giovedì 16 aprile 2020

RESILIENZE


Volevo condividere con voi la gioia dell'uscita di questo mio libro. 
Lo farò così. 
Circondata e sorretta da un grande maestro. Di scrittura e di vita.
Grazie Luis, per essere stato una guida.

martedì 14 aprile 2020

Intervista a Jürgen Habermas

L’unica cura è la solidarietà intervista a Jürgen Habermas a cura di Nicola Truong
in “la Repubblica” del 12 aprile 2020

Jürgen Habermas, cosa rivela questa crisi sanitaria globale, da un punto di vista etico, filosofico e politico? 
«Da un punto di vista filosofico, mi colpisce che la pandemia oggi costringa tutti a riflettere su qualcosa che prima era noto ai soli esperti. Oggi, tutti i cittadini stanno imparando come i loro governi debbano prendere decisioni ben sapendo i limiti delle conoscenze degli stessi virologi consultati. Raramente, il terreno per l’azione in condizioni di incertezza è stato illuminato in modo così vivido. Forse questa esperienza insolita lascerà il segno nella coscienza della sfera pubblica». 
Ma quali sono le sfide etiche? 
«Vedo soprattutto due possibili casi che violano l’intangibilità della dignità umana, che la Costituzione tedesca garantisce nel preambolo ed enuncia nel secondo articolo con la dichiarazione "Ogni persona ha diritto alla vita e all'integrità fisica". Il primo riguarda il cosiddetto triage, l’altro la scelta del momento giusto per interrompere il distanziamento sociale. Il pericolo di sovraccaricare i reparti di terapia intensiva degli ospedali, che si è già verificato in Italia ed è temuto nel nostro Paese, ricorda gli scenari della medicina delle catastrofi che solitamente si verificano solo nelle guerre. Se il numero di pazienti ricoverati è superiore a quello delle strutture di cura disponibili nei reparti di terapia intensiva, i medici dovranno inevitabilmente prendere una decisione tragica, perché in ogni caso immorale. Da ciò nasce la tentazione di abdicare al principio della parità di trattamento di ogni cittadino, indipendentemente dallo status, dall'origine, dall'età, eccetera, e nel nostro caso, in particolare, di favorire i giovani rispetto ai più anziani. Ciò potrebbe essere auspicato dagli stessi anziani in un atto moralmente ammirevole di altruismo. Ma quale medico "soppeserebbe" il "valore" di un uomo contro il "valore" di un altro, erigendosi in tal modo a padrone della vita e della morte? Il linguaggio dei "valori" origliato in economia induce alla "quantificazione oggettivante" che è propria della prospettiva dell’osservatore. Ma questa prospettiva non può essere il modo di trattare l’autonomia delle persone: quando mi rivolgo a una seconda persona (tu-voi), l’autodeterminazione dell’altro può essere soltanto o rispettata o negata, vale a dire o riconosciuta o ignorata. L’etica professionale medica, nei confronti di ciò, è in accordo con la Costituzione e segue il principio secondo cui una vita umana non può essere "messa in contrapposizione" con un’altra. Infatti, prescrive che in situazioni che obbligano a prendere delle decisioni tragiche, il medico deve essere guidato esclusivamente dalle disposizioni sanitarie relative alla maggiore prospettiva di successo del trattamento clinico».
E l’altro caso? 
«La decisione sul momento giusto per porre fine allo shut down – una misura moralmente e legalmente richiesta per la protezione della vita – può entrare in conflitto, ad esempio, con i calcoli dei benefici. I politici devono resistere alla "tentazione utilitaristica" di soppesare i danni economici o sociali, da un lato, e le morti evitabili, dall'altro. Si deve accettare il rischio di sovraccaricare il sistema sanitario e, quindi, aumentare il tasso di mortalità per far ripartire prima l’economia e ridurre così anche la miseria sociale causata dalla crisi economica? Su questo punto, la raccomandazione specifica del Consiglio tedesco di etica è rimasta fatalmente ambigua. I diritti fondamentali vietano agli organi statali di prendere qualsiasi decisione che accetti la possibilità di morte di singole persone». 
Non c’è il pericolo che lo stato di emergenza possa trasformarsi in una regola "democratica"? 
