giovedì 27 febbraio 2020

CORONAVIRUS 3

In base alla rassegna stampa internazionale di questa mattina, alle dichiarazioni della WHO (OMS), alla lettura delle testate nazionali nostrane, lasciando perdere la cronaca locale riguardante i contagiati di Alassio, pare che l'allarme epidemia Coronavirus sia ampiamente rientrato. Bene. 
Quindi da ieri a oggi il mondo è tornato a essere quello di sempre?
Se è così allora, mi chiedo, a tal punto le derive mediatiche possono avere il sopravvento sulla realtà?
Mi chiedo però anche, non sarà che, in questo momento storico in cui si sta diffondendo una coscienza ambientale di una certa consistenza, in cui la richiesta di rispetto dei diritti umani si è, come accade ciclicamente nella storia umana, rafforzata, si sono volute fare delle prove generali per verificare se la paura di un individuo per la propria sicurezza personale è ancora il deterrente più pratico ed efficace per tenere a bada le legittime rivendicazioni di giustizia sociale quand'esse iniziano a creare troppi problemi allo status quo? 

mercoledì 26 febbraio 2020

CORONAVIRUS 2 Imperia


Imperia 24 febbraio 2020 ore 2.45

Il mio compagno e suo figlio di due anni stanno dormendo di là. Sono circa le due di notte. Il silenzio schietto normale nel quartiere in cui vivo questa notte suona irreale. Prelude a quello diurno che si sta vivendo in molti centri urbani nel mondo a causa delle misure restrittive adottate contro la diffusione del Coronavirus e che, probabilmente, da domani almeno in parte inizieremo a vivere anche qui a Imperia.
Ieri mattina ho provato l'inquietante stato d'animo di sentirmi una delle poche persone a sapere da fonte ospedaliera certa dell'esistenza di casi di contagio in zona in anticipo rispetto alla divulgazione dell'ordinanza regionale, contenente le misure di tutela, da ormai diverse ore di dominio pubblico. Al supermercato verso le tredici per acquistare un paio di cose al banco del fresco osservavo le persone accanto a me ancora ignare di quanto a me noto. Mi sono chiesta che fare. Passare parola al prossimo? A che pro? Per buttare benzina sul fuoco? Adottare le normali cautele igieniche dovrebbe essere prassi comune in una situazione di prevenzione. Inutile creare ulteriore allarmismo.
Andando verso le casse ho sbirciato sugli scaffali di detersivi e disinfettanti. A parte l'amuchina gel, non mancava nulla. E nulla ho acquistato. Ho poi saputo che nelle ore successive il medesimo supermercato è stato preso d'assalto e presumo che presto anche molti generi alimentari saranno di difficile reperibilità.
Al momento sono preoccupata del fatto che, probabilmente, da domani avrò difficoltà ad assistere la zia anziana di un'amica di Milano, ricoverata per una frattura. Le indicazioni precauzionali impongono di utilizzare mascherine idonee e disinfezione costante a coloro vengano in contatto con persone debilitate che rischierebbero molto da un contagio. Dubito che troverò l'occorrente in farmacia. Non si tratta di tutela personale ma della responsabilità a non diventare vettore di contagio. Per quanto tutta la faccenda possa essere l'esito di un'esasperazione mediatica, sottostimare il rischio è stupido.

Fin qui la cronaca delle ultime ore. A seguire le considerazioni che avevo iniziato a scrivere ieri all'alba.

A parte tutte le considerazioni sulle migliaia di morti per malattie curabili nei Paesi cosiddetti in via di sviluppo, sulle cifre di coloro che ogni anno muoiono per la “normale” influenza, sull'attenzione mediatica breve per i recenti casi di meningite in Toscana, e via discorrendo, vorrei concentrarmi sul fatto che forse l'idea che microrganismi la cui vita, per noi infinitesimale e quindi non computabile nei calcoli che facciamo per le nostre quotidiane scelte, possa penetrare in noi conducendoci alla morte, sia una benedizione. Che l'auspicato e auspicabile cambiamento di molte delle nostre abitudini giunga repentino, e perciò maggiormente sgradito, potrebbe rivelarsi una buona cosa. Rallentare un po' insomma. Abbandonare l'attitudine allo spostamento frenetico. Ne verrebbe fuori anche una mano all'ambiente.

