lunedì 31 dicembre 2018

BARBARIE



Mi sanguina l'anima 
di queste sorelle e fratelli macellati
Da tutta una vita e nulla è cambiato

sabato 29 dicembre 2018

SENZA PAROLE


MERITA D'ESSERE SFOGLIATO CON LENTEZZA


Senza parole di Roger Olmos, Logosedizioni

APPUNTI SUL FUTURO

Qualche tempo fa, il mio amico scrittore Marino Magliani mi disse di dover scrivere un pezzo sul futuro. Non precisò altro ma diede a intendere che vista la complessità del tema avrebbe atteso di potercisi dedicare con la dovuta calma. Gli risposi che anch'io da tempo avrei voluto scrivere qualcosa in merito ma, per i medesimi motivi, avevo sempre rimandato. A distanza di alcuni mesi, in questa notte di insolita insonnia, ho deciso di buttar giù a ruota libera un po' di pensieri e vedere cosa ne viene fuori. Non per rubargli l'idea certo ma perché, su un tale argomento, più punti di vista i sono meglio è.
Parto dai fatti. Quelli evidenti. Li elenco. Come i termini di un problema da risolvere.
Prima di tutto il terreno di coltura su cui operare. La condizione di partenza è che siamo nel pieno di un mutamento generale della vita sul pianeta, un mutamento di una portata quale non avremmo mai immaginato e di cui non siamo evidentemente coscienti nella misura necessaria.
Innanzitutto un mutamento dell'ambiente in cui viviamo, che si è ridotto di dimensioni, qualità, risorse, con una conseguente e progressiva inabitabilità dei territori che obbliga a una revisione radicale del modello geopolitico esistente.
Poi abbiamo un'oggettiva trasformazione dei rapporti di potere, una dirompente rivoluzione scientifico tecnologica, una rivoluzione nelle modalità di comunicazione, una significativa mutazione della struttura sociale. Da ciò anche una trasformazione degli individui, una mutazione antropologica di Pasoliniana memoria. Anche se forse ormai anche e soprattutto a livello neurofisiologico, oltreché concettuale e culturale. Anzi, direi che i due livelli si stanno fondendo inesorabilmente.
Da questo primo breve elenco si potrebbe estrapolare la rivoluzione tecnologica come fattore di positività ma, per ora, manterrei una valenza neutra.
Un'altra premessa obbligata per provare a immaginare uno scenario futuro verosimile consiste nell'ammettere che la politica agli inizi del XXI secolo è una politica priva di grandi visioni. Per i singoli stati il governare si è ridotto a un mero amministrare, bene o male, la cosa pubblica internamente ai propri confini nazionali, senza alcuna funzione di guida, privi della più pallida idea di dove saranno i Paesi cui si sovrintende tra vent'anni e tanto meno di dove sarà il mondo. I politici non lo comprendono il mondo e credono di non aver alcun obbligo di comprensione al riguardo. Ben lieti di cederne l'amministrazione al mondo dell'economia e della finanza.
Governi che, rispetto alla realtà, sono in differita di minimo un ventennio. Siamo di fronte a un divario di quasi mezzo secolo tra la forma mentis e, quindi, le convinzioni che dettano le scelte dei nostri politici e la realtà su cui tali scelte dovrebbero avere un impatto costruttivo e lungimirante. Come a dire di voler risolvere i problemi del 2030 con la testa nel 1980. Del tutto ignoranti e per nulla intenzionati a colmarlo questo divario, incapaci di risolvere problemi urgenti e rispondere alle istanze dei popoli della terra, costoro creano un vuoto di potere che sarà inevitabilmente colmato da nuove e più efficienti strutture che non è detto avranno le caratteristiche di trasparenza e democrazia che diamo per scontate. Una totale e allarmante perdita di controllo degli eventi prossimi. Un fallimento senza ritorno nell'indicare una visione perlomeno ragionevole del futuro.
Gli stessi elettori, salvo eccezioni, non sanno nulla dei temi che saranno decisivi per determinare la società futura. Incapaci, senza sbuffare, di leggere un articolo di giornale dall'inizio alla fine, un romanzo che rispetti la consecutio temporum, una qualsiasi cosa che richieda una minima capacità di concentrazione, del tutto digiuni di politica internazionale e dei meccanismi e connessioni che determinano gli eventi, come si può pretendere che prendano anche solo lontanamente in considerazione argomenti tanto, apparentemente, lontani come, ad esempio, la biotecnologia, il decadimento biologico dell'ecosistema, gli obiettivi dei post umanisti, l'intelligenza artificiale, il datismo, correlandoli tra loro? Già il fatto che qualcuno possa proporre loro di farlo susciterebbe un alzata di sopraccigli e uno sguardo di scherno. Roba da intellettuali, da chi ce l'ha grassa. I veri problemi sono altri! Il fatto è che queste stesse persone percepiscono però chiaramente che qualcosa non funziona, che i governi non riescono a far fronte alle necessità, che il proprio voto non ha una presa reale sul potere e riescono solo, sulla base certo di alcuni presupposti veri, a dare colpe a caso. Ad esempio all'UE, che si sarebbe appropriata dei diritti di tutti per cedere agli interessi di una lobby occulta, e quindi vogliono uscirne o ai flussi migratori o a ciò e a chi, a turno, capita sotto. La realtà è che nessuno sa dove sia finito il potere reale. Certo non tra le mani delle persone comuni. Per quanti cortei possano percorrere le strade del mondo, non influenzeranno mai concretamente le decisioni di chi lo detiene. Perché le persone che compongono i cortei non hanno la benché minima influenza nel determinarlo. Chi regge le fila, un pugno di umani, si è adeguatamente parato le spalle e, tutto sommato, non ha bisogno del benestare di nessuno. Da opporre abbiamo solo impegno civile e partecipazione politica ma il livello di competenza di chi gestisce la politica è insostenibilmente basso e la rassegnazione collettiva a votare il meno peggio ha portato infine, in un gioco al ribasso, a una caduta libera in cui ci si arrende persino all'assenza del minimo sindacale di competenza richiesta a chi ricopre un ruolo di amministrazione e di guida. Trasformando l'elettorato in un demos inerte e viepiù privo di coscienza critica. Siamo in una democrazia demoscopica in cui il popolo si esprime su una manciata di questioni senza cognizione di causa. In tale condizione non si dà una partecipazione consapevole e attiva né si sviluppa un autentico interesse per la politica.
