giovedì 28 dicembre 2017

BAMBINI E CANI

Una cara amica, per validi motivi che non è necessario divulgare, è costretta a separarsi dal suo cane. Un paio di settimane fa, dopo aver consultato invano amici e conoscenti, si è attivata telefonando per informarsi presso il canile e presso alcune associazioni della provincia in cui vive. La risposta complessiva è stata negativa non solo per la mancata risoluzione del problema ma anche per le pesanti e inopportune critiche.
Mortificata ed esasperata, si è sfogata dicendo che per assurdo da un figlio ci si può separare più facilmente che da un cane. Sufficiente non riconoscerlo appena partorito. Ho obiettato che il paragone non regge. Nel momento di un sì drammatico rifiuto, si decide infatti, quali che siano le cause, di non divenire in alcun modo responsabile di un altro essere vivente. Ma nel momento in cui si accetta la responsabilità, la faccenda è tutta un’altra. Nel decidere se prendere un animale con sé bisognerebbe parimenti considerare le proprie capacità, possibilità, e volontà di provvedere ad esso qualunque siano le circostanze in cui verremo a trovarci, positive o negative. Esaminati tutti gli scenari possibili, se non si è sicuri, meglio anzi doveroso rinunciare. Non intraprendere la relazione. Una volta invece scelto di prendersi carico di un altro essere che da noi dipende, in caso di difficoltà siamo tenuti a trovare una soluzione che non risolva solo i nostri problemi ma garantisca una buona qualità di vita e la minor sofferenza psicologica possibile all'altro.

Detto questo, coloro che, sulla base di un’alta casistica che in buona misura giustifica tale reazione emotiva, accusino indiscriminatamente chiunque di assenza di cuore, incapacità educativa, menefreghismo, egoismo, superficialità, leggerezza, dovrebbero fare esercizio di umiltà e riflettere sul fatto che giudicare con tanta intransigenza qualcuno che non si conosce, e concentrarsi su una distanza non necessariamente reale anziché sul confronto costruttivo, comporta mancanza di rispetto ed equivale al sottrarre energia alla ricerca della migliore soluzione possibile.

mercoledì 27 dicembre 2017

TORINO È CASA NOSTRA



Lessi tempo fa i due libri di Giuseppe Culicchia  “Torino è casa mia” e “Torino è casa nostra”. Il primo lo prestai non ricordo più a chi. Mia madre, sapendo che intendevo ricomprarlo, lo ha cercato su internet per regalarmelo a Natale. Non l’ha trovato disponibile ma ha scovato un “Torino è casa nostra” Michele Di Salvo Editore a cura di Francesco Vietti, ispirato al testo di Culicchia ma dal punto di vista di cittadini migranti e studenti stranieri approdati a Torino. Anch’essi rivisitano la città suddividendola in stanze. Il libro promuove il progetto dirittixdiritti a favore del diritto all’istruzione e alla cultura. Una piccola preziosa scoperta.


martedì 19 dicembre 2017

MIGRANTI AL PARASIO

17 dicembre
Borgo Parasio Imperia Porto Maurizio
Ore 8.30

Una dozzina di metri ingombri di valige, sacche, coperte, un materasso, giacconi infilati e pressati  in borse di plastica, resti della dispensa in scatoloni di cartone, borse legate con corde. Tutto addossato con ordine al muretto che fiancheggia il marciapiedi e da cui ci si affaccia sul mare.  Un tripudio di colori sullo sfondo blu terso del mattino, nel silenzio delle persiane ancora chiuse di un giorno festivo. Un peccato che pochi vedranno questa scena. Percorro con lo sguardo la teoria di oggetti fino al gruppo di uomini e donne. Chi seduto su una panchina, chi accovacciato, chi in piedi, chi appoggiato al muretto. Sono in attesa e paiono immobili. Anch’essi brillano di acconciature e di colori sgargianti. Per un attimo è come un affresco.
Parlano sottovoce in quell'idioma musicale che profuma di Africa. Devo passare in mezzo a loro per raggiungere la scala che conduce verso le Logge di Santa Chiara e la casa di un’amica. Rallento avvicinandoli e mi rivolgo a una donna. Le chiedo dove saranno trasferiti. Ai Piani, mi risponde con gentilezza. Bene, dico, anche se non ne sono del tutto convinta. In realtà sono convinta che ben poco sia intelligentemente pensato e organizzato riguardo al loro futuro. Che è il nostro, collettivo futuro. Gli altri del gruppo mi guardano con un misto tra curiosità e perplessità. Chi è questa donna mai vista che ora ci chiede dove andiamo?
Mentre mi allontano scendendo la scala rispondo mentalmente alla domanda che nessuno mi ha fatto. Non sono nessuno. Meglio, sono una piccola mediocre persona che in tanti mesi non è stata capace di trovare il tempo per venire a conoscervi e farsi conoscere da voi, pur abitando a pochi metri. Solo occasionali buongiorno lungo tragitti quotidiani. Basterebbe il semplice presentarsi  l’un l’altro. Almeno quello. Che è poi la base fondamentale per la costruzione del vivere sociale.
Cosa mi ha frenato? Pudore anzitutto. Il rispetto della riservatezza delle altrui esistenze a prescindere dalle condizioni di vita. Poi, perché mai avvicinarsi per offrire aiuto a chi non dà mostra di averne bisogno? Solo perché di pelle nera? Con che arroganza mettere maggior premura? O sono la dignità e l’orgoglio che trasudano a mettere soggezione? Le uniche cose rimaste loro. Giusto che se le tengano strette. Sta a noi farci avanti a costo di essere respinti. 
Formano comunità chiuse? Incutono timore? Suscitano imbarazzo? Noi faremmo lo stesso.

Cammino e penso che ho perso un'occasione.





(tutti i diritti riservati)

lunedì 18 dicembre 2017

"LA VITA SEGRETA" di Andrew O'Hagan

Appena terminato il saggio narrativo di Andrew O’Hagan “La vita segreta” edito da Adelphi. L’ho letto in una giornata. Stile scorrevole e discorsivo che consente a chiunque di avventurarsi nel racconto di tre vicende attinenti il mondo online: quella di Julian Assange, quella di Satoshi Nakamoto e la nascita dei bitcoin, e un assaggio di come funziona il dark web (che sarebbe più corretto chiamare dark net  visto che non si utilizza il consueto protocollo web http). Lettura consigliata..
Quanto ai contenuti, ci sarebbero spunti per scrivere pagine e pagine. Qui mi limito a riportare poche righe praticamente identiche a quelle che scrissi tempo addietro riflettendo sull’operato di Assange.

Pag.44
...
Dopo la diffusione dei cablo diplomatici del 2011 ho sempre coltivato la speranza che qualcuno facesse un serio lavoro di redazione, ordinandoli per paese, contestualizzando ciascuno di essi, fornendogli un’adeguata introduzione, elencando nel dettaglio ogni ingiustizia e ogni violazione…
...
Eppure a tutt’oggi, a distanza di anni, i cablo non hanno ancora ricevuto l’attenzione che meritano. Hanno fatto il botto e sono stati lasciati lì a marcire.






17/12/17

domenica 10 dicembre 2017

#MeToo


A PROPOSITO DELLA GIORNATA CONTRO LA VIOLENZA SULLE DONNE (e non solo)

La prima volta che mi è capitato avevo dodici anni. Il giudice, interrogandomi su fatti risalenti a quattro anni prima, mi chiese se per caso non avessi confuso normali gesti di affetto con toccamenti impropri, portando ad esempio la vicenda di una ragazzina che, issata da uno zio per raccogliere dei frutti da un albero, l’aveva poi accusato di molestie. A fronte della mia risposta negativa, mi disse allora che, essendo io in grado di operare un distinguo, forse non ero così innocente e mi chiese se ero certa di non aver in alcun modo provocato le attenzioni particolari che avevo ricevuto e se ero veramente sicura di non essere stata io a sedurre l’uomo che stavo incolpando. L’esito dell’udienza, disertata da altre ragazzine coinvolte, i cui genitori preferirono non mettere in piazza la vergogna, fu che mi concessero sì il beneficio del dubbio ma altrettanto fecero con l’individuo che accusavo di molestie protratte negli anni. Non gli venne comminata alcuna pena, né fu redarguito e poté impunemente perseverare nelle sue disgustose abitudini fino all'età di novantadue anni, in un clima di omertà assoluta.

