Imperia 24 febbraio 2020
ore 2.45
Il mio compagno e suo
figlio di due anni stanno dormendo di là. Sono circa le due di
notte. Il silenzio schietto normale nel quartiere in cui vivo questa
notte suona irreale. Prelude a quello diurno che si sta vivendo in
molti centri urbani nel mondo a causa delle misure restrittive
adottate contro la diffusione del Coronavirus e che, probabilmente,
da domani almeno in parte inizieremo a vivere anche qui a Imperia.
Ieri mattina ho provato
l'inquietante stato d'animo di sentirmi una delle poche persone a
sapere da fonte ospedaliera certa dell'esistenza di casi di contagio
in zona in anticipo rispetto alla divulgazione dell'ordinanza
regionale, contenente le misure di tutela, da ormai diverse ore di
dominio pubblico. Al supermercato verso le tredici per acquistare un
paio di cose al banco del fresco osservavo le persone accanto a me
ancora ignare di quanto a me noto. Mi sono chiesta che fare. Passare
parola al prossimo? A che pro? Per buttare benzina sul fuoco?
Adottare le normali cautele igieniche dovrebbe essere prassi comune
in una situazione di prevenzione. Inutile creare ulteriore
allarmismo.
Andando verso le casse ho
sbirciato sugli scaffali di detersivi e disinfettanti. A parte
l'amuchina gel, non mancava nulla. E nulla ho acquistato. Ho poi
saputo che nelle ore successive il medesimo supermercato è stato
preso d'assalto e presumo che presto anche molti generi alimentari
saranno di difficile reperibilità.
Al momento sono
preoccupata del fatto che, probabilmente, da domani avrò difficoltà
ad assistere la zia anziana di un'amica di Milano, ricoverata per una
frattura. Le indicazioni precauzionali impongono di utilizzare
mascherine idonee e disinfezione costante a coloro vengano in
contatto con persone debilitate che rischierebbero molto da un
contagio. Dubito che troverò l'occorrente in farmacia. Non si tratta
di tutela personale ma della responsabilità a non diventare vettore
di contagio. Per quanto tutta la faccenda possa essere l'esito di
un'esasperazione mediatica, sottostimare il rischio è stupido.
Fin qui la cronaca delle
ultime ore. A seguire le considerazioni che avevo iniziato a scrivere
ieri all'alba.
A parte tutte le
considerazioni sulle migliaia di morti per malattie curabili nei
Paesi cosiddetti in via di sviluppo, sulle cifre di coloro che ogni
anno muoiono per la “normale” influenza, sull'attenzione
mediatica breve per i recenti casi di meningite in Toscana, e via
discorrendo, vorrei concentrarmi sul fatto che forse l'idea che
microrganismi la cui vita, per noi infinitesimale e quindi non
computabile nei calcoli che facciamo per le nostre quotidiane scelte,
possa penetrare in noi conducendoci alla morte, sia una benedizione.
Che l'auspicato e auspicabile cambiamento di molte delle nostre
abitudini giunga repentino, e perciò maggiormente sgradito, potrebbe
rivelarsi una buona cosa.
Rallentare un po' insomma. Abbandonare l'attitudine allo spostamento
frenetico. Ne verrebbe fuori anche una mano all'ambiente.
Poi, se vogliamo metterci
lì e considerare la situazione veramente grave come la propinano,
allora, in termini di procedure d'arginamento del contagio, o si fa
sul serio o non si fa niente. Parlando dell'Italia, che si decida di
chiudere per una settimana, scuole, cinema, musei, in pratica i
luoghi con alta concentrazione di persone, ma non si considerino
negozi, bar, uffici, mezzi di trasporto, ecc. sottrarre credibilità
alle indicazioni date dalle istituzioni preposte alla gestione
dell'emergenza. O si fa profilassi a 360 gradi o non si fa. E si fa
uguale in tutto il Paese, non a seconda delle amministrazioni
regionali. Così si rischia di danneggiare alcune zone e alcuni
settori senza la contropartita di un'efficace controllo del contagio.