Perciò si continua a ragionare all'interno delle singole nazioni del tutto privi di una visione d'insieme che vada la di là di Pil, Spread, e affini.
Con un'opinione pubblica che si deteriora ulteriormente a causa dell'evidente progressivo decadere della qualità dell'istruzione e dei media. E, allo stesso tempo, un'opinione pubblica delusa dalle promesse infrante di un futuro prospero, arrabbiata, e determinata a ritrovare perlomeno una condizione di benessere e sicurezza quale la si è conosciuta fino a qualche tempo fa. Malauguratamente però troppo presa da problemi quotidiani e contingenti per guardare alla luna anziché alla punta del dito. E forte dell'illusione che gli esseri umani si stiano liberando, grazie al cyber spazio, dei vincoli fisico materiali che invece li contraddistinguono. In un processo di adeguamento alla virtualità che porta a non comprendere quasi più la materialità del pianeta in cui si vive, drammaticamente persuasi di poter rimediare indefinitamente ai Game Over con l'introduzione di un'altra monetina.
Non è una bella situazione e, oltre a lasciare gli ultimi dove sono, anzi ingrossandone le fila, che i governanti perseverino nell'ignorare e nel negare le vere cause alla base delle rivendicazioni di chi viveva in una società relativamente omogenea e ora si ritrova a non sapere più qual'è il proprio posto nel mondo, significa abbandonare una massa sterminata di persone al potere di chi sfrutta i timori a proprio vantaggio.
La maggior parte dei fenomeni politici attuali nel mondo esprimono questo sentimento di esclusione dal processo di cambiamento economico sociale. Conservatorismo e xenofobia sono le principali tra le conseguenze di tale sentimento. L'Europa, ad esempio, che ha avuto il grande merito di cancellare le guerre all'interno di un vasto territorio, infine ha soltanto promosso un pensiero politicamente benpensante ma non ha affrontato i problemi alla radice e con una strategia unitaria. In un mondo in cui il dibattito sul futuro è più che altro un catalogo di ingegnerie avanzate che mostrano come saranno le nostre case automatizzate o come saranno efficienti i nostri devices, in cui si pensa solo ad incentivare l'industria dei nuovi bisogni per evitare che la macchina produttiva si arresti, senza nemmeno considerare l'ipotesi di trasformarla, in cui è ormai evidente che gli stili di vita della “modernità” sono praticabili solo per una ristretta porzione della popolazione mondiale e che la promessa universalistica fatta dalla civiltà industriale è stata una mistificazione, cosa ci si può aspettare?
Da una parte abbiamo Pentagono e Ministeri della Difesa di USA, Regno Unito, e Australia, che considerano il cambiamento climatico e le sue conseguenze il maggior fattore di destabilizzazione sociale, si organizzano e investono la parte più grande del loro budget su tale analisi, e hanno come priorità in agenda la sorveglianza di tutto quanto correlato ai problemi ambientali. Abbiamo coloro che portano avanti quella che Christian Parenti ben definisce politica della scialuppa armata, cioè un’opzione che combina interventi contro-insurrezionali a lungo termine, frontiere militarizzate e un’aggressiva politica anti-immigrazione, laddove per gli stati-nazione la priorità sarà esclusivamente tutelare le proprie risorse tenendo a bada le maree di poveri, di rifugiati climatici, e di variamente esclusi.
Dall'altra parte abbiamo una maggioranza di individui che non presta attenzione (non in grado/non più in grado di farlo) alle tesi sensate, ragionate, circostanziate, e su cui fanno presa solo frasi sintetiche, efficaci, apocalittiche. Abbiamo discussioni sui social che sono cloache a cielo aperto, dove regnano scortesia, volgarità, stupidità, prepotenza. Abbiamo ceti medi frustrati e incapaci di identificare le cause dei problemi, e quindi di eliminarle, che si accontentano di capri espiatori subalterni. Perché coloro che sono stati aiutati a raggiungere una situazione migliore rispetto alle generazioni precedenti, sono stati sostanzialmente trasformati in buoni consumatori più che in buoni cittadini, e come tali si comportano e pretendono. Inoltre se è vero, in termini assoluti, che c'è stato un progresso nelle condizioni degli individui, e rispetto al passato sono meno le persone che patiscono fame e malattie, in termini relativi, oggi, alla luce delle reali possibilità di rendere fruibile a tutti un benessere degno, la percentuale di coloro che ne sono esclusi è la prova di un regresso, soprattutto nella misura in cui tale percentuale è in crescendo nonostante lo sviluppo tecnologico e le scoperte scientifiche. Abbiamo Paesi rancorosi e vecchi, di analfabeti funzionali, e Paesi che reclamano il loro turno. E l'educazione, come tentativo non di insegnare la verità ma di trasmettere il desiderio di conoscerla, è venuta meno. Tutto è relativizzato. I fatti non esistono. Esistono solo le interpretazioni. È possibile sostenere qualsiasi cosa. Ma non dimentichiamo che un'interpretazione è però anch'essa un fatto in quanto determina conseguenze concrete. Nel bene e nel male.
Dunque, a partire da questi due fronti, quale futuro è possibile?
Bisognerebbe pretendere che chi governa, oltre ad essere onesto e non colluso, studi, legga, si documenti, chieda consigli e decida per l'amministrazione del proprio carruggio in un'ottica di integrazione con l'amministrazione di tutti gli altri carruggi del mondo.