Poi, se vogliamo metterci lì e considerare la situazione veramente grave come la propinano, allora, in termini di procedure d'arginamento del contagio, o si fa sul serio o non si fa niente. Parlando dell'Italia, che si decida di chiudere per una settimana, scuole, cinema, musei, in pratica i luoghi con alta concentrazione di persone, ma non si considerino negozi, bar, uffici, mezzi di trasporto, ecc. sottrarre credibilità alle indicazioni date dalle istituzioni preposte alla gestione dell'emergenza. O si fa profilassi a 360 gradi o non si fa. E si fa uguale in tutto il Paese, non a seconda delle amministrazioni regionali. Così si rischia di danneggiare alcune zone e alcuni settori senza la contropartita di un'efficace controllo del contagio. E poi che senso ha il coprifuoco dalle diciotto ma prima niente? Colazione al bar sì e aperitivo no? E tutti questi guanti e mascherine che dovremmo usare per giustamente non propagare un morbo che resta asintomatico a lungo, una volta usati in giro, che facciamo? Li infiliamo in borsa? Li gettiamo nel primo cestino che incontriamo? Ce li portiamo a casa? Ci vorrebbero raccoglitori di rifiuti speciali in ogni dove e azioni di disinfezione come fanno in Giappone, altrimenti sembra una buffonata. Insomma, o c'è un pericolo serio o non c'è. E gli abiti che indossiamo? L'elenco delle insensatezze sarebbe lungo, quindi mi fermo qui.
Bisognerebbe poi bloccare le merci, se è vero che gli oggetti sono veicoli di trasmissione, ma sarebbe un provvedimento che farebbe collassare il sistema pur per un periodo limitato nel tempo, perciò non si fa. Anche se grande distribuzione, aziende farmaceutiche e affini, un bell'incremento di fatturato al momento ce l'hanno, bloccando le vie di approvvigionamento, alla lunga sarebbe pesante per l'economia. Se aggiungiamo che le direttive sono diverse da Paese a Paese (sarebbe stata una gran prova di coesione per l'Europa), otteniamo il risultato di un'approssimazione generale. Inoltre i kit diagnostici sono stati approntati in fretta e furia e hanno ovviamente un margine di falsi positivi da considerare. E in ogni caso andrebbero usati dappertutto su larga scala, altrimenti chiaro che vengono fuori luoghi senza infettati e altri dove il risultato è da quarantena nazionale. Insomma il quadro generale dice che o il rischio non è quale stanno dicendo o siamo degli inetti. Potrebbero essere entrambe le cose ma questo è un altro discorso.

Un'altra doverosa riflessione va al fenomeno degli untori, non quelli da caccia all'untore ma i sedicenti untori, quelli che intendono farsi vettori del contagio e propagarlo. Vero o falso sia il pericolo di una pandemia, ovunque si sentono persone dichiarare, per motivi diversi, l'intenzione a fare l'opposto di quanto consigliato. Per scaramanzia, per baldanza, per fatalismo, per rabbia, per stanchezza e sfiducia, per imbecillità. Le derive psicologiche sono altrettanto deleterie che quelle sanitarie. Così come lo sono le derive socio politiche. Pensando ad esempio al fatto che qualche centinaio di migliaia di cinesi sono impiegati in Africa, che decine di migliaia di africani studiano in Cina, e che migliaia di voli all'anno collegano i due Paesi, considerando l'inadeguatezza del sistema sanitario africano in proporzione all'estensione e alla conformazione del territorio, all'assenza di kit per la diagnosi (efficaci o meno che siano), se dovessero aumentare i contagi dalle nostre parti, non mi stupirei di vedere schierare la Marina militare a presidiare il Mare nostrum e impedire qualsiasi accesso alla penisola. Dato lo scenario pregresso e attuale, tutto diventa possibile. Intanto però quelli a essere discriminati siamo noi. Una bella lezione.

Ora, mettendo tutto quanto detto sinora da una parte, credo che a mancarci, più che un vaccino, sia principalmente la cultura della morte. Il memento mori, il ricordati che devi morire, che appartiene solo più alle culture fortemente legate alle tradizioni e alla terra. È necessario ricostruirla questa cultura. A nessuno piace l'idea di terminare il proprio passaggio in questa vita o di perdere persone care ma la ricostruzione di una coscienza collettiva della finitudine umana è doverosa. Al pari degli altri animali, dei vegetali, di ogni forma di vita, dobbiamo morire per permettere alla vita di rinnovarsi. Non possiamo essere immortali e, considerata la nostra impronta ecologica, nemmeno troppo longevi, con buona pace di transumanisti e postumanisti, e dei ricconi ibernati. È fisica. Termodinamica. Non c'è alternativa. Funziona così. Ed è una meraviglia.