E poi che senso ha il coprifuoco dalle diciotto ma prima niente?
Colazione al bar sì e aperitivo no? E tutti questi guanti e
mascherine che dovremmo usare per giustamente non propagare un morbo
che resta asintomatico a lungo, una volta usati in giro, che
facciamo? Li infiliamo in borsa? Li gettiamo nel primo cestino che
incontriamo? Ce li portiamo a casa? Ci vorrebbero raccoglitori di
rifiuti speciali in ogni dove e azioni di disinfezione come fanno in
Giappone, altrimenti sembra una buffonata. Insomma, o c'è un
pericolo serio o non c'è. E gli abiti che indossiamo? L'elenco delle
insensatezze sarebbe lungo, quindi mi fermo qui.
Bisognerebbe poi bloccare
le merci, se è vero che gli oggetti sono veicoli di trasmissione, ma
sarebbe un provvedimento che farebbe collassare il sistema pur per un
periodo limitato nel tempo, perciò non si fa. Anche se grande
distribuzione, aziende farmaceutiche e affini, un bell'incremento di
fatturato al momento ce l'hanno, bloccando le vie di
approvvigionamento, alla lunga sarebbe pesante per l'economia. Se
aggiungiamo che le direttive sono diverse da Paese a Paese (sarebbe
stata una gran prova di coesione per l'Europa), otteniamo il
risultato di un'approssimazione generale. Inoltre i kit diagnostici
sono stati approntati in fretta e furia e hanno ovviamente un margine
di falsi positivi da considerare. E in ogni caso andrebbero usati
dappertutto su larga scala, altrimenti chiaro che vengono fuori
luoghi senza infettati e altri dove il risultato è da quarantena
nazionale. Insomma il quadro generale dice che o il rischio non è
quale stanno dicendo o siamo degli inetti. Potrebbero essere entrambe
le cose ma questo è un altro discorso.
Un'altra doverosa
riflessione va al fenomeno degli untori, non quelli da caccia
all'untore ma i sedicenti untori, quelli che intendono farsi vettori
del contagio e propagarlo. Vero o falso sia il pericolo di una
pandemia, ovunque si sentono persone dichiarare, per motivi diversi,
l'intenzione a fare l'opposto di quanto consigliato. Per scaramanzia,
per baldanza, per fatalismo, per rabbia, per stanchezza e sfiducia,
per imbecillità. Le derive psicologiche sono altrettanto deleterie
che quelle sanitarie. Così come lo sono le derive socio politiche.
Pensando ad esempio al fatto che qualche centinaio di migliaia di
cinesi sono impiegati in Africa, che decine di migliaia di africani
studiano in Cina, e che migliaia di voli all'anno collegano i due
Paesi, considerando l'inadeguatezza del sistema sanitario africano in
proporzione all'estensione e alla conformazione del territorio,
all'assenza di kit per la diagnosi (efficaci o meno che siano), se
dovessero aumentare i contagi dalle nostre parti, non mi stupirei di
vedere schierare la Marina militare a presidiare il Mare nostrum e
impedire qualsiasi accesso alla penisola. Dato lo scenario pregresso
e attuale, tutto diventa possibile. Intanto però quelli a essere
discriminati siamo noi. Una bella lezione.
Ora, mettendo tutto
quanto detto sinora da una parte, credo che a mancarci, più che un
vaccino, sia principalmente la cultura della morte. Il memento mori,
il ricordati che devi morire, che appartiene solo più alle culture
fortemente legate alle tradizioni e alla terra. È
necessario ricostruirla questa cultura. A nessuno piace l'idea di
terminare il proprio passaggio in questa vita o di perdere persone
care ma la ricostruzione di una coscienza collettiva della finitudine
umana è doverosa. Al pari degli altri animali, dei vegetali, di ogni
forma di vita, dobbiamo morire per permettere alla vita di
rinnovarsi. Non possiamo essere immortali e, considerata la nostra
impronta ecologica, nemmeno troppo longevi, con buona pace di
transumanisti e postumanisti, e dei ricconi ibernati. È
fisica. Termodinamica. Non c'è alternativa. Funziona così. Ed è
una meraviglia.