Sono fermamente convinta, e a più riprese in passato l'ho ribadito, che l'unica via sia quella di un governo globale del pianeta, una federazione planetaria che garantisca il rispetto di norme comuni in ambiti di interesse collettivo, a prescindere dai confini e dai vari accordi commerciali bi, tri, e multilaterali. Ambiente, salute, istruzione, agricoltura, industria, alimentazione, commercio, lavoro. Con l'intento di creare una cittadinanza mondiale che non annulli quelle nazionali in termini di lingua, cultura e tradizioni, sempre che le stesse rientrino nel rispetto delle norme di cui sopra. Un po' dittatoriale forse ma dipende dalla capacità di stabilire delle norme che possano essere di buon grado condivise universalmente. Non è così difficile. Le soluzioni ci sono. Gran parte del problema generale è infatti dato dal fatto che nessuno vuole fare il primo passo in una direzione saggia per paura di ritrovarsi a essere l'unico e sentirsi fesso. Ma se, da domani, tutti fossero costretti a fare nello stesso momento una cosa peraltro buona, si farebbe un passo da gigante verso la soluzione. Siamo a questo punto. I tempi sono stretti. Se stiamo ad aspettare che gli stronzi e gli avidi smettano di essere tali, se stiamo ad aspettare il raggiungimento naturale di una coscienza collettiva siamo fritti.
Non tutti però. O almeno non tutti subito.
E qui vengo a ciò che ho osservato in questi ultimi anni.
Aumentano le comunità nelle quali si pagano imprese private per provvedere a infrastrutture e servizi e in cui il ruolo dello stato si riduce ad amministrare settori sempre più piccoli della società con conseguente indebolimento della coesione sociale all'interno degli stati nazionali.
Quando i governi tolgono welfare e riducono la spesa pubblica, chi può si ritira in abitazioni di lusso, si rinchiude dietro mura, e si identifica con gli altri che hanno anch'essi qualcosa che può essere rubato, unendosi schiena contro schiena al centro della città e lasciando le strade pubbliche ai poveri, agli stranieri, e ai delinquenti. Anche i numeri reali dei movimenti migratori e della presenza di stranieri nelle città non vengono considerati oggettivamente ma si presta attenzione solo all'impatto percepito: la concentrazione delle etnie nei centri urbani e la concentrazione in singole zone degli stessi. Se in un quartiere c'è il 50% di stranieri, facile dedurre che sia così ovunque. Le persone infatti desumono da quanto vedono attorno a sé ogni giorno sia identico a quanto accade nel resto del mondo. Perché ciò che non è omologato lo consideriamo comunque tale attraverso un'espansione della nostra quotidianità individuale a format universale. Il problema della convivenza comunque resta ed è serio, è infatti la percezione dello stesso attraverso le sue conseguenze quotidiane e concrete che conta. Quindi i cosiddetti processi di gentrificazione diventano strumenti finalizzati a una pulizia sociale degli ambienti urbani. Luoghi pubblici dove i muretti hanno sedute in pendenza, dove spicca l'assenza di panchine, in un processo di dissuasione alla sosta, di negazione dell'agorà. Poi, gradualmente, vie pubbliche mal curate, poveri, stranieri, e delinquenti vengono spinti verso l'esterno dell'urbe da un'inesorabile forza centrifuga creata dall'aumento dei costi nelle zone centrali, elette a fulcro di potere economico, sicurezza, efficienza energetica e di servizi. Ricorda qualcosa? In tutto il mondo, nelle grandi metropoli, i centri urbani assomigliano sempre più a cittadelle all'interno delle città. Man mano queste zone assumeranno sempre più l'aspetto di città fortezza così da permettere a coloro che le abitano di poter condividere spazi comuni sicuri al di fuori delle proprie super protette abitazioni. Quel che sarà di terre, mari e cieli, sarà.
Dunque se la natura è maligna, se l'altro è il nostro rivale, se lo Stato non ci protegge, allora lo faranno i nostri denari. Con essi trasformeremo l'urbe a beneficio di noi pochi. Perché poi ci sono anche quelli che fino all'altro ieri denari ne avevano ma ora non più a sufficienza e si aggiungono man mano agli esclusi. La diga delle garanzie sociali della società liberale è ormai crollata. Il problema non è la diversità, il problema non è la disuguaglianza. Il problema è e sarà sempre più la miseria. Che dovrà essere tenuta a debita distanza. Muri contro la minaccia del terrorismo ma la cui ragione non dichiarata è l'allontanamento e lo spostamento non autorizzato dei poveri. Purtroppo l'unica forma concreta di lungimiranza appartiene a coloro che pensando a lungo termine preparano vie d’uscita per se stessi singolarmente o in ristretti gruppi di élite. Coloro che non si affidano certo allo Stato, né si fidano dei loro stessi monopoli o delle guardie armate che pagano, ma solo della ricchezza e del potere accumulati.
Io immagino un futuro banale nella sua prevedibilità distopica. Un futuro in cui l'orbe, per gli spazi ancora abitabili, sarà costellata da immensi conglomerati circolari, composti da successive fasce concentriche scollegate tra loro, dove dal centro verso l'esterno le condizioni di vita andranno da ottime a pessime. Città circolari in un mondo quale quello della Leonia di Italo Calvino. Barriere di cemento armato e muri antiesplosione, torrette, attrezzature per imaging termico, videocamere per la visione notturna, sensori di movimento, droni, blocchi stradali, tutto collegato a un sistema di rilevazione satellitare, come già accade, separeranno tali città dai desolati territori esterni abitati da una grande parte della popolazione terrestre ai limiti della sussistenza e senza possibilità di accesso. Gli esclusi, gli ultimi, vivranno, in insediamenti raffazzonati e degradati che, anziché rimandare soltanto alle abbondanti e predittive letteratura e filmografia di genere, oggi possiamo ritrovare agevolmente in notiziari e immagini del nostro mondo contemporaneo.