Purtroppo, nei successivi quarant'anni, mi è accaduto di subire aggressioni altre due volte. In un caso fui soccorsa da un ragazzo africano (non ne avrei  sottolineata l’etnia se non fosse per la necessità di bilanciare l’eco delle cronache giornalistiche votate evidentemente alla discriminazione in negativo), nell'altro me la cavai da sola mantenendo il sangue freddo. In entrambe le situazioni non vi erano circostanze di rischio da me prese alla leggera. Non ero vestita in modo sconveniente, non ero alticcia, non era notte, non ho dato confidenza in modo avventato a chicchessia. Però, entrambe le volte, mi sono ritrovata a dovermi poi giustificare così come era, ancor più assurdamente, accaduto quand'ero ragazzina.

Questo non deve accadere. L’umiliazione di doversi spiegare e giustificare resta come un marchio che procura un senso di colpa inconscio che, nel tempo, desensibilizza le vittime riguardo eventuali successivi abusi e anzi, per assurdo, li facilita. Inoltre può sopravvenire la tendenza ad andare a cacciarsi reiteratamente in situazioni a rischio per procurarsi il male prima che ce lo procurino gli altri, in un perverso automatismo psicologico che ci persuade di avere in tal modo il controllo della nostra vita.

Gli abusi diventano infine qualcosa di poi non così grave e a cui comunque, in un modo o nell’altro, si sopravvive, anche senza l’indebita punizione di sociali e istituzionali seconde violenze.

Uno psicologo, con cui mi confrontai anni dopo, mi disse che quando qualcuno subisce un abuso è perché lo permette. Fu un’affermazione che rifiutai di prendere in considerazione.  Non mi offese perché proveniva da una persona che gode della mia stima, e della cui onestà intellettuale sono certa, ma m’infastidì perché la ritenni retaggio, se pur inconsapevole, di una visione androcentrica della società.

Alcuni anni fa ho però riflettuto sulla questione analizzando le dinamiche dei miei rapporti lavorativi che sono stati sempre, e inesorabilmente, connotati da un iniquo riconoscimento economico, dovuto ora alle mia scarsa autostima, ora alla convinzione che non esistesse una relazione tra corrispettivo pecuniario e valore della prestazione. Convinzione, presunzione anzi, che la mia bravura non potesse essere intaccata dal fatto di essere retribuita in modo talvolta offensivo. Che i valori fossero (e lo sono) altri.  Per questo ho sempre accettato, se pur per necessità, lavori sottopagati che hanno regolarmente impregnato e invaso tutto il mio tempo. Ho permesso cioè che non si portasse rispetto alla mia persona. Perché io per prima non ho avuto rispetto del mio valore. Del valore assoluto della dignità dell’essere umano. Come indignarsi di paghe da 2 euro l’ora, quando non al giorno, se se ne accettano comunque da 5 euro e senza la minima tutela contributiva? Se si accetta di far parte di un ingranaggio bisogna accettare anche la propria individuale complicità nella colpa di determinare il  malessere sociale collettivo e non solo il nostro. Ho quindi dato il mio beneplacito a un abuso. Non sessuale ma comunque un abuso. Con tutte le implicazioni di dovere, inclusa quella di determinare una ricaduta su altri. Se tutti tacciono, l’ingiustizia diventa sistema.

Ugualmente esiste una responsabilità per chi passa sopra al dover cedere ad avances sessuali o lo considera un qualcosa che si può fare senza che rimanga il segno. In tal senso ho ripensato alle parole dello psicologo e ho compreso cosa intendesse.

Il movimento di denuncia che, da neanche due mesi, sta dilagando nel mondo, sotto le insegne di hastag virali quali #MeToo, #BalanceTonPorc, #QuellaVoltaChe, #AnaKamen, #YoTambien, è una buona cosa, che si tratti o meno, come è stato recentemente scritto, del segno della fine della società patriarcale. Basta omertà, basta vergogna.  Spero che duri, spero che serva, spero che le persone vittime della sindrome da emulazione siano poche, spero che nessuno strumentalizzi. E che le vittime abbiano la forza d’animo di riconoscere, quando il caso, in quale misura possono essere state corresponsabili. È una forma mentis sociale quella che deve essere modificata, per cui siamo tutti coinvolti e ognuno deve fare la propria parte. Imparare collettivamente che non si può continuare a dar tutto per scontato solo perché “il mondo è sempre andato avanti così”, richiede grande impegno da parte di tutti.

Una mollezza di costumi. La si potrebbe definire così la traccia continua di acquiescenza che caratterizza la società contemporanea. Cosa c’è di diverso nell'andare avanti nella vita a colpi di compromessi? Che sia per lavoro, per quieto vivere, per fare una vacanza che non ci si può permettere o acquisti compulsivi? Che sia  girarsi dall'altra parte per evitare di essere chiamati in causa o aspirare a un corpo in formaldeide? Non è forse anch'esso un abdicare agli stereotipi comportamentali e di linguaggio di quello che ormai si ritiene il modello di vita universalmente condiviso? Del tutto all'insegna dell’omologata ricerca del superfluo. Non è forse anch'esso un modo di prostituirsi e dare pertanto beneplacito all'abuso? Il non ascoltare se stessi, il non rispettarsi: esiste un nesso forte tra il poco amore verso sé e la possibilità che qualcuno ne approfitti. E ciò a prescindere dall'ambito in cui ciò avviene.

Nel momento in cui cediamo una qualunque parte di noi stessi perché il non farlo implicherebbe un’esclusione in termini di visibilità sociale, sottraiamo valore alla persona e consegniamo nelle mani di chi ha potere la possibilità di violarla con sempre maggior facilità. E le nuove generazioni sono quelle che ne pagano e pagheranno il maggior scotto.

A proposito di un recente fatto di cronaca nostrana, un paio di preti  hanno detto che le ragazze se la sono cercata. Onestamente, vi chiedo, della marea di ragazzine in pubertà che si offrono giulive e oscene in webcam, quante conoscono il proprio valore, quante si amano a sufficienza, quante anche solo lontanamente sospettano che ci sia dell’altro nell’esistenza di un individuo? E quante pensate si comportino, uscendo la sera, da educande? Nulla giustifica violenza e  mancanza di rispetto, né mi riferisco qui al caso specifico, ma banalmente i richiami sessuali esistono perché vi sia una risposta. Forse l’unico caso, tra tutti i fenomeni dell’universo, in cui una visione teleologica abbia un senso. Non possiamo stupirci né scandalizzarci se accadono fatti sgradevoli e drammatici alle nostre figlie, nel momento in cui vanno in giro imbottite di cultura da televisivi piazzisti di momenti di gloria,  e make up lampeggianti. Dobbiamo andare all’origine del problema. La colpa non riguarda solo gli artefici di abusi perpetuati in grazia di una qualsivoglia posizione di potere nei confronti di chi è subalterno. Riguarda ognuno di noi.

Sicuramente sono condizionata dalle ricerche che feci anni addietro sulla pedo/pornografia online, e di tanto in tanto ci butto un occhio per tenermi aggiornata, ma proprio per questo so di cosa sto scrivendo. Ho ben chiaro che dev'essere possibile andare in minigonna senza subire affronti di genere ma anche che molte dodicenni di oggi vivono clandestinamente una vita che donne d’età nemmeno sospettano esista. Una precocità d’esperienze in sovrannumero, in gran parte superflue quando non dannose, dettata dal vuoto. Dall'immediata comprensione intuitiva ed emotiva di contare poco visto che tutti quanti siamo consultabili a catalogo. Un nichilismo annoiato, ridanciano e contagioso. Da galleggiamento. Cosa troveranno queste ragazze e ragazzi ad attenderli tra dieci anni in una società per la quale non avranno assimilato strumenti di interpretazione? Come potranno distinguere tra ciò che è normale e ciò che è prevaricazione?
Passeremo dalla paura di essere giudicati male in quanto vittime di reati che toccano la sfera intima, personale, e sessuale, direttamente all'incapacità di riconoscerci tali?

L’altra sera a cena un amico mi ha fatto notare che una volta le gonne arrivavano sotto il ginocchio ma questo non era d’ostacolo ai giochi di seduzione, al corteggiamento, ai rapporti sessuali. E c’erano tanti figli. Ora, lasciando da parte ogni considerazione sull'affrancamento legittimo del piacere dalla procreazione, e sul fatto che le donne un tempo avessero poca voce riguardo alla scelta del partner, resta il fatto che oggi l’atto sessuale è avulso sempre più da un coinvolgimento emotivo, da uno slancio vitale, e da tutto quanto ne consegue. Il piacere del desiderio, le emozioni legate ad esso, quando questo era rivolto a un unico essere per noi insostituibile, sono perduti. Esiste sempre un desiderio e un bisogno forte di esaudirlo ma i destinatari sono per lo più intercambiabili. L’importante è riuscire, a prescindere dal valore della persona cui rivolgiamo l’attenzione. L’esigua presenza di figli, che a parer mio non è quella gran catastrofe, denota inoltre che l’atto sessuale ha perso una connotazione fondamentale: la vocazione di creare con la persona amata qualcosa di unico, di importante, di, appunto, vitale.

