domenica 28 febbraio 2016

VERIFICHE DI SICUREZZA

Vi racconto una storia.
C’è un prodotto di sintesi utilizzato abbondantemente in ambito agroalimentare.
Due enti hanno pubblicato valutazioni di rischio sul prodotto, chiamiamoli A e B, dove A è un’autorità europea e B un istituto pubblico nazionale. Entrambi dediti alle verifiche di sicurezza.
B definisce il prodotto “non cancerogeno”; A lo definisce “probabilmente non cancerogeno”.
Diversi autorevoli studi nel mondo, prove alla mano, discordano da tali verdetti.
L’iter prosegue.
Il rapporto divulgato da A si basa su rapporti come quello di B e di altri istituti come B.
Il rapporto conclusivo di B è molto voluminoso ma privo dei contenuti specifici e dettagliati della ricerca stessa. Inoltre A riporta e firma in realtà una ricerca fatta da un gruppo finanziato dal produttore del prodotto, chiamiamolo C.
Quindi A si basa su B e B si basa su C.
Essendo A però un ente statale, lo si ritiene super partes e il rapporto ha valore di linea guida.
Il vicepresidente del consiglio di amministrazione dell’azienda produttrice C esulta per la dichiarazione ufficiale di innocuità, non accorgendosi in un primo momento di esserne il mandante, cioè di aver pagato lo stipendio a coloro che hanno fatto lo studio da lui commissionato.
Ora, senza considerare se il non aver proceduto a studi indipendenti sia dovuto a incapacità o a qualche regalo che non si poteva rifiutare, sta di fatto che l’attendibilità dell'informazione e, peggio, delle sentenze che regolano la nostra vita, sono da considerarsi nulle, soprattutto perché tale meccanismo è la norma.
La non trasparenza della filiera della ricerca è tale che non mi riesce difficile credere che, nel caso specifico, persino chi ne trae vantaggio abbia a caldo preso per indipendente la dichiarazione di non cancerogenicità (certa o probabile a questo punto è secondario).

E tutti noi comuni mortali? Possiamo solo fare atto di fede, credendo ad A. Altrimenti dovremmo mettere in discussione tutta quanta la nostra vita. E sarebbe un gran casino. Non ne abbiamo la forze, il tempo e la voglia.

I DISTILLATI DI MONDAZZOLI

Ho letto online che la prima collana del nuovo colosso Mondazzoli (Mondadori + Rizzoli), cacofonica crasi che per fortuna non siglerà le copertine, si chiamerà “I Distillati”, cioè riduzioni di libri che hanno venduto parecchio negli ultimi anni, a vantaggio di chi ha poco tempo per leggere e non vuole però rinunciare al “cuore del romanzo”. L’autore, a quanto pare, non sarà coinvolto nei tagli. Trovo quest’operazione terrificante. 
Almeno apporre una vistosa dicitura sopra al titolo: su libera trasposizione dall’opera di …

SPESE MILITARI

Per un ambizioso progetto letterario ho letto alcuni saggi storici e, tra questi, uno che tratta dell’industria meccanica italiana, nello specifico torinese, dal primo conflitto mondiale al secondo. La guerra ha fornito, con tutte le discriminanti del caso, un grande impulso alla produzione, diversificandola e specializzandola. La classica gallina dalle uova d’oro. Ora che siamo, a livello mondiale, in ristrettezze, o in austerity se preferite, una parte dei tagli è andata a colpire, specialmente in Europa, anche i settori militari e di conseguenza tutti i produttori di armi di ogni foggia e misura. Aziende divenute nei decenni  troppo grandi per fallire. E che non intendono fallire, tanto meno ne corrono il rischio, a dispetto di qualsiasi pressione popolare  ed eventuale decisione governativa.
Infatti nell'ultimo periodo c’è stata un’inversione di tendenza e diversi Paesi dell’Unione europea hanno riaperto i cordoni della borsa e generosamente. Complice la diffusione crescente di paura e preoccupazione per la propria sicurezza da parte del popolo che si adegua ai tagli dello stato sociale e accetta come magnanimità, cura e attenzione l’implemento di fondi in ambito difensivo. Per alcuni i migranti sono una vera manna.

Soluzioni intelligenti, lungimiranti, e ambiziose, convoglierebbero il denaro diversamente.

mercoledì 24 febbraio 2016

HOTSPOT

hotspot : luogo in cui è presente una connessione a Internet aperta al pubblico grazie alla presenza dell'omonima infrastruttura di ricetrasmissione.
hotspot:  centri già esistenti e attrezzati  che saranno ampliati per  diventare i primi centri di identificazione dei migranti che vogliono presentare richiesta d’asilo. Nel caso essi  rifiutino di essere registrati* saranno trasferiti nei Centri di identificazione ed espulsione (Cie).