Sul pianeta si va verso una realtà di grandi conglomerati. Sarà un processo inesorabile e irreversibile, che presupporrà, per funzionare, la nostra capacità di comprensione e unione. L'alternativa sarà la disfatta totale. E la distopia di cui sopra.
Dobbiamo impegnarci a decifrare il caos sistemico imminente nel quale stiamo entrando, per non essere impreparati, per essere in grado di gestirlo meglio che potremo passo dopo passo.
Abbiamo bisogno, per risolvere il problema della gestione delle risorse con una popolazione in aumento esponenziale, non solo di tecnologie ma di autentiche strategie.
Siamo alle soglie di una rivoluzione tecnologica senza precedenti che permetterà di penetrare e pilotare la mente delle persone in un modo invasivo quale non è possibile spiegare senza apparire folli, inascoltate Cassandre. Ma non dobbiamo aver paura, né avere la presunzione ottusa di credere che tanto tutto si aggiusterà perché nei secoli si è sempre aggiustato. Se è accaduto e siamo ancora qui è stato perché qualcuno si è rimboccato le maniche.
Siamo di fronte a una sfida gigantesca che concerne tutto: migrazioni, economia, commercio, tutela dell'ambiente e delle risorse, diritti, sovranità, liberalismo, qualità della vita, cultura, fino alla definizione stessa di Homo sapiens.
La vogliamo vincere o no?



