sabato 4 gennaio 2014

CHI SIAMO?

Apparteniamo a una società, anzi, siamo una civiltà che ritiene più conveniente spendere per rimediare ai danni che produce, anziché (certo costerebbe maggior fatica!) concepire un nuovo modo di vivere e gestire il proprio habitat.

Mi consola sapere che la vita, anche se non la nostra vita, può prosperare in qualsiasi ambiente.

Ma il cambiamento è un'opzione sempre praticabile. Ancora praticabile.

Luglio 2009


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RIVOLUZIONE 4

Durante la rivoluzione del 9 dicembre 2013, a Imperia, è stato bloccato un carro funebre. Un gruppo di manifestanti irriducibili ha leso i diritti di qualcuno e ha quindi contaminato irrimediabilmente il senso della rivoluzione. Se tale in qualche modo la vogliamo considerare.
A distanza di giorni ho scoperto che il corpo nella cassa dentro al carro apparteneva a quell'individuo la cui figlia maggiore si è impiccata ad agosto.
Il primo è stato un moto di soddisfazione. Il secondo di frustrazione e vuoto. Perché, per quanto abbia voluto vederci un segno di giustizia divina, di giustizia non si è trattato e l'unica persona che ne ha patito è stata la figlia minore, sola ad accompagnare i resti di un padre immondo.
Rimando al post "Pena di morte" del 2 ottobre.

19 dicembre

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LIBERTA'

Per quanto possa apparire un paradosso, il concetto di libertà svincolato da quello di responsabilità non esiste. Il termine corretto per definire il tale condizione è impunità.

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giovedì 2 gennaio 2014

TWITTER

I post che scrivo girano in automatico su twitter. Non sono tweet, anzi sono esattamente il contrario. Un uso improprio forse ma ho la formazione da tema di scuola, e la battuta pronta, l’intervento immediato e conciso, oltreché chiaramente opportuno, il commento sagace, o il rimando tempestivo alle parole di qualcun altro non sono mai stati il mio forte. Anche perché non passo le mie giornate a leggere tutto quello che si scrive, piuttosto a sbarcare il lunario. Certo ho un’idea aggiornata di cosa accade nel mondo ma non mi viene proprio da buttar lì poche righe e farle entrare nel flusso. 

A volte penso che se ai tempi del liceo ci fossero stati il pc e anche internet, la mia compagna di liceo Gallesio ed io avremmo fatto faville, e, forse, non sarei stata costretta a interrompere gli studi a vent’anni. Ma questo è un pensiero a parte. 

Poi mi domando, sbirciando sui vari account di twitter e notando l’alto numero di following che certe persone hanno, ma veramente c’è chi segue tutto sul serio? Chi, pur scremando, d’accordo, legge per lo meno la gran parte di ciò che viene twittato dalle persone seguite? Io proprio non ce la faccio. Ho l’impressione che sia un po’ come la raccolta delle figurine, che si tiri ad averne il maggior numero e di giocatori buoni, di quelli che in cambio te ne danno un mazzetto. Me l’han detto in parecchi, se vuoi che ti leggano devi avere il maggior numero di follower possibile e nel mucchio qualcuno ti leggerà, e per averne un tot devi seguirne almeno dieci volte tanto. Certo ritwittare e conversare danno prestigio e visibilità, quanto la validità dei contenuti, e non basta avere i grossi numeri, ma non riesco a togliermi dalla testa che si tratti più che altro di voler stare in mostra. Di gratificare quella parte in noi che vuole sentirsi partecipe senza troppa fatica. 

Lascerò che sulla mia pagina twitter continuino a finire i post del blog, su cui scrivo con i tempi che mi appartengono, consapevole che difficilmente saranno letti, ma sento insinuarsi sempre più forte l’intenzione di abbandonare l’esperienza intrapresa da poco meno di un anno per tornare, nel poco tempo che ho da dedicare all’intelletto, alla narrativa. Mettere mano alle troppe cose lasciate nel cassetto. Il libro stampato continua ad essere nel mio immaginario più rassicurante ed efficace.

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mercoledì 1 gennaio 2014

LA PIU' GRANDE TRAGEDIA DELL'UMANITA'

Il promo televisivo è efficace e convincente. In seconda serata un documentario a tutto tondo sul secondo conflitto mondiale, la più grande tragedia dell’umanità. In parecchie migliaia questa sera seguiremo l’approfondita trattazione dell’argomento, supportata da filmati e documenti. E, per l’ennesima volta, inorridiremo. Di fronte all’incoscienza dell’uomo e di fronte alla sua abiezione. 
Non si perde occasione per ripetere con indignazione l’atto d’accusa, per puntare l’indice e dichiarare, Non si può perdonare. Anniversari di eccidi, giorni della memoria, celebrazione delle vittime, ricerca dei colpevoli ancora impuniti. Documentari, film, sceneggiati, fiction, articoli, servizi radiofonici. 
La più grande tragedia dell’umanità. Di questo si è trattato. Mai più ci dovremo trovare ad affrontare una simile nefandezza. Una tale capillare assimilazione dell’orrore. Un saper così biecamente chiudere gli occhi, tappare le orecchie e il naso. E stare muti. Eppure. Questo ribadire perentorio che allora si è toccato il fondo, che allora è stato il peggio, che da quello che è stato abbiamo appreso e ora siamo migliori, l’eccessivo ripeterlo, lo sbattere in video quelle carni macilente e risucchiate, quei cumuli di corpi, a me arriva come monito subdolo. Plagiar le menti, che si convincano gli animi che quanto è accaduto, peggio non sia possibile. Che tutto l’orrore che ci accompagna, le centinaia di migliaia di morti nel mondo, i conflitti, i soprusi, gli eccidi, gli stupri di massa, le torture, le pulizie etniche, tutto quanto è nostro pane quotidiano, sia, al confronto, minore, trascurabile, passabile. 
Non è memoria ma ode all’oblio. 

novembre 2006 



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