«Naturalmente, la limitazione di un gran numero di libertà importanti deve rimanere un’eccezione strettamente contenuta. Ma l’eccezione è di per sé, come ho appena cercato di dimostrare, richiesta dal diritto primario alla protezione della vita e dell’integrità fisica. In Francia e in Germania non c’è motivo di dubitare della fedeltà alla Costituzione da parte dei governanti. Se Viktor Orbán coglie la crisi del Covid 19 come un’opportunità per chiudere definitivamente la bocca all'opposizione, ciò 
va spiegato con la lunga involuzione autoritaria del regime politico ungherese, che il Consiglio europeo e, soprattutto, i cristiano-democratici europei hanno guardato con indulgenza». 
A cosa serve l’Ue se, ai tempi del coronavirus, non dimostra che gli europei stanno insieme e lottano per un futuro comune?": così avete scritto in un appello collettivo su "Die Zeit" del 2 aprile. 
«Io e i miei amici abbiamo posto questa domanda al nostro governo: alla Cancelliera e al ministro delle Finanze della Spd. Entrambi mi lasciano sbalordito. Continuano ostinatamente ad attenersi alla loro gestione della crisi a vantaggio della Germania e dei Paesi settentrionali, senza badare alle critiche dei Paesi meridionali. La grande maggioranza dei politici tedeschi teme le reazioni di rabbia dei propri elettori nel caso di una resa. Tanto più che sono stati loro stessi ad alimentare e stuzzicare il nazionalismo economico autoreferenziale e l'autocelebrazione dell’export tedesco come campione del mondo, non senza la compiacenza della stampa, peraltro. Esistono dati empirici comparativi che dimostrano come il nostro governo, con questo nazionalismo sostitutivo, abbia "chiesto troppo poco" alla sua popolazione. Se Macron ha commesso un errore nei suoi rapporti con la Germania è stato quello di sottovalutare, sin dall’inizio, la ristrettezza delle vedute nazionaliste di Angela Merkel, le cui qualità sono altre». 
La Cina è stata l’epicentro della pandemia e ora sembra che questa epidemia favorisca il suo potere sull’Europa e nel mondo. Si tratta di una svolta geopolitica, vale a dire di un rilancio della sua supremazia politica ed economica? 
«Questa tendenza è in atto da tempo e sta accelerando una divisione dell’Occidente, iniziata al più tardi con il "presidente di guerra" George W. Bush. Sarebbe quindi ancor più importante se l’Europa vedesse nello shock del coronavirus un’ultima possibilità e si nobilitasse per agire in modo solidale». Come vive questo isolamento? Com'è una vita al chiuso e limitata? «La "frazione parlamentare" degli umanisti – che è comunque "seduta" al proprio computer di casa – ne soffre meno». 
Questa crisi sanitaria globale rischia di aumentare l’influenza delle forze nazional-populiste che già minacciano l’Europa. Come possiamo resistere a queste forze? 
«Questa domanda è indipendente dalla situazione attuale di emergenza e deve trovare una risposta diversa in ogni Paese. In Germania, il passato nazista ci ha vaccinato con più forza contro la ricomparsa del pensiero estremista di destra. Per questo partiti e governi poterono permettersi, sotto l’anticomunismo dominante, di chiudere l’occhio verso la destra. Fin dai tempi di Adenauer – e dalla riunificazione con la Germania Est – questo anticomunismo di facciata ha consentito loro di occultare le componenti fatali del loro passato politico. In Francia, invece, l’estremismo di destra era già organizzato da tempo, ma con radici ideologiche diverse dalle nostre: non è etnonazionalista ma statalista. Ora anche una certa sinistra francese, all'origine universalista, sta sprofondando nell'odio per l’Ue». 
Quale nuova narrazione potrebbero inventarsi gli europei per rinnovare lo slancio verso un’Unione europea non amata e mal coordinata? 
«Contro il risentimento non valgono argomenti e buone parole. Servirebbe solo la capacità di affrontare e risolvere i problemi da parte del nucleo forte del continente (Germania e Francia). Solo su un "ring" di questo genere diventerebbe realistico lottare per la soppressione di una politica mondiale dominata dal neoliberismo. Oggi vediamo che, quando urge il bisogno, solo lo Stato ci può aiutare». 