29 dicembre ore 4.15


P.S. Chiedo scusa per le generalizzazioni funzionali alla sintesi. Per fortuna nel mondo molte sono le persone che vedono e fanno il possibile.










LA POLEMICA SUI TAGLI ALLE PENSIONI


Perdonate ma, a prescindere da qualsiasi valutazione sulla manovra economica, i pensionati che manifestano arrabbiati e i sindacati che gridano indignati per i tagli percentuali all'indicizzazione delle pensioni mi lasciano a bocca aperta. Essendo impreparata sull'argomento mi sono fatta spiegare un paio di cose da un addetto ai lavori. Ho scoperto che si prevede un'indicizzazione piena solo per le pensioni fino a tre volte il minimo (1.530 euro lordi al mese), poi un decalage simile ma meno forte rispetto all'attuale schema reiterato dal Governo Letta in avanti e che sarebbe scaduto a fine anno. Non mi risultano analoghe levate di scudi per la situazione in essere fino a poco fa. Comunque sia, è vero che non adeguare le pensioni all'inflazione è di fatto un taglio, e che ciò che si riceve di base dovrebbe essere una restituzione di ciò che si è versato con i debiti adeguamenti, ma l'operazione dovrebbe riguardare solo le pensioni su base retributiva e non quelle su base contributiva, o sbaglio? Comunque sia, di fronte ai calcoli che hanno fatto sotto al mio naso, prendendo due scaglioni a caso oltre i 1500, scoprire che chi percepisce una pensione di 2500 euro e rotti si ritroverebbe con una sessantina di euro in meno all'anno, e chi ne percepisce un po' più del doppio, 5130 euro, si ritroverebbe con una perdita di poco più di 300 euro all'anno, pensando al putiferio che stanno scatenando, sinceramente mi vergogno per costoro. Se io riuscissi a trovare un lavoro da mille euro, 50 euro fisse al mese per aiutare qualcun altro a sopravvivere o a reinserirsi nel mondo del lavoro, ce li metterei senza minimamente esitare. Evidentemente viviamo su pianeti diversi.

