Negli ultimi 40 anni abbiamo perso la metà dei vertebrati
esistenti?
venerdì 20 febbraio 2015
lunedì 16 febbraio 2015
#CRESCITA DEMOGRAFICA E #RECESSIONE
Continuo a sentire questa storia
trita e ritrita dell’assenza di crescita demografica nel nostro Paese come una
delle cause della recessione in atto. Da qui a 30 anni saremo un paio di
miliardi in più ma il problema è che la crescita riguarda i paesi in via di
sviluppo, mentre in quelli cosiddetti sviluppati si è pressoché arrestata.
Quindi deve ripartire. Non c’è altra soluzione, dicono sedicenti esperti e
giornalisti. Invece la soluzione c’è ed è sotto gli occhi di chiunque non ragioni
a compartimenti stagno. I flussi migratori che hanno caratterizzato la storia
dell’uomo dalla sua comparsa sul pianeta.
La scienza, nelle sue diverse
branche, conferma, e supporta con prove inconfutabili, che importanti
spostamenti di genti sono e saranno sempre più inevitabili. I motivi sono ovvi
e non voglio elencarli in questa sede. È questo il futuro che ci si prospetta.
Lavoriamo dunque per facilitare questo processo e per diffondere l’ideale
umanista che l’uomo può fare grandi cose se si serve di intelligenza, cultura,
etica, e onestà. E soprattutto se collabora con il prossimo. Sono molti i
fronti su cui lavorare ma il primo è accettare che questa palla di terra è
abitata da una varietà di popoli che saranno sempre più interconnessi e
mescolati. Una nuova umanità eterogenea e ricca che avrà il compito di ripensare la vita comune, e in comune con il pianeta.. Questo è il futuro
meraviglioso che potremmo avere se fossimo meno avidi e gretti.
gennaio 2015
(tutti i diritti riservati)
Etichette:
condizione umana,
crescita,
crescita demografica,
etica,
futuro,
intelligenza,
migrazioni,
pianeta,
popoli,
scienza. cultura,
società,
storia,
umanità
COMUNICAZIONE ANIMALE
Non possiamo sapere ciò che
provano gli altri animali, e se realmente provano qualcosa, perché non parlano
e non sono in grado di comunicarcelo. Questa convinzione è diffusa e resiste,
anche se siamo nel terzo millennio e abbiamo conoscenze sufficienti per mettere
da parte un antropocentrismo ormai obsoleto.
Forse non possiamo sapere cosa
esattamente sentono ma non possiamo dubitare che ciò accada, e con grande
intensità. È così evidente, così chiaro che essi comunicano e siamo noi
spesso a non essere in grado di comprenderli.
Perché poi non considerare che
possano possedere sistemi di comunicazioni più evoluti del nostro? No, non sia
mai.
Andiamo a caccia di forme aliene
di vita intelligente. Abbiamo spedito nello spazio una sonda con formule
matematiche, musica classica, disegni di Leonardo, versi di balene, e parecchia
altra roba che dovrebbe indicare il nostro livello di evoluzione, ci siamo
dichiarati pronti a un confronto e poi, di fronte allo sguardo di un essere di
questa terra che non si presente antropomorfo, gridiamo la sua inferiorità.
Non ricordo il nome dello
studioso che guardando negli occhi una giraffa disse:
È confortante sapere di non essere al centro del creato.
giugno 2013
venerdì 6 febbraio 2015
MOLESKINE 9
Credo che oggi indiscutibilmente una delle maggiori opportunità di vivere e
sostenere o, al contrario, di tradire i valori di civiltà di cui tanto andiamo fieri, risieda
proprio nel cibo che decidiamo di mettere nel piatto.
#INFORMAZIONI
Abbiamo a disposizione una marea
di informazioni e non possiamo farne nulla.
Non possiamo noi in quanto individui singoli nella quotidianità delle
nostre esistenze. Non possiamo né gestirle, né quindi metterle a frutto. Già
dimostriamo di non saperlo fare quando sono poche e semplici: andiamo in
corto circuito nel momento in cui una di esse mette in discussione la struttura
della nostra vita. Nell’era dei data center e delle clouds, come fare, cosa
fare, se non delegare? L’ultima, inevitabile, consequenziale delega.
La maggior parte delle notizie
cui accediamo online, quelle che ci appaiono quando apriamo una pagina web, non
quelle che andiamo a cercare con selezione delle fonti, è il risultato del
lavoro di bot: programmi che lavorano a partire dai nostri percorsi online per
creare un habitat a noi confacente o con richiami a ciò che grosso modo ci
potrebbe interessare. Nel giro di un decennio o poco più la maggior parte di
ciò che visualizzeremo e leggeremo avrà tale origine. Personalizzata.
