e quindi di eliminarle, che si
accontentano di capri espiatori subalterni. Perché coloro che sono
stati aiutati a raggiungere una situazione migliore rispetto alle
generazioni precedenti, sono stati sostanzialmente trasformati in
buoni consumatori più che in buoni cittadini, e come tali si
comportano e pretendono. Inoltre se è vero, in termini assoluti, che
c'è stato un progresso nelle condizioni degli individui, e rispetto
al passato sono meno le persone che patiscono fame e malattie, in
termini relativi, oggi, alla luce delle reali possibilità di rendere
fruibile a tutti un benessere degno, la percentuale di coloro che ne
sono esclusi è la prova di un regresso, soprattutto nella misura in
cui tale percentuale è in crescendo nonostante lo sviluppo
tecnologico e le scoperte scientifiche. Abbiamo Paesi rancorosi e
vecchi, di analfabeti funzionali, e Paesi che reclamano il loro
turno. E l'educazione, come tentativo non di insegnare la verità ma
di trasmettere il desiderio di conoscerla, è venuta meno. Tutto è
relativizzato. I fatti non esistono. Esistono solo le
interpretazioni. È possibile sostenere qualsiasi cosa. Ma non
dimentichiamo che un'interpretazione è però anch'essa un fatto in
quanto determina conseguenze concrete. Nel bene e nel male.
Dunque,
a partire da questi due fronti, quale futuro è possibile?
Bisognerebbe
pretendere che chi governa, oltre ad essere onesto e non colluso,
studi, legga, si documenti, chieda consigli e decida per
l'amministrazione del proprio carruggio in un'ottica di integrazione
con l'amministrazione di tutti gli altri carruggi del mondo.
Sono
fermamente convinta, e a più riprese in passato l'ho ribadito, che
l'unica via sia quella di un governo globale del pianeta, una
federazione planetaria che garantisca il rispetto di norme comuni in
ambiti di interesse collettivo, a prescindere dai confini e dai vari
accordi commerciali bi, tri, e multilaterali. Ambiente, salute,
istruzione, agricoltura, industria, alimentazione, commercio, lavoro.
Con l'intento di creare una cittadinanza mondiale che non annulli
quelle nazionali in termini di lingua, cultura e tradizioni, sempre
che le stesse rientrino nel rispetto delle norme di cui sopra. Un po'
dittatoriale forse ma dipende dalla capacità di stabilire delle
norme che possano essere di buon grado condivise universalmente. Non
è così difficile. Le soluzioni ci sono. Gran parte del problema
generale è infatti dato dal fatto che nessuno vuole fare il primo
passo in una direzione saggia per paura di ritrovarsi a essere
l'unico e sentirsi fesso. Ma se, da domani, tutti fossero costretti a
fare nello stesso momento una cosa peraltro buona, si farebbe un
passo da gigante verso la soluzione. Siamo a questo punto. I tempi
sono stretti. Se stiamo ad aspettare che gli stronzi e gli avidi
smettano di essere tali, se stiamo ad aspettare il raggiungimento
naturale di una coscienza collettiva siamo fritti.
Non
tutti però. O almeno non tutti subito.
E
qui vengo a ciò che ho osservato in questi ultimi anni.
Aumentano
le comunità nelle quali si pagano imprese private per provvedere a
infrastrutture e servizi e in cui il ruolo dello stato si riduce ad
amministrare settori sempre più piccoli della società con
conseguente indebolimento della coesione sociale all'interno degli
stati nazionali.
Quando
i governi tolgono welfare e riducono la spesa pubblica, chi può si
ritira in abitazioni di lusso, si rinchiude dietro mura, e si
identifica con gli altri che hanno anch'essi qualcosa che può essere
rubato, unendosi schiena contro schiena al centro della città e
lasciando le strade pubbliche ai poveri, agli stranieri, e ai
delinquenti. Anche i numeri reali dei movimenti migratori e della
presenza di stranieri nelle città non vengono considerati
oggettivamente ma si presta attenzione solo all'impatto percepito: la
concentrazione delle etnie nei centri urbani e la concentrazione in
singole zone degli stessi. Se in un quartiere c'è il 50% di
stranieri, facile dedurre che sia così ovunque. Le persone infatti
desumono da quanto vedono attorno a sé ogni giorno sia identico a
quanto accade nel resto del mondo. Perché ciò che non è omologato
lo consideriamo comunque tale attraverso un'espansione della nostra
quotidianità individuale a format universale. Il problema della
convivenza comunque resta ed è serio, è infatti la percezione dello
stesso attraverso le sue conseguenze quotidiane e concrete che conta.