p.s. non ho votato l'attuale governo 

venerdì 14 dicembre 2018

IN RISPOSTA ALL'EDITORIALE DI FELTRI DEL 14 DICEMBRE 2018


Se lei, signor Feltri, confessa di annoiarsi a scrivere di politica da tanti anni e di non poterne più delle solite banalità, s'immagini me quanto posso essere stanca di leggerne.
Mentre ascoltavo la rassegna stampa stamane, alle parole del suo editoriale mi sono detta: due righe di commento le devo scrivere. Senza entrare nel merito della giustezza della manovra finanziaria in questione o nel dettaglio tecnico di alternative possibili, né tanto meno esprimere un giudizio sulla coalizione al governo, mi limito ad alcune osservazioni su quanto da lei affermato con tanta veemenza. Concordo sul fatto che sia necessario saperne di aritmetica per far quadrare i conti e non determinare ulteriori debiti a babbo morto, caratteristica questa che peraltro pare congenita al nostro sistema, e che sia riprovevole fare promesse per raccattare voti, ma lo è altrettanto ragionare per generalizzazioni. Affermare che i destinatari dell'erroneamente definito reddito di cittadinanza sono tutti lavoratori in nero o fannulloni è offensivo. Ritengo, certo, che sarebbero altri gli incentivi da promuovere per far funzionare le cose ma penso che il riconoscimento delle oggettive difficoltà in cui versa un numero crescente di persone sia doveroso. Le faccio un esempio. Lavoro da 32 anni in una realtà urbana tale che mi ritrovo con quattro anni scarsi di contributi e retribuzioni molto al di sotto di ciò che si può definire dignitoso. Non si è trattato di connivenza per convenienza ma di impossibilità di scelta. Di necessità di sopravvivenza. Ha presente, no? I poveri sono facilmente sostituibili. All'inizio dell'anno in corso un problema di salute mi ha reso impossibilitata a lavorare e ciò alla vigilia di un nuovo rapporto di lavoro, fortunatamente quanto inaspettatamente in regola, per cui sono mi sono ritrovata senza la minima copertura a dover sopravvivere senza avere entrate. Il problema iniziale di salute è ancora in essere e ad esso se ne sono aggiunti altri. Per la prima volta in vita mia sono dovuta ricorrere a prestiti da amici. Debiti che dubito potrò onorare. Ora, le chiedo, ha mai letto Jack London? “Il popolo dell'abisso”? Di quella faccenda dell'imbuto? Che basta un accidenti fisico, che se non si hanno le spalle coperte, si è inesorabilmente destinati a scivolare giù per il suo collo? E se anche si riesce a fare qualcosa, nella migliore delle ipotesi, si sale di metro e si scende di due in un irreversibile moto di discesa? Ecco, succede questo, nella vita reale anche nell'anno del Signore 2018. Dopo una vita di lavoro, ritrovarsi in simile condizione, poco più che cinquantenne, quindi in una finestra generazionale non ideale per la maggior parte delle candidature lavorative disponibili, uno come si deve sentire? Un fannullone, forse? A mio parere dare del denaro per evitare che tante persone finiscano a dormire in auto, è moralmente giusto e economicamente lungimirante, perché si eviterebbe un maggior peso futuro sul sistema sociale da parte di una platea di incapienti sempre più numerosa. A meno che non si decida, parafrasando Swift, per un'eliminazione fisica degli stessi. Risultato che si può facilmente ottenere facendo finta di nulla il più a lungo possibile, solo che bisognerebbe poi gestire l'effetto collaterale di disordini, disturbo della quiete pubblica, derive violente. Insomma, un cane che si morde la coda. Lei veramente crede che una persona come me, e siamo tantissimi, possa essere fiera di dover aver bisogno di un redditto “regalato”? Anche se poi regalato virgola. Sarebbe il corrispettivo a risarcimento di danni causati dall'incapacità di tutti i governi che ho conosciuto di contrastare le inefficienze burocratiche e legislative, il lavoro irregolare, il clientelismo, la corruzione, l'omertà. Sa quanto avrei preferito riuscire a pagarmeli anche da sola i contributi? Ho scritto della mia fascia d'età ma è sottinteso che il discorso vale per tutti. Bisognerebbe poter valutare non in base ad essa ma caso per caso ogni singola situazione. Riconosco che non sarebbe realizzabile ma, per favore, evitiamo di categorizzare con superficialità, offendendo il prossimo. La ringrazio per l'attenzione.

14 DICEMBRE 2018 ORE 8.00