venerdì 8 febbraio 2013

INFORMAZIONE

Abbiamo l’informazione che vogliamo noi. Siamo noi a non volerla diversa. Ci va bene così. Basta incolpare Fede o chi per esso quando il livello induce alla vergogna anche il più lobotomizzato degli utenti. Il mercato produce ciò che viene richiesto e, anche se i bisogni si possono indurre, gli esseri senzienti hanno sempre il potere di far sì che le cose cambino e se non lo fanno... Ci persuadiamo che mangiare una bistecca o un cetriolo possa mettere a repentaglio la nostra vita e, in quattro e quattr’otto, mettiamo il mercato del settore in crisi. La cattiva informazione nuoce in egual misura alla nostra salute psico-fisica: perché non ci comportiamo nello stesso modo? Il boicottaggio ha sempre sortito degli effetti tangibili. E qua non si metterebbero a rischio posti di lavoro o famiglie sul lastrico. Si tratterebbe di costringere gli operatori dell’informazione a rispettare una deontologia professionale. Chiarezza, onestà, coerenza, verifica delle fonti. Avere giornalisti e non “giornalai”. Con buona pace dei miei amici edicolanti. 
La televisione, ad esempio, è retta da ciò che la gente vuole, ma ciò che esce dal nostro elettrodomestico prediletto e democratico non ci fa onore. E poi, l’informazione buona c’è. Basta entrare in un’edicola. Limes, Micromega, Internazionale…. Eppure la tiratura è calibrata sugli affezionati o sugli addetti ai lavori. Pochi. E poi ci sono i libri, la buona letteratura che mostra, indica, spiega, racconta, la saggistica che spaventa e che s’immagina ad uso esclusivo di intellettuali, professori, e barbosi eruditi. Quale passione, invece, alcuni autori di saggi trasmettono, con quale famigliarità si rivolgono al lettore, quale desiderio profondo hanno di comunicare, spiegare, raccontare. Di fornire strumenti di analisi. Per capire, per vedere. Per provare quindi a prendere posizione nella vita. Ma delle due copie di un titolo valido che arriva in libreria, una è destinata inesorabilmente alla resa. Nel senso di sconfitta, e in quello di restituzione materiale al distributore, in un ciclo all’inverso che respinge e sopprime la vita che spesso c’è dentro alle parole.

ottobre 2001 


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