Intervista rilasciata da Jürgen Habermas a Nicolas Truong per "Le Monde". Traduzione di Luca Corchia e Leonardo Ceppa

sabato 11 aprile 2020

CORONAVIRUS 6 - POST SCRIPTUM



L'altro giorno ho scritto un post sull'onda della preoccupazione per le derive negative, in termini di perdità di diritti, che la gestione dell'emergenza in corso porterà. Vorrei chiarire, visto che qualcuno mi ha chiesto se penso che questa epidemia sia stata provocata da poteri forti e occulti, che non lo penso. Penso però che sia una circostanza agevolmente sfruttabile da chi ambisce ad avere un maggior controllo e quindi un potere via via crescente. Insomma che caschi a fagiolo.
Oggi, invece, rifletto solo sul virus in quanto tale.
Rifletto sulla frenesia di movimento cui l'epidemia ci ha sottratti.
Che non sia questo il tempo giusto e naturale, quello in cui ora siamo costretti? Che l'alterazione dannosa non fosse in quella che prima ritenevamo la normalità?
E rifletto sull'importanza del memento mori, il ricordati che devi morire, che ci è stato sbattuto in faccia.
Ricordarci e accettare che siamo fatti di materia fragile e corruttibile. Che siamo creature viventi legate indissolubilmente a ogni altra creatura vivente. Che la morte è il nutrimento della vita e che con questa cosa dobbiamo fare pace.
Poi penso al mondo.
Penso che qui, in Europa, s'inizia a parlare di fase due, di picco raggiunto, di discesa, come se avessimo già dimenticato quanto abbiamo appena imparato, e cioè che per il virus i confini non esistono. Quindi a meno di non voler puntare all'autarchia e chiudersi ogni nazione a qualsivoglia interazione con le altre, l'affacciarsi di una certa rilassatezza ottimistica mi sembra veramente una cecità. L'unico picco da considerare è quello mondiale. Siamo ancora lontani dal raggiungerlo in salita, figurarsi la discesa è decisamente prematuro. Stiamo scavando fosse comuni un po' ovunque e non è un bello spettacolo. Finché si trattava dell'Iran vabbe', ma ora persino negli Stati Uniti. E il peggio ha da venire. Gli tsunami africano, indiano, sudamericano s'intravvedono all'orizzonte e sembrano piccoli, ma quando si abbatteranno avranno un'altezza tale, una portata tale che allora sì che faremo per bene i conti di tutto quanto. In termini di perdite umane innanzitutto, di crisi sociali, economiche e politiche a seguire.
Stiamo parlando di nazioni in cui il distanziamento sociale spesso è impossibile, come ad esempio in India, Paesi in cui anziché mascherine si distribuiscono bare di cartone per smaltire i famigliari morti, Paesi in cui i sistemi sanitari erano già al collasso, vedi ad esempio il noto caso del Venezuela, o in cui sono se non praticamente inesistenti, di certo insufficienti. Paesi in cui c'è un medico di famiglia ogni tot migliaia di persone, in cui mancano i presidi base e i letti in terapia intensiva sono poche decine in un'intera nazione. Paesi che rischiavano l'insolvenza economica già prima della pandemia in corso, soffocati dagli interessi su debiti estinti da un pezzo, con capi di governo, senza nulla togliere ad alcuni nostrani dei Paesi sviluppati, alternativamente se non contemporaneamente, ignoranti, corrotti, criminali, e pertanto incapaci di gestire l'emergenza.
Come possiamo non pensare all'effetto domino, alle ripercussioni devastanti di ciò che sta per accadere? Forse potremo cinicamente farci una ragione per la morte di decine di migliaia di profughi costretti forzatamente in aree di stazionamento “provvisorio”, per la morte di centinaia di migliaia di persone che vivono in bidonvilles, slums, favelas, baraccopoli in giro per il mondo, ma come faremo a gestire la perdita di potere d'acquisto delle classi medio basse, visto che è su tale potere che gira il mondo? A gestire il fallimento di intere filiere produttive? A gestire il peso sanitario? La perdita di formazione per i giovani, la disoccupazione cronica?
Eppure qui, le persone, certe che a breve tutto rientrerà nella normalità, passano il tempo a escogitare stratagemmi per raggiungere impunemente le proprie seconde case.