Riceveremo notizie da sempre meno fonti in un processo di internet centrismo già
ampiamente riscontrabile. Più che una finestra sul mondo il nostro pc diventa
una finestra su noi. Ognuno con la propria in cui riconoscersi, sentirsi
compreso e quindi gratificato. Avremo l’impressione di essere aggiornati e
informati, di non esserci persi nulla di ciò che importa non perdere, di essere
condivisi, e ciò grazie alla natura stessa dei social network che si autodefinisce
comunitaria ma si limita ad amalgamare opinioni affini. Per chi cede alla malia
di questo flusso il destino è inesorabilmente uno: potenziale cliente. O come
dice l’amico Maurizio Maggiani, carne da dividendo.
novembre 2014
Etichette:
bot,
cloud,
condizione umana,
data center,
informazioni,
internet,
internet centrismo,
Maurizio Maggiani,
notizie,
potenziali clienti,
social network
giovedì 5 febbraio 2015
#CHARLIE HEBDO
Alcune considerazioni in ordine
sparso
La mia incondizionata solidarietà
alle vittime: quelle trucidate, quelle sopravvissute, quelle collaterali.
Tra Turchia e Russia se la
giocano quanto a persecuzione del pensiero indipendente. In Arabia saudita
quattro giorni fa hanno inaugurato la prima delle venti giornate di frustate (50
alla volta) del blogger anticlericale Raif Badawi, Netanyahu non è esattamente
un paladino della tolleranza, insomma a piangere le vittime di Charlie Hebdo un
bel parterre di ipocriti e criminali.
Quella in prima linea è rabbia
che ha preso una strada sbagliata.
Lo Stato Islamico, che comunque
opera principalmente in territorio mediorientale, Al Quaeda, che va a colpire
fuori, i paesi occidentali. Movimenti islamisti che raccolgono proseliti tra
chi non trova riconoscimento di sé e della propria cultura in Paesi altri dal
proprio. Persone emarginate, arrabbiate, allo sbando. L’ignoranza, la povertà,
la solitudine. Non confondiamo islamici e islamisti. Torna comodo a molti farlo
ma è disonesto.
La storia dell’interpretazione
dei testi sacri.
E le bambine che si fanno (o le
fanno) esplodere e le centinaia di morti civili in Nigeria di cui han taciuto e
tacciono pure a casa loro?
e la regione di Rovaja in Siria?
e l’interventismo statunitense
dosato per mantenere gli stalli?
Sì, certo, la libertà di
espressione, anche e soprattutto quella dell’altro che non condividiamo, ma
scrivere una parola, pronunciarla, vergare un segno, tracciare una linea su un
foglio, implica anche attraversarne una nella vita reale. Significa prendere
una posizione tra quelle disponibili o crearne una nuova o anche non prenderne
alcuna e fare l’equilibrista senza compromettersi. Ma ci si compromette sempre
e comunque. Qualunque sia la scelta, nello scrivere, o nel proporre un’immagine,
è implicita la responsabilità che ci si assume per tutto ciò che ne potrà
derivare. Le parole possono essere meravigliosamente preziose ma possono anche
essere inutili e superflue se sono fine a se stesse.
Renald Luzier (disegnatore di
Hebdo) dice che non si ritengono responsabili della diffusione online del loro
operato e che sono sempre stati solo una fanzine che nessuno ha mai degnato di
attenzione. D’accordo ma sappiamo bene tutti in che era viviamo: ogni cosa
anche la più irrilevante o stupida rimbalza e si propaga senza criterio,
quindi…
Ho scorso un gran numero di
copertine di Charlie Hebdo: non mi piacciono. Molte le ho trovate volgari.
Superflue. Non che ciò giustifichi, altrimenti in base alla mediocrità di tanta
carta stampata dovrebbero esserci stragi quotidiane, ma non ci si può esimere
dal ritenersi corresponsabili delle reazioni che appunto si determinano.
Resta il fatto che dobbiamo fare
i conti con la nostra inerzia, con l’omertà in cui siamo immersi e guardarci
allo specchio ogni volta che una voce viene messa a tacere, dobbiamo ricordare che è nostra personale responsabilità, dobbiamo ricordare
ogni istante che ci sono persone di cui ignoriamo il nome e la vita, che
affrontano in solitudine la propria personale lotta per la libertà, che le
parole possono innescare cambiamenti e che queste parole devono poter essere
pronunciate o scritte, poter essere udite e trasmesse. Dobbiamo non perderci
con diatribe su Charile Hebdo ha ragione, Charlie Hebdo ha torto, ma
raccogliere questo sangue e nutrircene per continuare a credere e sognare il
sogno più difficile.
12 gennaio 2015
(tutti i diritti riservati)
Etichette:
Al Quaeda,
Charlie Hebdo,
civiltà,
condizione umana,
cultura,
informazione,
islam,
Netanyahu,
Nigeria,
parole,
povertà,
Raif Badawi,
responsabilità,
società,
terroristi,
vittime
Iscriviti a:
Post (Atom)