Provo pena per queste nuove generazioni di individui che, a parte alcune fortunate eccezioni, non sanno e difficilmente sapranno cos'è credere fortemente nell'unione con l’altro al punto da mettere in gioco le proprie rispettive esistenze nel segno di un futuro che si sogna bello e denso di realizzazioni positive. Che non conoscono la bellezza e il senso profondo della resa, dell'ar/rendersi all'altro nella più totale fiducia. Non si tratta qui del solito borbottio tra generazioni, dove la più datata lamenta la perdita dei vecchi valori in quella più giovane, la ribellione, il non rispetto. Qui si constata con amarezza l’incapacità intellettuale, fisica, ed emotiva di percepire qualcosa che è ciò che determina il valore dell’essere umano.

Il non essere capaci di provare desiderio, di sperare, di soffrire anche, il non sospettare che esista un’interiorità viva che non conosce noia, insoddisfazione, depressione, tutto ciò è una sottrazione di vita di cui tutti noi siamo responsabili nei loro confronti. E lo siamo nel momento in cui, seduti davanti alla tivù, non ci indigniamo di fronte agli spot di famiglie i cui componenti sono tutti felicemente e contemporaneamente connessi alla velocità della luce, e vivono ognuno in un proprio mondo che definire virtuale è ormai obsoleto. Mondo altrettanto reale quale quello che abbiamo fino a ieri definito tale e  che abbiamo il dovere di capire, in ogni sua sfaccettatura, implicazione, e livello di complessità, per poterlo spiegare degnamente a chi si destreggia abilmente nell'abitarlo ma di certo non possiede capacità di comprenderlo.


2 dicembre 2017

(tutti i diritti riservati)

mercoledì 6 dicembre 2017

UNA FIAT PANDA VERDE

Ieri mi stavo recando a Torino alla cerimonia del Premio Pannunzio quando, poco dopo Mondovì, ho deciso di sostare presso un autogrill per una pausa e per impostare sul telefono l'indirizzo che dovevo raggiungere. Ho parcheggiato con il muso dell'auto rivolto verso l'esterno dell'autostrada. Dal parabrezza vedevo in successione guard rail e recinzione, un ampio campo incolto, una strada statale. Mentre sovrappensiero osservavo davanti a me, ho visto una Fiat Panda verde, vecchio modello, rallentare, una portiera aprirsi e un cane scuro di taglia media buttato fuori. Poi l'auto si è allontanata accelerando e il cane si è messo a inseguirla correndo a perdifiato. Non ho potuto fare altro che assistere impotente alla scena, rimettere in moto e dirigermi verso la mia destinazione. Della piacevole e interessante giornata che è seguita avrei voluto scrivere oggi ma in testa ho solo un'immagine triste e un senso di frustrazione.
Ho chiesto a un bimbo di fare un disegno.


26 novembre

lunedì 4 dicembre 2017

ZERO CALCARE "MACERIE PRIME"

Sempre acuto e bravo ZeroCalcare. Ormai ho superato la resistenza iniziale al suo tratto, molto lontano da quello dei disegnatori che amo, e ogni volta mi immergo piacevolmente nella lettura.





"Macerie prime" di Zerocalcare per la Baopublishing

venerdì 24 novembre 2017

LETTURE RECENTI



I LIBRI LETTI NELL'ULTIMO MESE



- NEBULA - antologia di scrittori cinesi contemporanei - Mincione edizioni
- LA MENTE CHE SCONDINZOLA Giorgio Vallortigara -  Mondadori
- LA RAGAZZA SBAGLIATA - Giampaolo Simi - Sellerio
- TI UCCIDERO' - Mickey Spillane - la Biblioteca di repubblica
- VOGLIO DIRE  poesie di Jean Portante - La Vita Felice edizioni
- IL CERVELLO UNIVERSALE - Miguel Nicolelis - Bollati Boringhieri

BUONA LETTURA!

lunedì 30 ottobre 2017

VOTAZIONI IN KENYA


Purtroppo, un mese dopo l'annullamento del voto di agosto, le votazioni indette per il 26 ottobre sono state all'insegna di proteste di piazza e scontri che da agosto a oggi hanno causato decine di morti


Settembre 2017 Kenya annullate le presidenziali



domenica 22 ottobre 2017

POESIA NEL CARRELLO

L’altro ieri mi è venuta voglia di leggere versi così ho curiosato online tra i nomi a me sconosciuti presenti nelle collane di poesia di alcune case editrici, con l’intenzione di individuare un paio di testi da acquistare. In un caso ho trovato una cinquantina di titoli e, cliccando su ognuno di essi, ho avuto accesso alla lettura di un componimento contenuto all’interno della relativa silloge. Sono andata avanti così per un paio d’ore, leggendo decine di poesie con Lo stesso approccio di quando faccio spese in un supermercato. Poco tempo, tanti prodotti, quel tanto di riguardo dovuto a etica e ambiente. Sto esagerando, chiaro, ma, mentre leggevo, pensavo che non è un bel modo di avvicinarsi all’interiorità di qualcuno. Con tutto l’intuito e la sensibilità letteraria che si possono avere, come si può, sulla base di poche righe, scegliere? Entrare in una libreria, avvicinarsi allo scaffale poesia, prendere un libro a caso e sfogliarlo e, quando non troppo voluminoso, leggerlo tutto per poi, una volta a casa, riprenderlo e rileggerlo, a mente e ad alta voce. Un metodo migliore e meno iniquo. Il problema è che se ci si basa su quanto si trova in una, due, tre o anche dieci librerie, non si ha idea della reale portata della produzione poetica. L’esubero di offerta obbliga, chi voglia farsi un’idea di cosa avviene nel mondo della poesia, a scandagliare nel mare magnum della rete anche se spesso costringe a ritrarsi perplessi in breve tempo. Da picchi di bravura ad abissi di mediocrità, enclavi elitarie e concorsi per l’uomo comune, luoghi laddove parlare di bravura è comunque arbitrario ed errato.
Il tentativo di creazione poetica è dilagante, un gran numero di persone sente l’esigenza di esprimersi poeticamente, e chiunque, a buon diritto, può definirsi poeta, se l’afflato che lo anima è incontenibile e sincero e se muove le viscere e il sentire del lettore. Io stessa oso definirmi poeta, pur riconoscendo di non sottostare ai dettami della poesia ma sono quarant’anni che scrivo poesie e, rileggendone alcune a distanza di anni, ancora vi ritrovo lo spirito che le aveva dettate. Mai però ne farei leggere una sola. Non sono gemme. Quelle sono dei Poeti. Per ogni periodo un percorso, un respiro che si modula in componimenti successivi che letti di seguito esprimono e offrono una visione e un sentire altrimenti non comprensibili. È come se si trattasse di un linguaggio, anzi dell’unico linguaggio che mi permette di dire senza filtri chi sono e cosa vedo. Per questo ho un grande rispetto dell’uomo che sul treno ha tirato fuori un foglietto spiegazzato per leggermi una sua poesia, o di Silvano buonanima che girava con le sue poesie ricopiate più e più volte a mano per leggerle nei bar e donarle a chi le apprezzava. O di Attilia dell’impresa di pulizia, che sa il latino perché lo studiava suo fratello e le poesie che compone le manda a memoria ma non le scrive perché si vergogna dei propri errori ortografici. Pronunciate le poesie, gli errori non si vedono, mi ha detto. Infatti ad ascoltarle arrivano solo grazia e luce.
Nel mio errare online ho letto componimenti premiati in vari concorsi e ho concluso che la poesia non si può cercare e trovare, la si può solo incontrare e non sempre dove ci si aspetta. Ché la poesia è come l’acqua: fluisce, attraversa, penetra, sprofonda fino a essere invisibile, ricompare inattesa. E nessuno può arrogarsene la proprietà.  Che poi dipende dalla sensibilità e dai gusti dei componenti le giurie l’attribuzione di merito. Non vi è nulla di più personale che la valutazione di un testo poetico, se si prescinde dall’analisi prettamente linguistica e metrica.

Comunque, in sostanza, dopo aver infilato tre testi nel carrello, quello che mi è rimasto addosso è il senso di fastidio che ho provato scorrendo un testo dietro l’altro come so che si fa con le facce su Tinder.