Mi procura un certo disagio mentale e parecchio fastidio la pubblicità della Vodafone che parla di un milione di hotspot sul territorio nazionale e mostra una cartina dell’Italia ricoperta di punti rossi lampeggianti ed emananti onde.

Promiscuità, decontestualizzazioni, assonanze, neologismi stagionali, iperboli, stupri semantici, tutto per quest’umanità evidentemente non già abbastanza distratta.


*Vedi Regolamento di Dublino

domenica 21 febbraio 2016

UNA MISERA EUROPA

In questi ultimi giorni ho scritto sul mio notes alcuni post, poi ho letto su Pagina99 quest'articolo di Helena Janeczek che ben amalgama e comunica in modo chiaro e sintetico le riflessioni che io avevo espresso in tre diversi articoli. Per cui, onore al buon giornalismo, ve lo propongo.



Profughi | Non solo le confische dei beni ai rifugiati
e una politica da spilorci. La pezza è il principio
guida della visione europea, drammatica e grottesca
ai confini
dell’Europa
i pezzenti siamo noi
HELENA JANECZEK
Due donne chiacchierano di fronte al mare di un’isoletta greca. «Ci daranno il Nobel per la pace», dice una. «Perché?» domanda l’altra. «Perché salviamo i profughi, ma poi ci espellono da Schengen». — «Perché?» — «Non li lasciamo affogare». L’iperbole satirica di questa vignetta sintetizza l’aria che tira in Europa. Lo scaricabarile, il mercanteggiamento con qualche sbrocco degno del ragionier Fantozzi e qualche compromesso, tanto per mettere una pezza. La pezza è il principio-guida della politica europea, cosa drammatica e grottesca. Di fronte ai profughi e migranti, noi che viviamo meglio e siamo a casa nostra, stiamo facendo una figura da pezzenti. Prendiamo Danimarca, Svizzera, Baviera e Baden-Württemberg che hanno deciso la confisca dei beni dei rifugiati per sostenere l’onere di mantenerli. Che esempio danno quelle regioni dove il benessere e il lavoro rimangono diffusi sopra la media, al resto del continente che sta peggio? Cosa devono pensare amministratori e abitanti delle isole egee quando il Landtag della terra nativa di Wolfgang Schäuble vara una simile misura?
Devono concludere che sono più vicini a coloro che ripescano dal mare, vicini in tutti sensi, di quanto siano considerati da un'Europa più ispirata allo sceriffo di Nottingham che ai padri del Manifesto di Ventotene? E gli ungheresi o gli slovacchi portati a giustificazione che una linea più conciliante con la Grecia sarebbe stata insostenibile dinanzi ai membri ancora più poveri, perché dovrebbero avere cedimenti sui ponti levatoi alzati e l’accoglienza zero? La questione delle grandi migrazioni non sarebbe la probabile botta finale al progetto costruito a partire dal dopoguerra se non si stesse abbattendo su un’Europa così fragile. Lacerata e infragilita a partire dalle politiche che hanno trasformato la culla della socialdemocrazia nell'interprete più inerte del socialismo dei banchieri. Più degli Stati Uniti sotto la guida di Obama, ma forse persino un governo repubblicano avrebbe preso misure superiori per uscire dalla crisi rispetto a Bruxelles: le leve concesse tardi e obtorto collo a
Draghi e poi nient’altro che tasse, tagli e pareggi di bilancio. Come può l’Europa dominata da una visione così stretta pensare di dimostrarsi all'altezza di una sfida enorme che la raggiunge dall'esterno? Eppure quella sfida, se affrontata con successo, confermerebbe il ruolo di primo attore che pure l’Europa vorrebbe avere. Vorrebbe, ma non può, come sta dimostrando: reagisce giorno dopo giorno, cambia idea in balia del cambiamento degli umori, si barcamena come uno dei gommoni stracarichi che fluttua tra le onde, nella speranza che non saltino le pezze appiccicate sopra, almeno per oggi. Le posture dei vari attori sono complementari, tutte da struzzo. C’è lo struzzo conservatore che vorrebbe venire a capo del problema senza toccare lo status quo, c’è lo struzzo reazionario convinto che la risposta alla feroce globalizzazione sia tornare piena- mente padroni a casa nostra, c’è lo struzzo aggrappato all'idea debole di un multiculturalismo carino come una cena al ristorante etnico. Vince lo struzzo reazionario, l’unico energico e aggressivo nella reazione di difesa, lo struzzo buonista è malconcio dopo i fatti di Colonia. Vigono in ogni caso tabù e negazione. Perché puoi anche riempire di denaro gli amici alla Erdogan, o chiudere le frontiere, ripristinare la sovranità, adottare protezionismi, ma non puoi più impedire alle parti più disastrate del mondo di essere connesse in mille modi a quelle dove si sta meglio. Quindi non puoi fermare quella gente se non davvero con le armi con cui oltretutto finisci facilmente per sparare sul paese confinante. Puoi però gestire il flusso nel modo più deciso e razionale oltreché consono a quelli che sarebbero i tuoi principi. Sviluppare un piano comunitario, deliberare un finanziamento della Bce per incentivare i paesi membri più in difficoltà a farne parte. Allestire strutture nei campi oltremare per individuare chi richiede un aiuto prioritario (le famiglie), farsi carico del trasporto tagliando fuori le organizzazioni criminali, creare alloggi, scuole e tutto quanto è necessario, competenze (mediatori, interpreti, psicologi ecc.) sì, lavoro. L’urgenza del problema sarebbe un’o c c a s i one per spingere l’Europa a investire in se stessa. Ma se investire significa indebitarsi e condividere quel debito siamo nel regno dell’inconcepibile. L’Europa soffre di una mancanza di fiducia e generosità verso se medesima, prima ancora che verso gli altri, che sembra destinarla a crepare d’avarizia. È una cosa che fa male perché sul lungo periodo sarebbe capace di trasformare quei nuovi arrivati in cittadini. L’Europa unita ha prodotto ragazzi aperti e preparati, resi più aperti e consapevoli dalla necessità di andare altrove per percorrere la propria strada, ragazzi come quelli massacrati al Bataclan tra cui Valeria Solesin, e come Giulio Regeni torturato a morte da un regime cui affidiamo interessi di stabilità e scambio commerciale. Il giovane accademico non si sentiva diverso dai giovani attivisti egiziani che frequentava per le sue ricerche, salvo per il privilegio di un’origine. La vedevano così anche coloro che, infischiandosi del suo passaporto, gli hanno riservato lo stesso trattamento.




