domenica 22 novembre 2020

UNA POESIA

 Ho deciso di pubblicare di tanto in tanto qualche poesia


QUANDO SARÒ PIENA DI SONNO E DOLORI

 

Quando sarò piena di sonno e dolori

saprò mostrarti nell'antico giardino

del cuore mille fiori aperti e odorosi

il fulgore scarlatto del sole calante

di onde quiete la straziante bellezza

 

Quando sarò piena di sonno e dolori

ancora richiamerò il tuo sguardo al cielo

al fiero volo degli uccelli che migrano

allo splendido palazzo del nostro amore

ai germogli che altri vedranno sbocciare

 

E quando nel ricordo sarà confusa e

vaga la memoria dei sentieri percorsi

sempre per noi ne inventerò che sian stati

un cammino privo di peso e fatica

e che solo la luce dell'approdo rifulga

 

E quando saremo tornati a essere

vento pulviscolo radiazione di fondo

forse di queste originali fattezze

di questa imperfezione umana avremo

un sentore lontano e quieta nostalgia


2018

mercoledì 4 novembre 2020

IL PEGGIO HA DA VENIRE?

È dunque giunta la fine del mondo? L'anziana signora che aiuto mi racconta della guerra e avverte, Se viene un'altra guerra, guai. Se viene un'altra guerra guai..., guai. Mentre lo dice ha le mani giunte e lo sguardo raccolto in un passato che solo lei vede. Vorrei risponderle che la guerra c'è già. Solo che è diversa. Non è un conflitto mondiale simile a quello di cui lei ha memoria. Ha una forma diversa. Liquida direbbe Bauman. È ovunque sul pianeta e conta innumerevoli vittime. Solo che non le si somma. Ci si limita a suddividerle per zone geografiche, si evita accuratamente di trovarne il comun denominatore, si persuade della loro separatezza.

Tutto non va. L'evidenza di ingiustizia e dolore non è discutibile, eppure ci si ostina a negarla. Siamo davanti, anzi dentro, una combinazione di più crisi e perseveriamo nell'errore di considerarle a compartimenti stagno. Forse più corretto sarebbe parlare di una combinazione di sconvolgimenti, perché crisi è una parola cui abitualmente, e sbagliando, diamo un'accezione negativa e che invece significa separare, discernere, scegliere. La crisi è un'opportunità, non una sconfitta. Per questo la mia amica Ada interpreta le difficoltà e le sofferenze di questo momento storico come quelle del travaglio e del parto. Il parto per far nascere un uomo nuovo, un'umanità nuova, ed è impossibile pretendere che un simile cambiamento epocale, una tale rivoluzionaria trasformazione, possa avvenire senza dolore. Comprendo ciò che pensa la mia amica ma non riesco ad affrancarmi dal contingente. Dagli esiti materici di questa fase necessaria. Dal dolore del singolo essere vivente, del singolo individuo. Dallo strazio di chi soffre. Ché ogni vita vale e fatico ad accettare il prezzo pagato soprattutto dai deboli. Soffro nel constatare un giorno via l'altro le violenze, gli abusi, il disprezzo. Lo stupro metodico e contabilizzato della vita in ogni sua manifestazione. A vedere le acque avvelenate, le terre contaminate, la sete, la fame, il commercio e lo sterminio di esseri viventi, l'avidità che nulla riconosce se non se stessa. Come se intorno al mio corpo premesse l'intera umana condizione. L'intera sofferenza del vivente.

E ora, più che mai, ora che siamo costretti al distanziamento per cura e tutela nostra e del prossimo, ora che in pochi persino arricchisce a dismisura e specula sull'ennesima tragedia mentre i più, e tanti tra essi che si sentivano al sicuro, protetti da qualsiasi rovina, sono destinati a scivolare inesorabilmente verso il basso, ora che è chiaro che il peggio dobbiamo ancora vederlo in termini di derive sociali, disordini, nuove povertà ed emarginazioni, proprio ora, quali possono essere le soluzioni per non essere travolti?