giovedì 9 aprile 2020

CORONAVIRUS 6


Un fatto è assodato: l'umanità sta affrontando una crisi globale gravissima e, ritengo, una delle maggiori in senso assoluto. La differenza rispetto alle grandi crisi del passato è che gli esiti di questa, viste la realtà tecnologico finanziaria in cui siamo immersi e la conseguente accelerazione dei fenomeni, determineranno in modo ineluttabile le sorti della vita sul nostro pianeta. Ognuno di noi è chiamato a rispondere a un imperativo etico di assunzione di responsabilità. Non ci si può tirare indietro indefinitamente, indefinitamente lavarsene le mani. È necessario che ognuno metta in atto ogni mezzo personale e intellettivo per capire sino in fondo cosa sta accadendo e con umiltà si documenti, legga libri, s'informi. Ma seriamente e non seguendo il propagarsi dei commenti sui social come unica fonte di conoscenza. Abbiamo il dovere imprescindibile di non delegare ad altri decisioni che varranno per tutti. Dobbiamo verificare ogni informazione, ogni fonte, domandarci sempre cui prodest, a chi giova. Evitare l'atteggiamento tipico nei momenti di crisi di farsi prendere dal panico e aspettare che un deus ex machina venga a risolvere tutto. Non è più consentito a nessuno evitare una presa di posizione, come, tanto per fare un esempio, l'amico che a marzo inoltrato ha organizzato cene difendendosi con il fatto che le restrizioni non erano ancora in vigore e che lui le cose le fa solo quando glielo impongono le regole ufficiali. Le leggi, le regole, sono fatte dall'uomo; a volte sono ingiuste, a volte sono sbagliate, altre volte, semplicemente, sono tardive, incomplete, inefficaci. Pertanto quando necessario vanno anticipate, migliorate, cambiate, o, in casi estremi, rifiutate. La storia è ricca di esempi di leggi inique di cui poi nel tempo ci si è vergognati. Non è più consentito non pensare. Non è più consentito non agire.Le decisioni che governi, o chi per essi, hanno preso, stanno prendendo e prenderanno nelle prossime settimane incideranno in profondità sul mondo per anni. Influiranno non solo sui nostri sistemi sanitari ma anche sull'economia, la politica e la cultura. E, fondamentalmente, sulla società. Al risveglio da questo incubo troveremo un mondo del tutto diverso da quello conosciuto sinora, che già non era dei migliori. E temo sarà un mondo distopico. L'accelerazione esponenziale data ai mutamenti sociali da quest'emergenza sarà infatti funzionale al rapido realizzarsi di obiettivi molto chiari messi in agenda già da molti decenni da poteri forti che non intendono rinunciare alla propria visione utilitaristica di una società frammentata e sottomessa. Non si tratta di complottismo ma delle conclusioni inevitabili di un'analisi portata avanti nel tempo... Dobbiamo agire con rapidità e determinazione, pretendendo trasparenza, onestà, senno. Non accettare incapacità e approssimazione, e opporsi a corruzione, conflitti di interesse e utilitaristiche connivenze.Dobbiamo, e avremmo dovuto già da tempo, tenere conto delle conseguenze a lungo termine delle nostre azioni, perché il delegare, l'ignorare, il permettere, il non re/agire sono di per se stesse azioni. Nello scegliere tra le varie alternative, dovremmo chiederci non solo come superare difficoltà e pericoli immediati, di qualsiasi natura siano, ma anche in che tipo di mondo vivremo quando li avremo superati. In che mondo vivremo quando questa tempesta, visto che stiamo parlando della pandemia in corso, sarà passata. Perché certamente, in un modo o nell'altro, questa tempesta passerà e il genere umano sopravvivrà. Molti di noi saranno