Helena Janeczek è nata a Monaco di Baviera in una famiglia ebreo-polacca e vive in Italia da oltre trent’anni. Ha scelto l’italiano come lingua letteraria per opere di narrativa che spesso indagano il rapporto con la memoria storica del secolo passato. È autrice di
Lezioni di tenebra (Guanda), Cibo (Mondadori), Le rondini di Montecassino (Guanda). Ha co-fondato il blog collettivo Nazione Indiana, collaborato con Nuovi Argomenti, Alfabeta2, Lo Straniero e scritto per giornali come La Repubblica, L’Unità, Il Sole 24 Ore
e altri.

martedì 16 febbraio 2016

TIM VISION - spot 2016

"... perché le nuove tecnologie ci offrono la libertà di non dover scegliere... "

(!)

PASSATEMPO DEL TURISTA


Un bastone è stato lanciato tra le scimmie.

Ha rotto il collo a una piccola scimmia.

La scimmia ora vive

                                con il suo piccolo collo rotto.

Questo da una parte della strada.


Dall'altra.

La gente cammina.

Lungo vie polverose di buganvillee.






                    ( da Appunti africani - '94 )

domenica 14 febbraio 2016

Poesia n.6

Vedo il mare
nero e profondo
la vita molteplice immersa

enormi balene
e microscopiche alghe
iridescenti d’ossigeno e pesci

e il cielo sopra
le stelle e i pianeti
tutto lo spazio in cui siamo.




(dalla silloge "L'inizio" 2009-2011)

giovedì 11 febbraio 2016

SAN LORENZO


Come quest’arbusto di mirto strappato dal vento
e rovinato sulla costa rocciosa
io sono
Esso ha ancora le sue verdi piccole foglie,
stanche e ricurve
ma graziose
e offre un refrigerio d’ombra
se ne si incastra tra le pietre
il tronco.
Pare ancora vivo
e con radici nutrite e linfa che scorre.