Oggi però in città lo sconforto ha preso il sopravvento. Come previsto nelle farmacie non ci sono più mascherine né disinfettanti. Fuori dalla ferramenta del centro una coda bella lunga. Entro perché ho bisogno di mascherine per recarmi in casa di cura. Non trovando quelle chirurgiche che servono per proteggere il prossimo, prenderò quelle da cantiere, con il filtro antipolvere. Mi scoccia un po' perché sembrerò una di quelle persone che vuole quelle con il filtro per proteggere se stessa più che gli altri. Tanto non servono. Un placebo. Vaglielo a spiegare. Vabbe'. Infatti la signora prima di me ne compra un centinaio, per sicurezza, dice, non si sa mai. Paga con la carta. Ci lascia una fortuna. Mascherine esaurite. Quelli dietro brontolano. Il negoziante però tira fuori dal cilindro quelle “buone” che proteggono sia chi le indossa che il prossimo. Le M3. Vanno a nove l'una. Con l'alcol al 99% se le disinfetti le puoi utilizzare quattro, cinque volte. Peccato che le buone siano le FP3 ed M3 sia la marca ma, si sa, la confusione regna. Essendo monouso mi rassegno al salasso e ne compro quattro contando che la disinfezione con alcol serva a qualcosa, visto che in clinica ci devo andare ogni giorno.
Quando entro nella stanza della zia della mia amica, questa mi guarda interrogativa e mi domanda se sta succedendo qualcosa di strano. Le rispondo, nulla di strano, l'umanità sta impazzendo. Per fortuna sto solo bofonchiando dentro la maschera e lei non sente. Le faccio cenno di aspettare. Nel corridoio tiro giù la maschera, stavo soffocando lì dentro, e agguanto gentilmente un'infermiera pregandola di procurarmi qualche mascherina normale. Rientro dalla zia. Le dico che ho un po' di tosse e non vorrei contagiarla. Poi apro la finestra, ché negli ospedali da decenni ormai si sono dimenticati che il cambio dell'aria è prassi fondamentale, mi siedo accanto al letto. Mi lavi un po', per favore, anche la dentiera, ché qui fan finta di niente? Mi chiede. Certo, rispondo. Non ho la tosse, né altro. Abbasso la mascherina, le prendo le mani tra le mie. Sorridiamo. E questo è quanto.
Rientrando a casa osservo l'andirivieni per le strade. Apparentemente tutto normale. Bene. A parte i carrelli della spesa stracarichi, non siamo ancora a livello di psicosi di massa.

Ho interrotto di scrivere perché mi hanno chiamato dalla clinica dicendo che non sarà più possibile fare visite ai degenti. Sono tornata comunque e all'ingresso mi hanno fatto compilare un questionario con i miei dati e la domanda se fossi stata in Cina di recente (!), poi ho parlato con il medico di turno per conoscere i tempi e i dettagli del provvedimento. Dopodiché l'ho pregato di far avere alla zia della mia amica una confezione di grissini, una rivista, una camicia da notte. Ha preso tutto e l'ha consegnato a destinazione. Qualcosa mi sfugge. Perché i grissini sono potuti entrare in reparto e io no? Se vi avessi starnutito sopra poco prima? Tutto molto approssimativo. Se veramente la situazione dovesse rivelarsi seria non ci sarebbero speranze di sfangarla.

Intanto ho deciso di restituire in ferramenta le inutili e costose mascherine, visto che per ora non posso andare in clinica e comunque ne ho recuperate un paio chirurgiche monouso. Qualcuno mi suggerisce di rivenderle a quindici. La tentazione di speculare sull'ignoranza c'è, visto che si tratta di un'ignoranza che trasuda egoismo, non quella bella e sana del so di non sapere, ma è tutta la vita che lotto contro chi lo fa, per cui piuttosto le regalo.

venerdì 14 febbraio 2020

CORONAVIRUS


Non volevo scriverne temendo di impantanarmi in riflessioni su censura, interessi dell'industria farmaceutica, globalizzazione, ipotesi di complotto, letteratura e cinematografia distopiche, e via discorrendo, poi ho concluso che almeno poche righe su quest'epidemia o pandemia che dir si voglia, dovevo scriverle.