LINCOLN NEL BARDO

Photo published for Lincoln nel Bardo di George Saunders - il Tascabile

Lincoln nel Bardo di Georges Saunders   vince il Man Booker Prize 2017

sabato 21 ottobre 2017

IPERTROFIA UMANA

Sovente nei miei ragionamenti su come va il mondo arrivo a un punto morto. Una questione per la quale non trovo risposta. Credo di aver capito perché non la trovo.
Crescere, moltiplicarsi, aumentare, incrementare, monetizzare… Perché?

Non c’è un perché. Perché sì. Bisogna farsene una ragione. Una sorta di ipertrofia umana dovuta a un'ipofunzionalità dell'anima.

IN TRENO - 1

Il vagone è pressoché vuoto. Cinque o sei persone sparse. Ognuno in spazi da quattro posti, a parte me che sono a destra in prossimità della porta e un ragazzo che dorme a sinistra, zone a tre posti. Entra un uomo sulla sessantina. Si ferma, si guarda intorno con attenzione per decidere dove andare a sedersi.

Perché, ora chiedo, ti sei andato a sedere in faccia al ragazzo? Perché, per gettare la carta che avevi in tasca, hai dovuto sbattere tanto malamente il coperchio metallico del posacenere sotto al finestrino? Perché lo hai svegliato con i tuoi modi grossolani e la faccia di uno che a parte lui al mondo non c’è nessuno? Con tutto il posto che c’era, perché?

venerdì 13 ottobre 2017

J. HENRY FAIR CI FOTOGRAFA



Ho scoperto questo grande fotografo e desidero condividere la sua prospettiva
Sul suo sito troverete le fotografie divise per tematiche
Questa la copertina del suo ultimo lavoro.


Il suo sito

http://www.jhenryfair.com/


Il video di presentazione del suo ultimo libro

https://youtu.be/1aeIy0-LltQ



Hélène Grimaud joue avec les loups - HQ (TV5 Le Point)




IERI



OGGI






http://helenegrimaud.com/wolf-conservation-center


è emozionante ogni volta scoprire che qualcuno è riuscito a essere ciò che non siamo riusciti a essere noi ma che abbiamo ancora vivo nel cuore

Sono grata a Hélène per i suoi pensieri e per le sue parole. Per la sua grazia, la sua passione, il suo talento. Se c'è una cosa sicura è che la bellezza viene dall'anima.




sabato 7 ottobre 2017

AHMET ALTAN E LA GIUSTIZIA IN TURCHIA


Un corrosivo e lucido atto di denuncia dello stupro del sistema giudiziario turco.
Da leggere. Troverete abbondanti spunti di riflessione.



giovedì 5 ottobre 2017

UN DISCORSO DI DAVID FOSTER WALLACE


Avevo scritto qualcosa di simile ma il testo che segue è decisamente meglio. Con gratitudine lo riporto.


"Questa è l’acqua" di David Foster Wallace [traduzione di Roberto Natalini]

Trascrizione del discorso di David Foster Wallace per la cerimonia delle lauree al Kenyon college, 21 maggio 2005.