2012

lunedì 8 febbraio 2016

SPESA DOMENICALE


Ieri mattina, domenica, pioveva e stranamente l’ho avuta vinta sulla mia pigrizia invernale e alle nove sono uscita per una camminata di un paio d’ore. Sono partita dal Parasio e sono andata all'edicola della stazione a ritirare un paio di numeri di Internazionale, poi dalla Marina ho camminato lungo mare fino alla torre saracena e ritorno. Cielo grigio, poche persone in giro, odore di mare e di pioggia. Mi si è aperto il respiro.
In prossimità dell’incrocio di via Cascione, ho deciso di risalire tutta la via e tornare al Parasio da via San Maurizio. Non avevo intenzione di comprare nulla, infatti ero uscita senza portafogli, giusto cinque euro in tasca, ma trovando i negozi arabi aperti mi sono fermata in una macelleria alimentari per fare un po’ di spesa per il pranzo senza pensare al fatto di essere senza denaro. Me ne sono ricordata una volta entrata, l’ho detto e il proprietario, pur avendomi vista raramente nel proprio negozio, mi ha detto di non preoccuparmi. Intanto mangia, mi ha detto, e mi ha servito. Alla fine ho speso cinque euro e cinquanta, gli ho dato la banconota da cinque impegnandomi a tornare oggi  per portargli i centesimi mancanti.  Davanti a un altro negozio mi sono soffermata a guardare una cassetta di carciofi. Il negoziante mi ha domandato se ne volevo. Prontamente ho risposto di essere uscita senza soldi ma lui subito mi ha detto che costavano poco, due carciofi cinquanta centesimi. Imbarazzata gli ho detto che al momento non avevo neanche quelli. Non importa, me li porterai, è stata la sua risposta. E non mi aveva mai vista.

Oggi sono andata a estinguere i miei debiti e ho comprato dell’altro. Abili mercanti? Può darsi ma grazie a loro sono tornata a casa con il cuore aperto. Con buona pace di chi teme di avventurarsi in via Cascione bassa.


8 febbraio 2016

MODIFICHE SU TWITTER


Ho sentito che la dirigenza di Twitter intende modificare i parametri di apparizione dei tweet di coloro che seguiamo: non più in base alla cronologia con cui vengono postati ma secondo i nostri interessi e gusti. Meglio, secondo quelli che presumono possano essere i nostri interessi e gusti in relazione a chi seguiamo e a cosa andiamo a leggere (personalmente mi capita di navigare in siti che non corrispondono né ai miei interessi né ai miei gusti, ad esempio quando voglio verificare cosa viene detto in ambienti diversi su un dato argomento).
Ciò non farà altro che amplificare l’effetto “bolla” che caratterizza la maggior parte delle piattaforme, cioè quel meccanismo per cui ci si ritrova a confrontarsi principalmente con persone che se non la pensano come noi, per molti versi ci sono affini, precludendo lo stimolo che deriva dal contatto e dal confronto con chi, invece, è “lontano” da noi.

Inoltre, più grave, a quale titolo (e con che arroganza) qualcuno deve decidere per me i contenuti che devo vedere per primi? Sono ben consapevole che il meccanismo è questo da un bel po’, basta aprire contemporaneamente la medesima schermata online su computer utilizzati da persone diverse, per averne conferma, ma è doveroso continuare a opporvi resistenza.

martedì 2 febbraio 2016

CONFISCA DI BENI E DENARO

A proposito di giornate della memoria, leggere che in diversi Paesi s’intende confiscare ai profughi denaro e beni che eccedono di poco i mille euro fa scorrere un brivido lungo la schiena.
Certo, solo a titolo di cauzione, con rilascio di ricevuta, come in Svizzera, dove da anni si applica tale procedura anche per eventuali spese di rimpatrio qualora la domanda d’asilo venga respinta. Per le medesime ragioni viene trattenuto per dieci anni il 10% dello stipendio dello straniero che trova impiego, quale rimborso delle spese di apertura procedure d’asilo e spese di sostentamento.
In Danimarca, per accedere alla disoccupazione, non è possibile avere beni oltre i 1350 euro, quindi la recente decisione di confiscare ai rifugiati di beni e valori eccedenti tale cifra sarebbe un ovvio adeguamento a quelle che sono le condizioni dei propri cittadini.
È giusto contribuire alle spese di uno stato che assicura un welfare, è giusto restituire prestiti per lo studio una volta ottenuto un lavoro, è giusto partecipare alle spese di accoglienza se si è nelle condizioni di poterlo fare; a patto che il welfare sia reale ed equo, che le detrazioni dallo stipendio permettano di mantenere un livello di vita decoroso, che l’accoglienza sia tale e porti a una reale integrazione.
Ed è giusto non adagiarsi nell'assistenzialismo. Perché porta alla depressione e va a discapito della comunità.
Fatte queste considerazioni, resta il brivido.  Perché a fianco di quello che viene definito un legittimo contributo economico si erigono muri e barriere di ogni sorta.
Sto pensando ad Ausmerzen, il libro resoconto di Marco Paolini sulle dinamiche sociali che hanno reso possibile arrivare alla soluzione finale  nei più assoluti silenzio e noncuranza.
Un passo alla volta, come se tutto fosse normale.

p.s. leggetelo!