Oggi però in città lo
sconforto ha preso il sopravvento. Come previsto nelle farmacie non
ci sono più mascherine né disinfettanti. Fuori dalla ferramenta del
centro una coda bella lunga. Entro perché ho bisogno di mascherine
per recarmi in casa di cura. Non trovando quelle chirurgiche che
servono per proteggere il prossimo, prenderò quelle da cantiere, con
il filtro antipolvere. Mi scoccia un po' perché sembrerò una di
quelle persone che vuole quelle con il filtro per proteggere se
stessa più che gli altri. Tanto non servono. Un placebo. Vaglielo a
spiegare. Vabbe'. Infatti la signora prima di me ne compra un
centinaio, per sicurezza, dice, non si sa mai. Paga con la carta. Ci
lascia una fortuna. Mascherine esaurite. Quelli dietro brontolano. Il
negoziante però tira fuori dal cilindro quelle “buone” che
proteggono sia chi le indossa che il prossimo. Le M3. Vanno a nove
l'una. Con l'alcol al 99% se le disinfetti le puoi utilizzare quattro,
cinque volte. Peccato che le buone siano le FP3 ed M3 sia la marca
ma, si sa, la confusione regna. Essendo monouso mi rassegno al
salasso e ne compro quattro contando che la disinfezione con alcol
serva a qualcosa, visto che in clinica ci devo andare ogni giorno.
Quando entro nella stanza
della zia della mia amica, questa mi guarda interrogativa e mi
domanda se sta succedendo qualcosa di strano. Le rispondo, nulla di
strano, l'umanità sta impazzendo. Per fortuna sto solo bofonchiando
dentro la maschera e lei non sente. Le faccio cenno di aspettare. Nel
corridoio tiro giù la maschera, stavo soffocando lì dentro, e
agguanto gentilmente un'infermiera pregandola di procurarmi qualche
mascherina normale. Rientro dalla zia. Le dico che ho un po' di tosse
e non vorrei contagiarla. Poi apro la finestra, ché negli ospedali
da decenni ormai si sono dimenticati che il cambio dell'aria è
prassi fondamentale, mi siedo accanto al letto. Mi lavi un po', per
favore, anche la dentiera, ché qui fan finta di niente? Mi chiede.
Certo, rispondo. Non ho la tosse, né altro. Abbasso la mascherina,
le prendo le mani tra le mie. Sorridiamo. E questo è quanto.
Rientrando a casa osservo
l'andirivieni per le strade. Apparentemente tutto normale. Bene. A
parte i carrelli della spesa stracarichi, non siamo ancora a livello
di psicosi di massa.
Ho interrotto di scrivere
perché mi hanno chiamato dalla clinica dicendo che non sarà più
possibile fare visite ai degenti. Sono tornata comunque e
all'ingresso mi hanno fatto compilare un questionario con i miei dati
e la domanda se fossi stata in Cina di recente (!), poi ho parlato
con il medico di turno per conoscere i tempi e i dettagli del
provvedimento. Dopodiché l'ho pregato di far avere alla zia della
mia amica una confezione di grissini, una rivista, una camicia da
notte. Ha preso tutto e l'ha consegnato a destinazione. Qualcosa mi
sfugge. Perché i grissini sono potuti entrare in reparto e io no? Se
vi avessi starnutito sopra poco prima? Tutto molto approssimativo. Se
veramente la situazione dovesse rivelarsi seria non ci sarebbero
speranze di sfangarla.
Intanto ho deciso di
restituire in ferramenta le inutili e costose mascherine, visto che
per ora non posso andare in clinica e comunque ne ho recuperate un
paio chirurgiche monouso. Qualcuno mi suggerisce di rivenderle a
quindici. La tentazione di speculare sull'ignoranza c'è, visto che
si tratta di un'ignoranza che trasuda egoismo, non quella bella e
sana del so di non sapere, ma è tutta la vita che lotto contro chi
lo fa, per cui piuttosto le regalo.