venerdì 30 dicembre 2016
martedì 27 dicembre 2016
NATALE ERRANTE
Fin verso le undici ho vagabondato
per le strade di New York con le tavole di Giacomo Bevilacqua*. Il cielo terso
dalla finestra di fronte al mio letto ben si accordava con quello dei suoi
disegni. Terminata la seconda abbondante tazza di caffè, mi sono alzata e
vestita per uscire.
Dopo dodici anni ho brindato
insieme al mio ex compagno di una vita, suo fratello, la moglie con l'attuale marito, mio nipote, la
sua fidanzata. È stato piacevole, se pur un poco strano dopo tanto tempo. Quando si sono messi a
tavola me ne sono andata per raggiungere casa di mia madre. Lasciarla sola con
quell'acida di mia nonna e con un marito le cui mani ormai si sono fuse l’una
con il telecomando televisivo, l’altra con lo smartphone, mi pareva crudele.
Mi sono messa in auto alle 13.30.
Strade deserte.
Seduta a una fermata del bus,
vedo una donna anziana, di buona corporatura, abbottonata nel cappotto beige,
un foulard in testa, la borsa della spesa ai piedi. La supero ma al primo
incrocio devio per tornare indietro. Raggiungo nuovamente la fermata e mi
accosto tirando giù il finestrino. Chiedo alla donna se le serve un passaggio.
Non credo, le dico, che l’autobus passi a breve. Non risponde. Mi guarda e
sorride. Le do il tempo di valutare la sicurezza di salire sull’auto di una
sconosciuta, sorridendole a mia volta. Dove deve andare, le chiedo. Continua a
sorridermi e non risponde. I suoi occhi dicono: grazie ma non ho bisogno di un
passaggio, sto bene qui. La saluto augurandole buon natale, faccio inversione, e mi allontano.
Devo percorrere circa mezz’ora di
strada. Il percorso è periferia, centro, costa, campagna. Faccio caso a chi
vedo. Arrivando in centro qualche automobile la incrocio. Qualcuno in ritardo
per un pranzo, qualcuno che l’ha già stranamente terminato, qualcuno che starà
andando al lavoro o ne starà tornando. Noto le persone a piedi. Poche, isolate.
Camminano per far passare il tempo. È
evidente dall’andatura. Sono le persone sole. Quelle che hanno deciso di non
stare chiuse in casa ma di godere della bella giornata. Forse incontreranno
qualcuno con cui scambiare due parole. Si appropriano della città ferma e
silenziosa. Lo faccio anch’io spesso di errare nelle ore deserte. Anche oggi,
in fondo. Mi sto spostando per toccare squarci della mio passato in pacifica
solitudine.
L’ultimo tratto è tra gli ulivi.
Accosto e mi siedo sul ciglio tra l’erba per qualche minuto prima di
raggiungere casa di mia madre. Si sta bene. C’è un buon odore nell’aria.
25 dicembre 2016
*“Il suono del mondo a memoria”
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venerdì 16 dicembre 2016
OSPEDALE DI IMPERIA
A parte tutte le legittime considerazioni
su reparti che se vanno, progetti di ospedali unici, personale carente, con
tutte le problematiche annesse, quindi quell'insieme di faccende imputabili ai livelli amministrativo, politico,
imprenditoriale, vorrei scrivere giusto due righe a favore dell’ospedale di
Imperia.
È molto facile infatti partire da
taluni disservizi per denigrare in toto una realtà professionale al servizio
del cittadino. Personalmente, in trent'anni, a parte alcune estenuanti attese
in pronto soccorso, non posso che parlare bene dell’ospedale di Imperia. Operatori
sanitari, infermieri, medici, addetti agli sportelli, tutti inclusi. Certo c’è
chi un mattino si alza con il piedi sbagliato e non riesce a lasciare fuori dal
reparto il proprio malumore, ma siamo umani, cerchiamo di comprenderci l’un l’altro.
Chi sta male fa più fatica senz'altro ad accettare uno sgarbo o un modo
sbrigativo, ma chissà che c’è in quel momento nella vita della persona da cui
riteniamo di essere stati maltrattati.
Diamo spazio e luce a quello che
va, che funziona, che c’è di buono.
Giusto l’altro ieri e stamane ho
avuto a che fare con una dottoressa del reparto di radiologia (senologia). A
fine visita le ho stretto la mano dicendole che era stato un piacere, augurando a lei e all'infermiera buona giornata e buon lavoro.
Ma quando mai si esce da una
visita medica dicendo che è stato un
piacere? Se è accaduto vuol dire che concretamente queste persone si sono
rapportate nel migliore dei modi.
Succede, succede spesso. In tanti ambiti della nostra quotidianità. Forse
però siamo talmente chiusi in noi stessi da non accorgercene o,
peggio, da non permettere al prossimo di dare il meglio di sé.
MERAVIGLIOSE SORTI E PROGRESSIVE
Direi che è sotto agli occhi di tutti che abbiamo sbagliato. Abbiamo.
Noi.