 Un saluto a tutti e le mie congratulazioni alla classe 2005 dei laureati del Kenyon college. Ci sono due giovani pesci che nuotano uno vicino all’altro e incontrano un pesce più anziano che, nuotando in direzione opposta, fa loro un cenno di saluto e poi dice “Buongiorno ragazzi. Com’è l’acqua?” I due giovani pesci continuano a nuotare per un po’, e poi uno dei due guarda l’altro e gli chiede “ma cosa diavolo è l’acqua?”È una caratteristica comune ai discorsi nelle cerimonie di consegna dei diplomi negli Stati Uniti di presentare delle storielle in forma di piccoli apologhi istruttivi. La storia è forse una delle migliori, tra le meno stupidamente convenzionali nel genere, ma se vi state preoccupando che io pensi di presentarmi qui come il vecchio pesce saggio, spiegando cosa sia l’acqua a voi giovani pesci, beh, vi prego, non fatelo. Non sono il vecchio pesce saggio. Il succo della storia dei pesci è solamente che spesso le più ovvie e importanti realtà sono quelle più difficili da vedere e di cui parlare. Espresso in linguaggio ordinario, naturalmente diventa subito un banale luogo comune, ma il fatto è che nella trincea quotidiana in cui si svolge l’esistenza degli adulti, i banali luoghi comuni possono essere questioni di vita o di morte, o meglio, è questo ciò che vorrei cercare di farvi capire in questa piacevole mattinata di sole.Chiaramente, l’esigenza principale in discorsi come questo è che si suppone vi parli del significato dell vostra educazione umanistica, e provi a spiegarvi perché il diploma che state per ricevere ha un effettivo valore sul piano umano e non soltanto su quello puramente materiale. Per questo, lasciatemi esaminare il più diffuso stereotipo nei discorsi fatti a questo tipo di cerimonie, ossia che che la vostra educazione umanistica non consista tanto “nel fornirvi delle conoscenze”, quanto “nell’insegnarvi a pensare”. Se siete come me quando ero studente, non vi sarà mai piaciuto ascoltare questo genere di cose, e avrete tendenza a sentirvi un po’ insultati dall’affermazione che dobbiate aver bisogno di qualcuno per insegnarvi a pensare, poiché il fatto stesso che siete stati ammessi a frequentare un college così prestigioso vi sembra una dimostrazione del fatto che già sapete pensare. Ma vorrei convincervi che lo stereotipo dell’educazione umanistica in realtà non è per nulla offensivo, perché la vera educazione a pensare, che si pensa si debba riuscire ad avere in un posto come questo, non riguarda affatto la capacità di pensare, ma piuttosto la scelta di cosa pensare. Se la vostra assoluta libertà di scelta su cosa pensare vi sembrasse troppo ovvia per perdere del tempo a discuterne, allora vorrei chiedervi di pensare al pesce e all’acqua, e a mettere tra parentesi anche solo per pochi minuti il vostro scetticismo circa il valore di ciò che è completamente ovvio. Ecco un’altra piccola storia istruttiva. Ci sono due tizi che siedono insieme al bar in un posto sperduto e selvaggio in Alaska. Uno dei due tizi è credente, l’altro è ateo, e stanno discutendo sull’esistenza di Dio, con quell’intensità particolare che si stabilisce più o meno dopo la quarta birra. E l’ateo dice: “Guarda, non è che non abbia ragioni per non credere. Ho avuto anche io a che fare con quella roba di Dio e della preghiera. Proprio un mese fa mi sono trovato lontano dal campo in una terribile tormenta, e mi ero completamente perso e non riuscivo a vedere nulla, e facevano 45 gradi sotto zero, e così ho provato: mi sono buttato in ginocchio nella neve e ho urlato ‘Oh Dio, se c’è un Dio, mi sono perso nella tormenta, e morirò tra poco se tu non mi aiuterai’.” E a questo punto, nel bar, il credente guarda l’ateo con aria perplessa “Bene, allora adesso dovrai credere” dice, “sei o non sei ancora vivo?” E l’ateo, alzando gli occhi al cielo “Ma no, è successo invece che una coppia di eschimesi, che passava di lì per caso, mi ha indicato la strada per tornare al campo.” È facile interpretare questa storiella con gli strumenti tipici dell’analisi umanistica: la stessa precisa esperienza può avere due significati totalmente diversi per due persone diverse, avendo queste persone due diversi sistemi di credenze e due diversi modi di ricostruire il significato dall’esperienza. Poiché siamo convinti del valore della tollerenza e della varietà delle convinzioni, in nessun modo la nostra analisi umanistica vorrà affermare che l’interpretazione di uno dei due tizi sia giusta a quella dell’altro falsa o cattiva. E questo va anche bene, tranne per il fatto che in questo modo non si riesce mai a discutere da dove abbiano origine questi schemi e credenze individuali. Voglio dire, da dove essi vengano dall’INTERNO dei due tizi. Come se l’orientamento fondamentale verso il mondo di una persona e il significato della sua esperienza fossero in qualche modo intrinseci e difficilmente modificabili, come l’altezza o il numero di scarpe, o automaticamente assorbiti dal contesto culturale, come il linguaggio. Come se il modo in cui noi costruiamo il significato non fosse in realtà un fatto personale, frutto di una scelta intenzionale. Inoltre, c’è anche il problema dell’arroganza. Il tizio non credente è totalmente certo nel suo rifiuto della possibilità che il passaggio degli eschimesi abbia qualche cosa a che fare con la sua preghiera. Certo, ci sono un sacco di credenti che appaiono arroganti e anche alcune delle loro interpretazioni. E sono probabilmente anche peggio degli atei, almeno per molti di noi. Ma il problema del credente dogmatico è esattamente uguale a quello del non credente: una certezza cieca, una mentalità chiusa che equivale a un imprigionamento così totale che il prigioniero non si accorge nemmeno di essere rinchiuso. Il punto che vorrei sottolineare qui è che credo che questo sia una parte di ciò che vuole realmente significare insegnarmi a pensare. A essere un po’ meno arrogante. Ad avere anche solo un po’ di coscienza critica su di me e le mie certezze. Perché una larga percentuale di cose sulle quali tendo a essere automaticamente certo risulta essere totalmente sbagliata e deludente. Ho imparato questo da solo e a mie spese, e così immagino sarà per voi una volta laureati. Ecco un esempio della totale falsità di qualche cosa su cui tendo ad essere automaticamente sicuro: nella mia esperienza immediata, tutto tende a confermare la mia profonda convinzione che io sia il centro assoluto dell’universo, la più reale e vivida e importante persona che esista. Raramente pensiamo a questa specie di naturale, fondamentale egocentrismo, perché è qualche cosa di socialmente odioso. Ma in effetti è lo stesso per tutti noi. È la nostra configurazione di base, codificata nei nostri circuiti fin dalla nascita. Pensateci: non c’è nessuna esperienza che abbiate fatto di cui non ne siate il centro assoluto. Il mondo, così come voi lo conoscete, è lì davanti a VOI o dietro di VOI, o alla VOSTRA sinistra o alla VOSTRA destra, sulla VOSTRA TV o sul VOSTRO schermo. E così via. I pensieri e i sentimenti delle altre persone devono esservi comunicati in qualche modo, ma i vostri sono così immediati, urgenti, reali. Adesso vi prego di non pensare che io voglia farvi una lezione sulla compassione o la sincerità o altre cosiddette “virtù”. Il problema non è la virtù. Il problema è di scegliere di fare il lavoro di adattarsi e affrancarsi dalla configurazione di base, naturale e codificata in noi, che ci fa essere profondamente e letteralmente centrati su noi stessi, e ci fa vedere e interpretare ogni cosa attraverso questa lente del sé. Le persone che riescono ad adattare la loro configurazione di base sono spesso descritti come “ben adattati”, che credo non sia un termine casuale. Considerando la trionfale cornice accademica in cui siamo, viene spontaneo porsi il problema di quanto di questo lavoro di autoregolazione della nostra configurazione di base coinvolga conoscenze effettive e il nostro stesso intelletto. Questo problema è veramente molto complicato. Probabilmente la più pericolosa conseguenza di un’educazione accademica, almeno nel mio caso, è che ha permesso di svilupparmi verso della roba super-intellettualizzata, di perdermi in argomenti astratti dentro la mia testa e, invece di fare semplicemente attenzione a ciò che mi capita sotto al naso, fare solo attenzione a ciò che capita dentro di me.Come saprete già da un pezzo, è molto difficile rimanere consapevoli e attenti, invece di lasciarsi ipnotizzare dal monologo costante all’interno della vostra testa (potrebbe anche stare succedendo in questo momento). Vent’anni dopo essermi laureato, sono riuscito lentamente a capire che lo stereotipo dell’educazione umanistica che vi “insegna a pensare” è in realtà solo un modo sintentico per esprimere un’idea molto piu significativa e profonda: “imparare a pensare” vuol dire in effetti imparare a esercitare un qualche controllo su come e cosa pensi. Significa anche essere abbastanza consapevoli e coscienti per scegliere a cosa prestare attenzione e come dare un senso all’esperienza. Perché, se non potrete esercitare questo tipo di scelta nella vostra vita adulta, allora sarete veramente nei guai. Pensate al vecchio luogo comune della “mente come ottimo servitore, ma pessimo padrone”. Questo, come molti luoghi comuni, così inadeguati e poco entusiasmanti in superficie, in realtà esprime una grande e terribile verità. Non a caso gli adulti che si suicidano con armi da fuoco quasi sempre si sparano alla testa. Sparano al loro pessimo padrone. E la verità è che molte di queste persone sono in effetti già morte molto prima di aver premuto il grilletto. E vi dico anche quale dovrebbe essere l’obiettivo reale su cui si dovrebbe fondare la vostra educazione umanistica: come evitare di passare la vostra confortevole, prosperosa, rispettabile vita adulta, come dei morti, incoscienti, schiavi delle vostre teste e della vostra solita configurazione di base per cui “in ogni momento” siete unicamente, completamente, imperiosamente soli. Questo potrebbe suonarvi come un’iperbole o un’astrazione senza senso. Cerchiamo di essere concreti. Il fatto puro e semplice è che voi laureati non avete ancora nessun’idea di cosa “in ogni momento” significhi veramente. Questo perché nessuno parla mai, in queste cerimonie delle lauree, di una grossa parte della vita adulta americana. Questa parte include la noia, la routine e la meschina frustrazione. I genitori e i più anziani tra di voi sapranno anche troppo bene di cosa sto parlando. Tanto per fare un esempio, prendiamo una tipica giornata da adulto, e voi che vi svegliate la mattina, andate al vostro impegnativo lavoro da colletto-bianco-laureato-all’università, e lavorate duro per otto o dieci ore, fino a che, alla fine della giornata, siete stanchi e anche un po’ stressati e tutto ciò che vorreste sarebbe di tornarvene casa, godervi una bella cenetta e forse rilassarvi un po’ per un’oretta, per poi ficcarvi presto nel vostro letto perché, evidentemente, dovrete svegliarvi presto il giorno dopo per ricominciare tutto da capo. Ma, a questo punto, vi ricordate che non avete nulla da mangiare a casa. Non avete avuto tempo di fare la spesa questa settimana a causa del vostro lavoro così impegnativo, per cui, uscendo dal lavoro, dovete mettervi in macchina e guidare fino al supermercato. È l’ora di punta e il traffico è parecchio intenso. Per cui per arrivare al supermercato ci mettete moltissimo tempo, e quando finalmente arrivate, lo trovate pieno di gente, perché naturalmente è proprio il momento del giorno in cui tutti quelli che lavorano come voi cercano di sgusciare in qualche negozio di alimentari. E il supermercato è disgustosamente illuminato e riempito con della musica di sottofondo abbrutente o del pop commerciale, ed è proprio l’ultimo posto in cui vorreste essere, ma non potete entrare e uscire rapidamente, vi