ancora qui e tireranno un sospiro di sollievo. Alcuni si saranno ulteriormente arricchiti, altri avranno dato fondo ai risparmi di una vita, altri saranno precipitati definitivamente nel baratro dell'incapienza. Qualcuno sarà morto in solitudine, qualcuno si sarà ammazzato, qualcuno avrà ammazzato qualcun'altro. Ma, essenzialmente, vivremo in un mondo diverso.Molti dei provvedimenti adottati in questo periodo per gestire un’emergenza, diciamo a breve termine, diventeranno parte integrante della nostra quotidianità. È nella natura stessa delle emergenze accelerare i processi storici, trasformando intere nazioni in cavie per esperimenti sociali, attraverso l'adozione in poche ore di decisioni e leggi che in tempi normali richiederebbero anni. Le storie legislative nostrana e internazionale sono ricche di esempi di norme introdotte in regime di emergenza e poi rimaste in essere. Per questo è necessario che, oggi, per ogni norma che scavalchi il normale iter legislativo, o che esautori il potere del giudice a favore di quelli del prefetto venga chiaramente indicato un termine temporale.Pensiamo al riconoscimento facciale e all'obbligo di controllare e riferire temperatura corporea e condizioni di salute, alle tecnologie di contact tracing, tutte procedure già in vigore in alcuni Paesi. Le autorità possono non solo individuare i possibili infetti, ma anche seguire movimenti e abitudini di chiunque. Lo si fa da un bel po' ma ora tali misure verranno con il nostro plauso intensificate e applicata su larga scala. Quest'epidemia sta segnando un importante spartiacque nella storia della sorveglianza. Nel momento in cui le multinazionali e i governi cominceranno a raccogliere anche i nostri dati biometrici, potranno prevedere i nostri stati d'animo e manipolarli. Potranno convincerci di qualsiasi cosa con maggiore efficacia di quanto avvenuto finora. E potranno definitivamente venderci quello che vorranno e con le modalità che vorranno. Non sta forse già accadendo? Basti considerare banalmente l'arbitraria classificazione dei beni in beni necessari e non necessari. Perché se possibile acquistare alimenti in un supermercato viene interdetto l'acquisto di abbigliamento se disponibile? Dov'è la logica? Un paio di mutande nuove può essere necessario. Mentre non dovrebbe esserlo entrare nel dettaglio e dover spiegare il perché di tale acquisto, raccontando fatti privati a tutto il personale dipendente fino al direttore del supermercato. Si rasenta l'assurdo. Una folle dispersione di energie mentali per distogliere da quelle che sono le questioni importanti di tutta quanta questa faccenda. Siamo e saremo talmente impegnati a dover risolvere problemi stupidi che non avremo tempo, occhi, orecchie, e cervello per capire quanto sta succedendo davvero. Per cogliere le connessioni tra gli accadimenti. Quanti, tanto per fare un altro esempio banale, che prima non l'avevano mai fatto, ora comprano on line indumenti e scarpe per i propri bambini in crescita che si ritrovano a non entrare nei vestiti da un mese all'altro, pigiami per parenti ricoverati, o qualsiasi altro bene che, nonostante le apparenze per qualcuno potrebbe essere veramente indispensabile? Tanti, direi. Ma chi non ha, perché non gli piace o perché non se li può permettere, un computer, uno smartphone, né una carta di credito, di debito, prepagata o quello che volete, come farà? È chiara l'intenzione di far sparire il commercio al dettaglio, la carta moneta, il rapporto tra persone e di far sprofondare nella marginalità chi ancora vorrebbe vivere alla vecchia maniera o non può permettersi di