L'epidemia di Coronavirus oltre a essere un'emergenza sanitaria è anche, se non principalmente, una sindrome sociale che, in certi casi, rasenta la psicosi di massa. Una sindrome che rivela molto della condizione umana agli albori del terzo millennio dell'era cristiana. Rivela pregiudizi, fa emergere paure inconsce, scatena istinti aggressivi.

In questo mondo complesso ed estremamente fragile porta alla luce, tra le altre cose, la nostra ipocrisia. Sollecitati da un'informazione globale sfuggita di mano e incapaci di distinguere dove finisce il resoconto di un’emergenza e dove comincia la costruzione mediatica di un allarme, paventiamo un'ecatombe imminente che sicuramente questa volta ci colpirà. Colpirà proprio noi che altrimenti ci sentiamo lontani dai mali del mondo, che ci reputiamo in qualche modo immuni alle tragedie fuori porta. Improvvisamente sicuri che prima o poi arriverà la catastrofe che ci punirà, perché in qualche modo siamo consapevoli di meritarla una punizione.

E ora, con il coronavirus, ci ritroviamo a temere per la nostra vita così come è stato per l'aids, la mucca pazza, l'ebola, la Sars, l'influenza aviaria. Se poi si riuscirà a contenere l'epidemia, se si troveranno un vaccino e una cura efficace, coloro che la scamperanno, presumibilmente la gran parte, vergognandosi della paura provata, liquideranno la faccenda come l'ennesima crisi sovrastimata. Replicando in tal modo la propensione alla superficialità e alla non lungimiranza. Torneremo a considerarci fuori dall'ecosistema terrestre, fuori dalla società umana, insomma non a bordo della stessa barca. Fino alla prossima emergenza.

Intanto, però, come dimostrano gli episodi di intolleranza, le aggressioni e gli insulti, le assurde pantomime di baristi con tuta protettiva e mascherina, la corsa all'accaparramento di disinfettanti e presidi ospedalieri protettivi, il saccheggio dei negozi di ferramenta per le mascherine, in molti, come sempre in queste occasioni, stiamo mostrando il nostro lato peggiore, quello dell'ignoranza presuntuosa e prevaricatrice.

Forse non siamo riusciti, nonostante la professata fiducia nelle dell'umana gente magnifiche sorti e progressive, ad affrancarci da una memoria collettiva profonda pronta a riemergere ai primi segni di una qualche nuova forma di contagio che richiami le pandemie passate della storia umana, di cui la peste è l'emblema. Il rifiuto dell'altro quindi come atavismo mentale, un riflesso comportamentale ben presente in molti aspetti della nostra vita sociale. Come quando siamo infastiditi o imbarazzati di fronte a chi chiede l'elemosina forse perché una parte della nostra memoria di specie ricorda quando le città europee rigurgitavano mendicanti, straccioni, diseredati. Come se gli individui che incontriamo ai bordi dei marciapiedi, quelli che scendono dai barconi, tutti coloro che vivono ai margini di una vita dignitosa, fossero i fantasmi di un passato, peraltro neanche tanto lontano, che fa a pugni con l'idea di un mondo evoluto, prospero e avanzato. Un passato con cui non vogliamo più avere niente a che fare.

Noi che dimentichiamo di far parte di un unico sistema, parte di una società umana strettamente interconnessa, noi che siamo incuranti delle centinaia di migliaia di persone che muoiono ogni anno di malattie facilmente curabili, quali ad esempio la malaria e che non siamo, se non occasionalmente, interessati a tutti quei problemi che schiacciano buona parte dell'umanità perché irrazionalmente persuasi di non farne parte, in questi giorni non dormiamo bene. Siamo tormentati e inquieti.

Ci stanno dicendo che il virus sopravvive a lungo sulle superfici...

Potrebbe mai darsi che l'inquilina del piano di sotto che fa le pulizie dai tedeschi che erano a Venezia a gennaio nello stesso periodo in cui vi ha soggiornato la coppia di Taiwan positiva al Coronavirus, possa aver contratto il contagio? Be', sì, potrebbe darsi.