tocca vagare su e giù tra le corsie caotiche di questo enorme negozio super-illuminato per trovare la roba che volete e dovete manovrare con il vostro carrello scassato nel mezzo delle altre persone, anche loro stanche e di fretta come voi, con i loro carrelli (eccetera, eccetera, ci dò un taglio poiché è una cerimonia piuttosto lunga) e alla fine riuscite a raccogliere tutti gli ingredienti della vostra cena, e scoprite che non ci sono abbastanza casse aperte per pagare, anche se è l’ora-di-punta-di-fine-giornata. Cosi la fila per pagare è incredibilmente lunga, che è una cosa stupida e che vi fa arrabbiare. Ma voi non potete sfogare la vostra frustrazione sulla povera signorina tutta agitata alla cassa, che è superstressata da un lavoro la cui noia quotidiana e insensatezza supera l’immaginazione di ognuno di noi qui in questa prestigiosa Università. Ma in ogni modo, finalmente arrivate in fondo a questa fila, pagate per il vostro cibo, e vi viene detto “buona giornata” con una voce che è proprio la voce dell’oltretomba. Quindi dovete portare quelle orrende, sottili buste di plastica del supermercato nel vostro carrello con una ruota impazzita che spinge in modo esasperante verso sinistra, di nuovo attraverso il parcheggio affollato, pieno di buche e di rifiuti, e guidare verso casa di nuovo attraverso il traffico dell’ora di punta, lento, intenso, pieno di SUV, ecc. A tutti noi questo è capitato, certamente. Ma non è ancora diventato parte della routine della vostra vita effettiva di laureati, giorno dopo giorno, settimana dopo settimana, anno dopo anno. Ma lo sarà. E inoltre ci saranno tante altre routine apparentemente insignificanti, noiose e fastidiose. Ma non è questo il punto. Il punto è che è proprio con stronzate meschine e frustranti come questa che interviene la possibilità di scelta. Perché il traffico e le corsie affollate del supermercato e la lunga coda alla cassa mi danno il tempo di pensare, e se io non decido in modo meditato su come pensare e a cosa prestare attenzione, sarò incazzato e infelice ogni volta che andrò a fare la spesa. Perché la mia naturale configurazione di base è la certezza che situazioni come questa riguardino solo me. La MIA fame e la MIA stanchezza e il MIO desiderio di andarmene a casa, e mi sembrerà che ogni altra persona al mondo stia lì ad ostacolarmi. E chi sono poi queste persone che mi ostacolano? E guardate come molti di loro sono repellenti, e come sembrano stupidi e bovini e con gli occhi spenti e non-umani nella coda alla cassa, o anche come è fastidioso e volgare che le persone stiano tutto il tempo a urlare nei loro cellulari mentre sono nel mezzo della fila. E guardate quanto tutto ciò sia profondamente e personalmente ingiusto. Oppure, se la mia configurazione di base è più vicina alla coscienza sociale e umanistica, posso passare un bel po’ di tempo nel traffico di fine giornata a essere disgustato da tutti quei grossi, stupidi SUV e Hummers e furgoni con motori a 12 valvole, che bloccano la strada e consumano il loro costoso, egoistico serbatoio da 40 galloni di benzina, e posso anche soffermarmi sul fatto che gli adesivi patriottici e religiosi sembrano essere sempre sui veicoli più grandi e più disgustosamente egoisti, guidati dai più brutti, più incoscienti e aggressivi dei guidatori. (Attenzione, questo è un esempio di come NON bisogna pensare…) E posso pensare che i figli dei nostri figli ci disprezzeranno per aver sprecato tutto il carburante del futuro e avere probabilmente fottuto il clima, e che noi tutti siamo viziati e stupidi ed egoisti e ripugnanti, e che la moderna civiltà dei consumi faccia proprio schifo, e così via. Avete capito l’idea. Se scelgo di pensare in questo modo in un supermercato o sulla superstrada, va bene. Un sacco di noi lo fanno. Tranne che il fatto di pensare in questo modo diventa nel tempo così facile e automatico che non è più nemmeno una vera scelta. Diventa la mia configurazione di base. È questa la modalità automatica in cui vivo le parti noiose, frustranti, affollate della mia vita da adulto, quando sto operando all’interno della convinzione automatica e inconscia di essere il centro del mondo, e che i miei bisogni e i miei sentimenti prossimi sono ciò che determina le priorità del mondo intero. In realtà, naturalmente, ci sono molti modi diversi di pensare in questo tipo di situazioni. Nel traffico, con tutte queste macchine ferme e immobili davanti a me, non è impossibile che una delle persone nei SUV abbia avuto un orribile incidente d’auto nel passato, e adesso sia cosi terrorizzata dal guidare che il suo terapista le ha ordinato di prendere un grosso e pesante SUV, così che possa sentirsi abbastanza sicura quando guida. O che quell’Hummer che mi ha appena tagliato la strada sia forse guidato da un padre il cui figlio piccolo è ferito o malato nel sedile accanto a lui, e stia cercando di portarlo in ospedale, ed abbia quindi leggitimamente molto più fretta di me: in effetti sono io che blocco la SUA strada. Oppure posso sforzarmi di considerare la possibilità che tutti gli altri nella fila alla cassa del supermercato siano stanchi e frustrati come lo sono io, e che alcune di queste persone probabilmente abbiano una vita molto più dura, noiosa e dolorosa della mia. Di nuovo, vi prego di non pensare che vi stia dando dei consigli morali, o vi stia dicendo che dovreste pensare in questo modo, o che qualcuno si aspetta da voi che lo facciate. Perché è difficile. Richiede volontà e fatica, e se voi siete come me, in certi giorni non sarete capaci di farlo, o più semplicemente non ne avrete voglia. Ma molte altre volte, se sarete abbastanza coscienti da darvi la possibilità di scegliere, voi potrete scegliere di guardare in un altro modo a questa grassa signora super-truccata e con gli occhi spenti che ha appena sgridato il suo bambino nella coda alla cassa. Forse non è sempre così. Forse è stata sveglia per tre notti di seguito tenendo la mano del marito che sta morendo di un cancro alle ossa. O forse questa signora è l’impiegata meno pagata della motorizzazione, che proprio ieri ha aiutato vostra moglie a risolvere un orribile e snervante problema burocratico con alcuni piccoli atti di gentilezza amministrativa. Va bene, nessuno di questi casi è molto probabile, ma non è nemmeno completamente impossibile. Dipende da cosa volete considerare. Se siete automaticamente sicuri di sapere cos’è la realtà, e state operando sulla base della vostra configurazione di base, allora voi, come me, probabilmente non avrete voglia di considerare possibilità che non siano fastidiose e deprimenti. Ma se imparate realmente a concentrarvi, allora saprete che ci sono altre opzioni possibili. Avrete il potere di vivere una lenta, calda, affollata esperienza da inferno del consumatore, e renderla non soltanto significativa, ma anche sacra, ispirata dalle stesse forze che formano le stelle: amore, amicizia, la mistica unità di tutte le cose fuse insieme. Non che la roba mistica sia necessariamente vera. La sola cosa che è Vera con la V maiuscola è che sta a voi decidere di vederlo o meno. Questa, credo, sia la libertà data da una vera educazione, di poter imparare ad essere “ben adattati”. Voi potrete decidere con coscienza che cosa ha significato e che cosa non lo ha. Potrete scegliere in cosa volete credere. Ed ecco un’altra cosa che può sembrare strana, ma che è vera: nella trincea quotidiana in cui si svolge l’esistenza degli adulti non c’è posto per una cosa come l’ateismo. Non è possibile non adorare qualche cosa. Tutti credono. La sola scelta che abbiamo è su che cosa adorare. E forse la più convincente ragione per scegliere qualche sorta di dio o una cosa di tipo spirituale da adorare – sia essa Gesù Cristo o Allah, sia che abbiate fede in Geova o nella Santa Madre Wicca, o nelle Quattro Nobili Verità, o in qualche inviolabile insieme di principi etici – è che praticamente qualsiasi altra cosa in cui crederete finirà per mangiarvi vivo. Se adorerete il denaro o le cose, se a queste cose affiderete il vero significato della vita, allora vi sembrerà di non averne mai abbastanza. È questa la verità. Adorate il vostro corpo e la bellezza e l’attrazione sessuale e vi sentirete sempre brutti. E quando i segni del tempo e dell’età si cominceranno a mostrare, voi morirete un milione di volte prima che abbiano ragione di voi. Ad un certo livello tutti sanno queste cose. Sono state codificate in miti, proverbi, luoghi comuni, epigrammi, parabole, sono la struttura di ogni grande racconto. Il trucco sta tutto nel tenere ben presente questa verità nella coscienza quotidiana.Adorate il potere, e finirete per sentirvi deboli e impauriti, e avrete bisogno di avere sempre più potere sugli altri per rendervi insensibili alle vostre proprie paure. Adorate il vostro intelletto, cercate di essere considerati intelligenti, e finirete per sentirvi stupidi, degli impostori, sempre sul punto di essere scoperti. Ma la cosa insidiosa di queste forme di adorazione non è che siano cattive o peccaminose, è che sono inconsce. Sono la configurazione di base. Sono forme di adorazione in cui scivolate lentamente, giorno dopo giorno, diventando sempre più selettivi su quello che volete vedere e su come lo valutate, senza essere mai pienamente consci di quello che state facendo. E il cosiddetto “mondo reale” non vi scoraggerà dall’operare con la configurazione di base, poiché il cosiddetto “mondo reale” degli uomini e del denaro e del potere canticchia allegramente sul bordo di una pozza di paura e rabbia e frustrazione e desiderio e adorazione di sé. La cultura contemporanea ha imbrigliato queste forze in modo da produrre una ricchezza straordinaria e comodità e libertà personale. La libertà di essere tutti dei signori di minuscoli regni grandi come il nostro cranio, soli al centro del creato. Questo tipo di libertà ha molti lati positivi. Ma naturalmente vi sono molti altri tipi di libertà, e del tipo che è il più prezioso di tutti, voi non sentirete proprio parlare nel grande mondo esterno del volere, dell’ottenere e del mostrarsi. La libertà del tipo più importante richiede attenzione e consapevolezza e disciplina, e di essere veramente capaci di interessarsi ad altre persone e a sacrificarsi per loro più e più volte ogni giorno in una miriade di modi insignificani e poco attraenti. Questa è la vera libertà. Questo è essere istruiti e capire come si pensa. L’alternativa è l’incoscienza, la configurazione di base, la corsa al successo, il senso costante e lancinante di aver avuto, e perso, qualcosa di infinito. Lo so che questa roba probabilmente non vi sembrerà molto divertente o ispirata, come un discorso per questo di genere di cerimonie dovrebbe sembrare. In questo consiste però, per come la vedo io, la Verità con la V maiuscola, scrostata da un sacco di stronzate retoriche. Certamente, siete liberi di pensare quello che volete di tutto questo. Ma per favore non scartatelo come se fosse una sermone ammonitorio alla Dr. Laura. Niente di questa roba è sulla morale o la religione o il dogma o sul grande problema della vita dopo la morte. La Verità con la V maiuscola è sulla vita PRIMA della morte. È sul valore reale di una vera istruzione, che non ha quasi nulla a che spartire con la conoscenza e molto a che fare con la semplice consapevolezza, consapevolezza di cosa è reale ed essenziale, ben nascosto, ma in piena vista davanti a noi, in ogni momento, per cui non dobbiamo smettere di ricordarci più e più volte: “Questa è acqua, questa è acqua.” È straordinariamente difficile da fare, rimanere coscienti e consapevoli nel mondo adulto, in ogni momento. Questo vuol dire che anche un altro dei grandi luoghi comuni finisce per rivelarsi vero: la vostra educazione è realmente un lavoro che dura tutta la vita. E comincia ora. Auguro a tutti una grossa dose di fortuna.