adeguarsi alla nuova. Tutti dovranno divenire parte di un sistema integrato per poter far fronte alle esigenze quotidiane. Forse persino per comprare le patate. Chi non lo farà sarà escluso. Il distanziamento sociale già esistente non potrà che aumentare. Anche la divaricazione dei redditi sta aumentando velocemente, con ammortizzatori sociali, per chi è in una condizione di reale bisogno, assenti o ridicoli e mal pensati. Ho letto da qualche parte che questo virus sarebbe reazionario perché sta imponendo una decrescita infelice e porterà a una recessione economica mondiale senza pari. Non credo: la decrescita sarà solo per chi non sarà più funzionale al sistema. Io trovo invece che reazionario il virus lo sia nella misura in cui rafforza potentemente lo status quo e impedisce un reale, lungimirante, ed equo rinnovamento sociale, politico, economico.Tornando alla questione di partenza, ciò su cui si fa leva è proprio il chiedere alla gente di scegliere tra privacy e salute, tra stile di vita e salute, tra relazioni umane e salute. In sostanza la solita vecchia storia di libertà contro sicurezza. Ma è una falsa scelta. Possiamo essere al sicuro e proteggere la nostra salute e allo stesso tempo fermare un'epidemia senza cedere a sistemi di sorveglianza assoluti, ma con il buon senso e la responsabilizzazione personale reciproca. Possiamo avere e dovremmo quindi pretendere di avere privacy e salute, socialità e salute, aria aperta e salute, libertà e salute. Invece mentre ci costringono in casa, provvedimento indiscutibilmente legittimo per arginare le epidemie, ripuliscono le strade da umani border line e randagi, tagliano alberi nelle nostre città, continuano a sventrare indiscriminatamente la terra, acidificano i mari. Mentre la maggior parte di noi rispetta doverosamente le restrizioni per il bene comune, si firmano contratti economico finanziari transnazionali, si alimentano conflitti, si dividono gli utili, si programma il new deal del terzo millennio a beneficio di pochi. Qualcosa non quadra. Non è questa la società globale che ho sempre auspicato e di cui ho altrove scritto.In sintesi estrema, un governo mondiale che, nel rispetto delle identità culturali e territoriali, istituisca e faccia rispettare regole comuni per la gestione dell'ambiente, della salute, delle risorse, dell'istruzione, dell'economia, in una visione di protezione del bene comune e dei diritti universali.Il virus, come il riscaldamento climatico, non conosce frontiere e richiede una risposta globale, azioni globali, governance globale. È ormai il Pianeta lo spazio politico in cui questi problemi devono essere affrontati. Ciò presuppone un cambiamento profondo non solo delle istituzioni politiche a cui siamo abituati, non solo degli stili di vita, ma anche del modo di pensare. Infatti l'altra scelta inderogabile che dobbiamo affrontare è quella tra isolamento nazionalista e solidarietà globale. L’epidemia in corso, le crisi economica, sociale, ambientale pregresse e conseguenti, sono problemi globali. Possono essere risolti efficacemente solo con la cooperazione di tutti i Paesi, attraverso la condivisione delle informazioni e l'adozione di misure di contenimento comuni a livello internazionale. Strano, tra l'altro, che non vi sia ancora stato, perlomeno non ufficialmente, un summit tra i leader globali a tal proposito. Anche solo per abbozzare un piano d’azione comune. Vien da pensare che i leader non siano veramente tali e siano in balia di qualcos'altro, di qualcun'altro. O sono degli incapaci o non contano nulla. Tertium non datur.Di sicuro al momento abbiamo che