Quindi i cosiddetti processi di gentrificazione diventano strumenti
finalizzati a una pulizia sociale degli ambienti urbani. Luoghi
pubblici dove i muretti hanno sedute in pendenza, dove spicca
l'assenza di panchine, in un processo di dissuasione alla sosta, di
negazione dell'agorà. Poi, gradualmente, vie pubbliche mal curate,
poveri, stranieri, e delinquenti vengono spinti verso l'esterno
dell'urbe da un'inesorabile forza centrifuga creata dall'aumento dei
costi nelle zone centrali, elette a fulcro di potere economico,
sicurezza, efficienza energetica e di servizi. Ricorda qualcosa? In
tutto il mondo, nelle grandi metropoli, i centri urbani assomigliano
sempre più a cittadelle all'interno delle città. Man mano queste
zone assumeranno sempre più l'aspetto di città fortezza così da
permettere a coloro che le abitano di poter condividere spazi comuni
sicuri al di fuori delle proprie super protette abitazioni. Quel che
sarà di terre, mari e cieli, sarà.
Dunque
se la natura è maligna, se l'altro è il nostro rivale, se lo Stato
non ci protegge, allora lo faranno i nostri denari. Con essi
trasformeremo l'urbe a beneficio di noi pochi. Perché poi ci sono
anche quelli che fino all'altro ieri denari ne avevano ma ora non più
a sufficienza e si aggiungono man mano agli esclusi. La diga delle
garanzie sociali della società liberale è ormai crollata. Il
problema non è la diversità, il problema non è la disuguaglianza.
Il problema è e sarà sempre più la miseria. Che dovrà essere
tenuta a debita distanza. Muri contro la minaccia del terrorismo ma
la cui ragione non dichiarata è l'allontanamento e lo spostamento
non autorizzato dei poveri. Purtroppo l'unica forma concreta di
lungimiranza appartiene a coloro che pensando a
lungo termine preparano vie d’uscita per se stessi singolarmente o
in ristretti gruppi di élite. Coloro che non si affidano certo allo
Stato, né si fidano dei loro stessi monopoli o delle guardie armate
che pagano, ma solo della ricchezza e del potere accumulati.
Io
immagino un futuro banale nella sua prevedibilità distopica. Un
futuro in cui l'orbe, per gli spazi ancora abitabili, sarà
costellata da immensi conglomerati circolari, composti da successive
fasce concentriche scollegate tra loro, dove dal centro verso
l'esterno le condizioni di vita andranno da ottime a pessime. Città
circolari in un mondo quale quello della Leonia di Italo Calvino.
Barriere di cemento armato e muri antiesplosione, torrette,
attrezzature per imaging termico, videocamere per la visione
notturna, sensori di movimento, droni, blocchi stradali, tutto
collegato a un sistema di rilevazione satellitare, come già accade,
separeranno tali città dai desolati territori esterni abitati da una
grande parte della popolazione terrestre ai limiti della sussistenza
e senza possibilità di accesso. Gli esclusi, gli ultimi, vivranno,
in insediamenti raffazzonati e degradati che, anziché rimandare
soltanto alle abbondanti e predittive letteratura e filmografia di
genere, oggi possiamo ritrovare agevolmente in notiziari e immagini
del nostro mondo contemporaneo.
Sul
pianeta si va verso una realtà di grandi conglomerati. Sarà un
processo inesorabile e irreversibile, che presupporrà, per
funzionare, la nostra capacità di comprensione e unione.
L'alternativa sarà la disfatta totale. E la distopia di cui sopra.
Dobbiamo
impegnarci a decifrare il
caos sistemico imminente nel quale stiamo entrando, per non essere
impreparati, per essere in grado di gestirlo meglio che potremo passo
dopo passo.
Abbiamo
bisogno, per risolvere il problema della gestione delle risorse con
una popolazione in aumento esponenziale, non solo di tecnologie ma di
autentiche strategie.
Siamo
alle soglie di una rivoluzione tecnologica senza precedenti che
permetterà di penetrare e pilotare la mente delle persone in un modo
invasivo quale non è possibile spiegare senza apparire folli,
inascoltate Cassandre. Ma non dobbiamo aver paura, né avere la
presunzione ottusa di credere che tanto tutto si aggiusterà perché
nei secoli si è sempre aggiustato. Se è accaduto e siamo ancora qui
è stato perché qualcuno si è rimboccato le maniche.
Siamo
di fronte a una sfida gigantesca che concerne tutto: migrazioni,
economia, commercio, tutela dell'ambiente e delle risorse, diritti,
sovranità, liberalismo, qualità della vita, cultura, fino alla
definizione stessa di Homo sapiens.
La
vogliamo vincere o no?
29
dicembre ore 4.15