C'è chi dice una casa in campagna con orto, un pozzo, libri e galline. Isolarsi come ultima ratio? C'è chi dice scendere in piazza, manifestare. Isolarsi versus dimostrare. Entrambe le soluzione però favoriscono il mantenimento dello status quo. Ripiegarsi sul privato, aumentare il distanziamento che da fisico diviene sociale, forse è ciò cui ambiscono i poteri forti perché facilita il mantenimento dell'ordine in un'epoca in cui i motivi di contestazione abbondano. Manifestare pacificamente, cercare il dialogo, sperare in un confronto intelligente e costruttivo risulta impossibile. La rabbia s'insinua, scontento, frustrazione, rivalità si mescolano. Diventa indistinguibile il buon intento dallo sfogo dell'istinto a distruggere ciò che non si capisce e contro cui ci si sente impotenti. Tutti in egual misura coloro che scendono per le strade vengono atterrati, arrestati, messi a tacere. Non si può andare per il sottile. È la massa che agisce e si muove e non si ha tempo per considerarla composta da individui, va solo fermata e domata. Quindi anche manifestare favorisce il mantenimento dello status quo e fornisce inoltre materiale per certa manipolazione mediatica legata al discorso della sicurezza in cambio dell'acquiescenza. Se isolarsi non serve, se rivendicare diritti nemmeno, ci troviamo dunque di fronte a un impasse?

In questa terra attraversata dal morbo dello scontento, da un'epidemia che contrappone negazionisti a pecore, come dai primi vengono definiti coloro che, oltre ad adottare doverosi prudenza e rispetto, sottostanno a norme di precauzione che una qualsiasi massaia dotata di buon senso detterebbe migliori e maggiormente efficaci, in cui strategie mafiose di accaparramento di posizioni di potere, malagestione fraudolenta, provate malversazioni, corruzione, spianano la strada a incompetenza, ladrocinii, e giocano senza il minimo sussulto etico con le vite del prossimo, andrebbero senza processo puniti con lavori forzati in miniera, questa terra in cui agli attentati quotidiani (Camerun, Francia, Afghanistan, Pakistan, Austria, gli ultimi in ordine di tempo) si aggiunge l'incapacità di capi di Stato a far scendere i toni, penso alla Francia nei confronti della Turchia di un Erdogan che, oltre a tutto il resto che già sappiamo, non esita a dare la propria benedizione all'estremismo, ecco, mi chiedo, in questa terra messa così, veramente allora l'ultima ratio resta sperare che si tratti di un travaglio non troppo lungo e che il bambino non nasca morto?


martedì 3 novembre 2020

SCRIVERE AD ALTA VOCE

Voglio imparare a scrivere ad alta voce, rendere sonoro il pensiero scritto, udibile e riconoscibile il tono di ogni parola. Che sia chiaramente tenue quanto è tenue, vigoroso quand'è vigoroso. Comprensivo, irato, o d'attesa. Dubitante, propositivo, o sofferente che sia. Purché sia chiaro. Che non sia equivocabile il senso dei termini ma correttamente interpretato dalla modulazione di timbro e intonazione, dai silenzi, dai tempi di pausa e ripresa.

Dicono che dovrei guadagnarmi di che vivere con le parole che scrivo ma, a parte che sono poche e sperdute, non saprei da dove iniziare. Come si possono vendere le parole, come posso vendere le pagine che scrivo? Che vengano lette è per me il giusto corrispettivo, che vengano imprestate, suggerite, regalate, lo è. Le parole vanno donate. Ripulite degli strati di pitture sovrapposte, alleggerite di ninnoli, bagatelle, e zavorre. Riscattate dall'intollerabile mercimonio cui sono sottoposte, e donate. Queste parole consumate, erose monete di scambio, prive di giustezza, esposte al ludibrio, rimbalzano sul fondo dei nostri contenitori da questua, opache e stanche. Ricurve procedono solitarie, talvolta in fila, spesso sovrapposte, affastellate, scaraventate nel mondo. Rese irriconoscibili nella turba urlante che se le strappa di mano, brandendone brandelli. Arrese molte al destino di vagare per le vie come donne stuprate cui, se pur perdonate per il torto subito, resta quale unico segno identificativo lo stigma della perdita della propria purezza. Destinate a sortire effetti opposti a quelli per cui sono nate. Voglio almeno tentare di proteggerne alcune. Proteggerne i significati, sottrarli al commercio che se ne fa, cambiargli abito così che non possano servirsene, non possano rubarli tutti, rapirli, confinarli, sostituirli. Nasconderli, camuffarli provvisoriamente per far loro passare il confine, che possano resistere per testimoniare, che possano salvarsi per salvare.

Perché le parole sono nutrimento, ché di sicuro servirà un giorno, com'è sempre accaduto, ai sopravvissuti di epoche infami.