Noi che ne siamo stati attivi fautori. Noi che abbiamo preso tutto per
buono e delegato. Noi che abbiamo colto i segni ma siamo stati zitti. Noi che ci siamo sentiti piccoli e
impotenti e ci siamo arresi. Noi che non ce n’è mai importato nulla purché il
nostro status venisse garantito. Noi che ci siamo sbrodolati addosso l’un
l’altro di aver ragione nelle nostre nicchie autoreferenziali. Non tutti ma
sicuramente la maggior parte rientriamo in almeno una di queste categorie.
Un mondo perfetto e giusto, senza barriere, un mondo fatto di solo
progresso e innovazione, che però esiste solo nella nostra fantasia o nei
salotti di chi può permettersi di crederci perché ne gode e usufruisce.
SICUREZZA
È triste udire persone da sempre
considerate di intelletto brillante pronunciare frasi come la seguente:
«Personalmente mi va benissimo
che abbiano accesso a ogni mia comunicazione, messaggio, o quello che è, che mi
circondino di telecamere. Per me le possono mettere dove vogliono, purché mi
garantiscano protezione e sicurezza. È giusto mettere tutti quanti sotto
controllo. Videosorveglianza, accesso ai dati, quello che serve. Chi non è d’accordo evidentemente ha qualcosa da nascondere.»
ZTL, PARASIO, CLIMA
Ho letto della causa che il signor Giacomo Raineri deve affrontare
riguardo al proprio permesso di accesso alla ztl del Parasio. È accusato di
aver dichiarato il falso al momento della richiesta del permesso, in quanto l’auto
da lui condotta in realtà sarebbe intestata alla moglie che non la usa mai ma,
lavorando presso un’assicurazione, ha il mezzo intestato per usufruire di uno
sconto di cui, come dipendente, gode. Fermo restando che della vicenda so solo
quanto appreso dal giornale, e a ciò mi attengo, direi che si tratta di un
inutile dispendio di tempo e denari.
Ho già scritto in passato sull'argomento
ma questa notizia mi costringe a tornarci sopra.
La mia domanda è:« Ma cosa vi importa di sapere a chi è intestata l’auto?
Nel momento in cui si stabilisce che chi è residente ha diritto a un permesso
per i propri mezzi, se un individuo residente abbina al proprio nominativo un
mezzo, e quello è, quello utilizza come proprio, dove sta il problema?»
Mi è stato risposto che tanti eludono il pagamento del passaggio di
proprietà e pertanto il pretendere la corrispondenza tra intestatario del
permesso e proprietario del veicolo è un disincentivo nei confronti di tale
cattiva condotta.
I furbi non piacciono a nessuno (dovrebbe essere così ma inizio a
essere convinta del contrario, comunque questo è un altro discorso), però
quando si parla di medesimo nucleo famigliare, insomma, un po’ di buon senso
sarebbe d’uopo.
Buon senso da applicarsi anche nel caso in cui tre persone, di cui due
residenti senza auto, una non residente con auto, decidano di utilizzare in
modo intelligente un mezzo in tre, visto che per loro è sufficiente. Invece
questa civile prassi viene impedita sempre in nome del disincentivo di cui
sopra. Infatti al residente che ha
richiesto di abbinare al proprio nominativo l’auto del non residente è stato
risposto picche. Invece una coppia che abbia due auto non ha problemi. O,
ancora, perché un residente, quindi un avente diritto, che non ha l’auto ma un
parente gliene impresta una per le necessità (a volte urgenti e non prevedibili)
non può lasciare una segnalazione fissa della targa presso il Comando dei
vigili, come mezzo usato in modo saltuario?
Perdonate ma io trovo tutto ciò assurdo. Non lamentiamoci poi che
quando fanno le conferenze sul clima ci prendano per i fondelli.
p.s. Sarebbe anche il caso di eliminare le strisce azzurre di alcuni
parcheggi nei quali non si può parcheggiare in quanto trattasi di passi carrai.
domenica 11 dicembre 2016
UN ARTICOLO DI NATALIE NOUGAYREDE
Un articolo sui migranti a firma di Natalie Nougayrede apparso su un Internazionale di qualche tempo fa.
giovedì 8 dicembre 2016
TRUMP E LA CINA
A proposito delle varie
intenzioni di Trump, quelle di innalzare una barriera di dazi nei confronti
della Cina, e sabotare definitivamente il TTP (Trans Pacific Partnership),
accordo nato soprattutto per contenerla la Cina, rischiano di essere una scelta
strategica decisamente poco felice per gli Stati Uniti.
La Cina è il maggior creditore
degli Stati Uniti e, a fronte di una tale politica da parte del neo presidente
Usa, potrebbe vendere buona parte dei bond in suo possesso a garanzia del
credito facendone crollare il valore e salire gli interessi con gravi
conseguenze per l’economia americana e non solo. Inoltre si rafforzerebbe il
Free Trade Area of the Asia Pacific che oltre ai Paesi dell’Asean, includerebbe
appunto Cina, Australia, Giappone, Nuova Zelanda, India, Corea del sud, dando
corpo a un nuovo blocco economico che sposterebbe di molto gli equilibri
geopolitici. Trump rischia di ottenere il risultato opposto a quello che si prefissa.