vi sono tanti incompetenti nelle stanze del governo. Si afferma tutto e il contrario di tutto, dimentichi persino delle nozioni base di biologia. Cos'è un virus, come si comporta, quanto tempo impiega a perdere la carica di letalità (nessun virus ha “interesse” a decimare gli organismi ospiti pena la propria scomparsa ma in genere prima di due anni non si può star tranquilli)... Quello che è evidente, a oggi, è che il Virus, inteso anche come misure del suo contenimento (la sedentarietà, lo stare al chiuso, l'isolamento fisico, psicologico, emozionale), sta abbassando le nostre difese immunitarie e sta aggravando patologie pregresse, con ricadute fisiche e psicologiche che pagheremo con gli interessi, sta disgregando le relazioni sociali, amicali, famigliari, in modo drammatico, sta alimentando lo spirito delatorio, sta rafforzando il nazionalismo territoriale. Le persone che all'interno di un paese si spostano dalle aree più colpite dal virus a quelle più “sicure” (sbagliato ma umano) sono sgradite come qualunque straniero si affacci al mare nostrum. Non ci saranno solo più muri tra continenti e tra stati, ma anche tra individui: il pericolo sarà il vicino di casa. Di questo dobbiamo avere paura. Della paura. L'arma più potente, il deterrente più efficace per mantenere il consenso, sfoltire i perdenti, e, in ultima analisi, tacitare ed eliminare i dissenzienti.E non bisogna nemmeno dimenticare di cosa si parlava fino a poco tempo fa. I cambiamenti climatici. L'ipossia dei mari. L'accaparramento indiscriminato di risorse non rinnovabili. La devastazione degli ecosistemi. Le nuove generazioni che criticavano quelle precedenti accusandole di non aver fatto e di non fare nulla per il futuro della vita sul pianeta. Non se ne parla più, anzi il virus ha ribaltato le parti. Ora gli esponenti più anziani della società, fisicamente più vulnerabili, si sentono minacciati dalla scarsa disponibilità dei giovani a cambiare abitudini, giovani che a loro volta stanno già pagando in termini di formazione e pagheranno in termini di qualità della vita. Conflitti generazionali di portata epocale su cui molto a fondo bisognerebbe riflettere.Il problema che la gente non è abituata all'idea di bene comune e non sa come comportarsi di fronte a una minaccia comune, se non andando nel panico e diventando egoista. Alcune persone sì, lo sanno ma, appunto, la gente no. Una questione di discernimento che, come insegna Elias Canetti, la massa non ha. La gente infatti non è andata nel panico per il riscaldamento globale, che è una crisi molto più grande del Covid-19, solo perché avviene gradualmente. Certo, su scala mondiale la velocità esponenziale con cui gli ecosistemi stanno collassando toglie il respiro, ma la maggior parte di noi non vede alcuna differenza nel lasso temporale di riferimento che per gli esseri umani del tardo capitalismo è quello tra una busta paga e l’altra. Solo la paura del contagio, solo la paura di perdere ciò che si possiede, muove. Per questo avrà la meglio un’economia mondiale che premia l’interesse personale cieco e rende la condivisione un lusso. Tra chi fa incetta di mascherine e chi si attacca alla macchina da cucire per produrne, i secondi sono una minoranza. Minoranza che, alla fine, esausta, si arrenderà.Quando vedremo le rovine di questo nostro mondo e patiremo le derive di una società composta da individui asociali, ci saranno rabbia e frustrazione, questo sì, ma niente di più, perché i colpevoli saranno, come sono sempre nell'immaginario collettivo, altrove. La colpa sempre di qualcun'altro che ha portato sino a noi il disastro.