LEGGI, ETICA E MIGRANTI


Un buon articolo dello scrittore Giorgio Fontana sul rapporto tra leggi, etica e migranti.

Di fronte al problema dei migranti è possibile far coesistere leggi ed etica universale?

Da leggere con attenzione e poi farsi un esame di coscienza.

http://www.iltascabile.com/societa/crisi-migranti-etica/


sabato 30 settembre 2017

RICHARD ALLENBY-PRATT A DUBAI



Le splendide fotografie di Richard Allenby-Pratt scattate a Dubai
Vi consiglio di guardare anche tutti gli altri progetti fotografici presenti nel sito dell'autore
Estetica, prospettiva documentaria e prefigurazione
Raramente ho provato una simile identità di sguardo

http://www.allenby-pratt.com/#Portfolios/Projects/Project-One/



GIUSEPPE CONTE E MARIO SOLDATI


Mario Soldati raccontato da Giuseppe Conte. Due illustri nomi della nostra letteratura.




http://www.ilgiornale.it/news/spettacoli/mario-soldati-diario-900-scritto-e-vissuto-su-due-piani-1447279.html

domenica 24 settembre 2017

INVITO

Buonasera,

pensavo che su twitter ci sono anche pensieri di altre persone, per cui se preferite potete seguirmi qui:

https://twitter.com/barbarapanelli

grazie




lunedì 18 settembre 2017

VIRUS DELLA MALARIA

Mi domando perché io che non sono una giornalista bado a non scrivere inesattezze e poi devo sentir dire al telegiornale che la bimba di Brescia morta nell'ospedale di Trento di malaria è stata contagiata da un virus e che potrebbe essere lo stesso virus che ha infettato i due bimbi del Burkina Faso colà ricoverati. Senza commentare l’effetto di propagazione su molta stampa nazionale con le conseguenti ricadute da caccia agli untori, e ricordando che il contagio avviene tramite un parassita che si trasmette attraverso la puntura di una zanzara Anopheles portatrice del parassita, mi domando perché io per sopravvivere devo ammazzarmi di pulizie e certi sedicenti professionisti dell’informazione vengono regolarmente retribuiti pur di fronte all'evidenza della loro mancanza di precisione e accuratezza. Certo, potranno obiettare, ho detto virus ma intendevo un’altra cosa, però se non sei capace a fare bene il tuo lavoro ne fai un altro per il quale magari potresti essere più portato.

7 settembre 

mercoledì 6 settembre 2017

TENTARE

Trascrivere ciò che si studia è sempre stato un buon metodo di apprendimento .Ricordo che, ai tempi del liceo, la mia compagna di banco ed io utilizzavamo questo metodo per mandare più facilmente a memoria le lezioni. Si presta maggior attenzione, come quando si legge ad alta voce.
Trascrivere però per me ha anche un altro valore: è un espressione di rispetto e gratitudine nei confronti di chi ha scritto in modo onesto, bello, efficace qualcosa che condividiamo. Limitarsi, come usa oggi, nella migliore delle ipotesi a un copia e incolla o nella peggiore a un like, è troppo comodo. Non comporta una vera partecipazione.
Per questo dopo aver letto stamattina l'editoriale di Giovanni De mauro su Internazionale, ho deciso di mettermi qui e copiarlo parola dopo parola.

TENTARE
Ci sono questioni che definiscono un'epoca e di fronte alle quali non si può rimanere neutrali. La crisi dei migranti è una di queste. O pensiamo che tutti abbiano il diritto di muoversi liberamente, di attraversare le frontiere e di vivere dove preferiscono, indipendentemente dal paese in cui sono nati, dalla loro condizione economica e dal colore della pelle, oppure al contrario pensiamo che questo diritto ce l'abbiano solo alcuni, e che tutto dipenda dal passaporto che si ha in tasca e da quanti soldi si hanno in banca. Non è un caso se Angela Davis ha definito il movimento dei migranti il movimento del ventunesimo secolo. Perché la posizione che abbiamo sulla crisi dei migranti, le risposte che diamo, quelle di lungo periodo e quelle immediate, nelle città o in quanto nazioni, sull'autobus o al lavoro, dicono chi siamo come individui e come collettività. Dicono che idea abbiamo delle relazioni tra le persone, se troviamo accettabile vivere sapendo che il nostro benessere è reso possibile dallo sfruttamento di altri esseri umani e delle loro risorse, o se invece pensiamo che questo non sia tollerabile. Se siamo convinti che il mondo vada bene com'è, oppure se pensiamo che sia necessario tentare di cambiarlo per renderlo un posto migliore e più giusto.

Giovanni De Mauro

venerdì 1 settembre 2017

"ELECTROCUTING AN ELEPHANT" un film di THomas Edison


Il filmato di Thomas Edison del 1903 dell'esecuzione di un elefante reo di aver assassinato due custodi.

https://www.youtube.com/watch?v=NoKi4coyFw0

Fino all'Ottocento, gli animali potevano essere processati e condannati se infrangevano leggi umane. Forse la deriva delle idee di alcuni studiosi che nel corso dei secoli hanno giustamente ritenuto gli (altri) animali dotati di coscienza, sensibilità, volontà, cultura...


mercoledì 30 agosto 2017

IL LIBRO DEL MARE

Un gran bel libro come sempre da Iperborea:
Il libro del mare di Morten A. Stroksnes.
Fatelo leggere a scuola.


martedì 29 agosto 2017

GALEAZZA E ZERO CALCARE

Buone notizie dalla città



TG4 E LA POLITICA SUI MIGRANTI

"Ad agosto diminuiti del 20% gli arrivi sulle nostre coste: la vittoria della politica italiana in materia di migranti."

Evviva, finalmente abbiamo trovato la quadra per risolvere il problema. Siamo in una botte di ferro.

Quelli là, invece, nel cul de sac della Libia.

27/08/17

lunedì 28 agosto 2017

AMORE LIQUIDO DI ZYGMUNT BAUMAN

Ho terminato alcuni giorni fa il libro di Zygmunt Bauman "Amore liquido". Avevo già letto alcuni dei suoi saggi e, dopo aver letto la quarta di copertina che lasciava intendere una trattazione dell'argomento che ha richiamato alla memoria "Innamoramento e amore" di Alberoni e altri saggi sul tema, stavo per lasciar perdere. Senza nulla togliere al valore di tali opere, i miei interessi sono altri. Poi ho deciso di acquistare ugualmente il libro, riflettendo sul fatto che forse proprio ragionar d'amore è ciò che si deve oggi.
La lettura, pagina dopo pagina, ha dato ragione alla mia riflessione. Infatti Bauman partendo dall'analisi del sentimento amore nella sua accezione più classica, la relazione tra due persone, amplia l'orizzonte fin quasi ad andare fuori tema, o così parrebbe al lettore in cerca di consigli e riflessioni utili a meglio comprendere e vivere la propria vita sentimentale. Bauman fa di più: offre un'analisi per meglio comprendere e vivere in senso assoluto. Staccandosi a gradi dalla sfera privata e passando attraverso l'osservazione delle mutazioni del vivere urbano, passando per Kant, spiegando la produzione di rifiuti umani, arriva ad definire come il definirsi uomini non possa prescindere dall'amore, o si legga empatia, verso l'altro. Lettura consigliata.

O l'appartenenza alla specie umana supera tutte le altre più particolaristiche attribuzioni e fedeltà rispetto alla formulazione e assegnazione delle leggi e dei diritti stabiliti dall'uomo, oppure la causa della libertà umana in quanto inalienabile diritto dell'uomo è compromessa o persa del tutto.