Ogni scelta in ambito economico e
finanziario deve tener conto di una tale mole di fattori e implicazioni,
effetti domino transnazionali, ripercussioni sociali, ambientali, giuridiche,
che si potrebbe dire che siamo in una situazione di stallo. In effetti non c’è
decisione scevra da una qualche ripercussione negativa. Abbiamo creato un
meccanismo sofisticato, complesso, ed enorme al punto che abbiamo il terrore
che, a introdurre modifiche dirette all'equità, questo si inceppi o addirittura
si scardini e frantumi lasciando il caos. Ci
mettiamo delle pezze con la creazione compulsiva di organismi preposti a, di
accordi commerciali, di sistemi di controllo, una rete infinita di sigle,
acronimi diversi che ripetono però lo stesso contenuto e indicano la stessa
direzione. Abbiamo così tanta paura e siamo a tal punto arroganti che ci
rifiutiamo non tanto di riconoscere la gravità della situazione globale ma quasi l’esistenza del problema. Lo marginalizziamo. Lo riconduciamo a categorie per
convincerci di poterlo controllare. Il mondo che siamo riusciti a mettere
insieme è troppo fragile per essere cambiato. Di questo siamo convinti.
Il fatto che si tratti di un
meccanismo fragile per cui intoccabile non lo rende però giusto. E, vista
l’assenza di una reale volontà di ripensarlo, comprensibile che a qualcuno per ignoranza e fanatismo, a qualcun altro per disperazione, venga voglia di distruggerlo.
AFRICA AL PARASIO
Sono rimasta incantata nel vedere
in via Vianelli, al Parasio, due donne africane camminare ognuna con una
scatola sulla testa. La prima con una confezione intera di latte in tetrapak,
l’altra con pacchi presumo di riso, farina, legumi.
Non so ancora dove abitano. Dove
sono stati alloggiati. Da dove vengono
soprattutto. Li ho visti a due, tre alla volta e dalle fisionomie direi che
saranno dieci, dodici tra uomini, donne e bambini.
Vederle procedere a quel modo, lente,
ritte e fiere, ho pensato a quanto deve sembrare strano loro tutto quanto.
Anche solo gli spazi, la luce, la temperatura. Gli orari, i modi, le abitudini
di noi che siamo qui. I nostri problemi. Altrove, in giro per l’Italia e in giro
per l’Europa, avrebbero sentito altri odori, incontrato altri sguardi, visto
altri panorami. Ma tutto ugualmente bizzarro e incomprensibile per persone
tanto lontane da casa.
Vivo in un posto bellissimo ma se
penso alla bellezza dell’Africa, agli orizzonti aperti e profondi, mi sembra impossibile che chi vi è nato non
provi comunque una nostalgia infinita. Il comunque sta per tutti i vergognosi
motivi che rendono quelle terre sempre più inospitali e mortifere.
RICICLARE I SOGNI
Com'è facile cedere alla
tentazione di riciclare i sogni che abbiamo condiviso con qualcuno che abbiamo
amato con qualcun altro che amiamo dopo. Funzionavano, emozionavano. Perché non
dovrebbero funzionare ed emozionare ancora?
Forse perché certi sogni nascono
dall'empatia che si crea tra due specifici individui, dall'amalgamarsi dei
pensieri, delle idee, e delle esperienze che essi specificatamente hanno. Non è
replicabile. Una volta separati, e poi
uniti ad altri individui, essi saranno causa e materia per altri sogni.
Replicare, ripetere, riproporre,
pronunciare identiche frasi sarebbe solo il simulacro di qualcosa che non è
più. Sarebbe una veste di misura sbagliata, qualcosa di posticcio e sistemato
sopra.
Mi si strizzerebbe il cuore se un
domani, per fare un piccolo banale esempio, mi innamorassi e mi sorprendessi a
parlare di mettere su un piccolo bistrot in campagna con un paio di camere
annesse.
Certo, tutto è già stato. Si
arriva a un punto in cui ci si ferma, un po’ ci si arrende, e semplicemente ci
si pacifica di fronte all'ascolto di chi sente per la prima volta un sogno del
nostro passato credendolo vivo e pulsante. Ma noi sappiamo bene che si tratta soltanto dell’ombra di qualcosa che
non siamo stati in grado di realizzare.
SANTA BARBARA E GLI ULTRA NAZIONALISTI
Mi ha fatto uno strano effetto
leggere della riunione dei movimenti ultra-nazionalisti a Varsavia presso la chiesa
di Santa Barbara. Sarà che mi chiamo Barbara, sarà che l’ho letto, in ritardo, proprio il 4 dicembre. Sarà che
pensare al cattolicesimo unito a certe ideologie mi fa venire i brividi. Croci celtiche, bandiere nazionali e bibbie.Così ci si difende dall'invasione nemica. Con le medesime armi. Sic et simpliciter.
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