(Zygmunt Bauman - Amore liquido - editori Laterza)

venerdì 25 agosto 2017

Moleskine 11

Farsi una ragione della nuova situazione globale, e in particolare l'affrontarla in modo efficace, richiederà tempo - così come è sempre stato per qualunque trasformazione realmente profonda della condizione umana.

Amore liquido - Zygmunt Bauman

IL TORMENTO DI UN SOLO UOMO

Nessun grido di tormento può essere più forte del grido di un solo uomo.
O ancora, nessun tormento può essere maggiore di ciò che un singolo essere umano può soffrire.
L'intero pianeta non può patire tormento maggiore di quello patito da una singola anima.

Ludwig Wittgenstein

venerdì 18 agosto 2017

SPIAGGIA O DESBARATU

Seduta tra gli scogli appuntavo mentalmente alcuni pensieri per un intervento sul tema dell'acqua che farò a settembre, quando ho udito uno scambio di battute tra avventori abituali del molo.

"Quando il mare è sporco di qua e di là del molo, se non si alza un po' di brezza a portarlo via lo sporco, non ci salviamo mica oggi. Meglio andare in centro, al desbaratu*"

Quindi se non vediamo qualcosa, quel qualcosa non esiste e tutto va bene.

*svendita di fine stagione

PIOVRA

Finalmente un bagno all’alba.
Subito ho pensato che si trattasse di un polpo ma le dimensioni, per quanto aumentate dal vetro della maschera, erano eccezionali. Grande quasi quanto me. Una piovra forse?

Il mondo si sta rovesciando.
Le immagini degli africani che sfondano la frontiera a Ceuta, animali degli abissi che arrivano sotto costa: ogni cosa è segno che sta iniziando a rovesciarsi tutto.

Nessun lager, barriera o recinto, nessun protocollo sul clima, impediranno il moto di inclinazione progressiva. Come per quella dell’asse terrestre ogni 13000 anni, tutto deve essere ripensato.
Velocemente.


10 agosto 

mercoledì 9 agosto 2017

BLOG IN FERIE


Ho fatto il possibile ma devo momentaneamente sospendere. Sono in modalità Wonder Woman per tirare su i soldi di affitto, bollette, ecc. ecc.
A certuni farei provare volentieri anche solo per un mese la "flessibilità" reale.


lunedì 31 luglio 2017

INCENDIO A CASTEL FUSANO

Un paio di settimane fa neanche, ascoltando la rassegna stampa mattutina, sento dell'arresto di uno dei responsabili dell'incendio di Castel Fusano. Con una disinvoltura da restare allibiti si fa cenno ai precedenti penali dell'uomo...


... un 63enne con precedenti penali l’uomo fermato nella parte sud della pineta di Castel Fusano dal Nucleo investigativo di polizia ambientale e forestale dei carabinieri del gruppo Forestale di Roma, per il reato di incendio boschivo... nel novembre del 1999 sparò in faccia a un trans con un fucile a canne mozze... condannato per otto anni al regime di sorvegliato speciale... nel luglio 2007, poi, sgozzò, sempre a Castel Fusano, una giovane prostituta nigeriana di 25 anni e forse non fu l'unica... 

Non credo nel sistema carcerario per tutta una serie di motivi troppo lunghi e complessi da spiegare qui, ma con simili precedenti, uno non dovrebbe potersene andare in giro ad appiccare pure incendi.

20 luglio 2017




domenica 30 luglio 2017

DISCORSI ALLA NAZIONE



L'altra sera mentre stiravo mi sono guardata per la seconda volta lo spettacolo teatrale di Ascanio Celestini  "Discorsi alla nazione", che se non erro è di tre o quattro anni fa. 
Il suo porsi non è suadente, non ammalia come Marco Paolini, al contrario è spigoloso anche quando ammicca, il ritmo che tiene è un terreno sconnesso, ma ti trascina dietro, non permette soste di pensiero, ti obbliga a stargli dietro.
Per chi non conosce Celestini o per chi non conosca lo spettacolo, ecco il link:



http://www.rai.it/dl/RaiTV/programmi/media/ContentItem-5fd07054-01f5-4aea-b6c9-02f715adb7e3.html

sabato 29 luglio 2017

THE POWER

Leggendo ieri una lunga e interessante recensione del nuovo libro di Naomi Alderman "The Power", che uscirà in Italia con il titolo "Ragazze elettriche" edizioni Nottetempo, in cui si immagina una società gestita dalle donne, ho trovato un passaggio che mi ha dato da pensare per il resto della giornata (e non solo). Verso la conclusione dell'articolo, citando Sanguineti che diceva che quando pensava alla pace, pensava alle femmine, si riflette sul fatto che sia legittimo pensare invece che la pace sia la virtù degli inermi, la risorsa di chi il potere lo subisce. Sul fatto che chi detiene il potere ne abusa, semplicemente perché può farlo. Meditare su questo significa guardare noi stessi e farlo è sempre una buona cosa.
Buona giornata a tutti.

domenica 23 luglio 2017

LE FOTOGRAFIE DI BRITTA JASCHINSKI

Andate a vedere le fotografie di Britta Jaschinski

http://www.brittaphotography.com/projects.php




sgabelli di elefante

UN EDITORIALE DI GIOVANNI DE MAURO

Casa

Le frasi di Matteo Renzi sui migranti (“Noi non abbiamo il dovere morale di accoglierli, ma abbiamo il dovere morale di aiutarli a casa loro”) non sono un inciampo o un errore di comunicazione. Sono invece un buon indicatore dell’umore generale, perfino a sinistra. Un umore che Renzi asseconda e cerca di sfruttare, anziché combattere. Ma l’idea di “aiutarli a casa loro” è un bluff, un modo neppure troppo elegante di lavarsi le mani della questione. Perché se si fanno due conti, come li ha fatti Ilda Curti, esperta di relazioni internazionali e in passato assessore a Torino, si capisce subito che “aiutarli a casa loro” comporterebbe costi, non solo economici, di gran lunga superiori ad “accoglierli a casa nostra”.
Bisognerebbe smettere di vendere armi e tecnologie militari ai regimi autoritari (l’Italia è l’ottavo paese al mondo per esportazioni di armi); sospendere ogni forma di sostegno economico ai governi corrotti; interrompere lo sfruttamento delle regioni da cui proviene gran parte delle materie prime di cui hanno bisogno le nostre industrie; affrontare e combattere seriamente il cambiamento climatico; investire in scuole, ospedali, sviluppo locale, infrastrutture, tecnologia, energia rinnovabile, reti di mobilità sostenibile; combattere l’economia dello sfruttamento, quella che ci fa trovare i pomodori a un euro al chilo nei supermercati; aprire canali umanitari che tolgano ossigeno a trafficanti e mafie; riformare e dare autorevolezza alle istituzioni internazionali, cedendo tutti un po’ di sovranità nazionale. E molto altro ancora, con l’obiettivo di combattere le disuguaglianze globali e pronti a rinunciare a parte dei privilegi dell’essere nati casualmente da questa parte del mondo.
Ecco, per aiutarli davvero “a casa loro” bisognerebbe fare tutto questo. Ma è chiaro che nessun leader europeo ha realmente intenzione di farlo. Perché vorrebbe dire fare la rivoluzione.

domenica 16 luglio 2017

LE STRADE DEL PARASIO

Vivo in una città il cui manto stradale nulla ha da invidiare a quello di molti Paesi in via di sviluppo o, semplicemente, con scarsi  fondi per le infrastrutture.




Nel mio quartiere la Telecom ha portato la fibra. Una ventina di giorni appresso hanno rifatto l'asfalto e la segnaletica orizzontale nei punti dove sono intervenuti per la posa dei cavi. Ciò ovviamente con la benedizione dell'amministrazione comunale che si è premurata di chiedere di spianare con il bitume eventualmente avanzato alcune buche e avvallamenti importanti.
Il risultato è stato il seguente:









Ignara di quanto sopra, noto che dov'erano una quindicina di posti moto ne è segnato a terra solo più uno. Ne deduco che gli altri posti non esistano più. Un operaio mi spiega che hanno provveduto ad asfaltare e pitturare esclusivamente le parti dove precedentemente hanno scavato o tracciato segni.




 Approfittarne? Aggiungere una quota complementare per ottenere un buon risultato?
Non ci sono le risorse è una risposta non contemplata tra quelle accettabili.
Ma non c'è problema. Continuiamo così. Con il cervello a compartimenti stagno, senza nemmeno provarci a fare qualcosa che abbia un senso.