domenica 19 giugno 2016

UN DITTATORE ILLUMINATO

A me l’idea che i popoli si mescolino piace un sacco. A parte che chi nasce meticcio in genere è bello, l’unica via che abbiamo è fonderci, amalgamarci, cercare di realizzare una società multietnica con una buona qualità della vita per tutti, in un ambiente sano e nel rispetto di ogni forma vivente. A chi mi dice che è utopia, che non ce n’è per tutti di ricchezza e risorse, rispondo a gran voce, andate a studiare prima di aprir bocca. Nonostante il pantano in cui stiamo affossando, ce n’è invece ancora abbastanza per tutti e potrebbe esserci ancora il tempo per rimediare ad alcuni danni che tengono in ginocchio miliardi di persone.

Ci vorrebbe un cazzo di dittatore illuminato e onesto che, un bel colpo di spugna, stabilisse una decina di regole per gli abitanti del globo, nessuno escluso, su gestione dell’ambiente, della salute, dell’alimentazione, degli scambi commerciali. Espropriare le terre ai novelli latifondisti (parliamo di mezzi continenti in mano a quattro gatti e poi diciamo che vanno aiutati a casa loro: non è più casa loro) e restituire ai singoli individui possibilità e relative responsabilità. In modo che ognuno potesse vivere serenamente dov’è nato o dove desidera, perché tutti i luoghi si equivarrebbero per opportunità, salubrità, e assenza di conflitti. Spostarsi, trasferirsi solo per curiosità umana e culturale, per preferenze climatiche ed estetiche, per scelta e per incontro. Sarebbe possibile. È possibile. Ci sono le conoscenze e le finanze per realizzare tutto ciò. E anche ancora un po’ di tempo. L’ingrediente assente è la volontà. Troppa avidità da parte di chi vuole sempre di più e troppa paura da parte di teme di perdere il poco che ha. 

giovedì 16 giugno 2016

VENTIMIGLIA giugno 2016

L’altra sera, a una riunione auto indetta da alcuni cittadini su quanto sta accadendo sul confine con la Francia, una giovane che, mi hanno detto, appartiene a un gruppo anarco-insurrezionalista illustrava due proposte per sensibilizzare le persone riguardo a quanto sta accadendo ai profughi bloccati a Ventimiglia e, in particolare, al fatto che vengano condotti presso i CIE (centri di identificazione ed espulsione) presenti nel nostro Paese con autobus della Riviera Trasporti e con aerei delle Poste Italiane, per essere presumibilmente rimpatriati, per lo più in Africa, grazie ad accordi con i governanti locali che accettano di riprenderseli in cambio di commesse e investimenti (che difficilmente andranno a vantaggio della popolazione).
Suggeriva, la giovane, di bloccare gli autobus presso le fermate con l’organizzazione di attraversamenti  fitti e continui per permettere ad alcuni attivisti saliti sul mezzo di distribuire volantini. Secondo lo stesso principio intasare le code agli sportelli postali, facendo man bassa di numeri per la fila, quindi, dopo un po’, volantinare anche lì. Ne ho apprezzato la passione, la dialettica, il desiderio sincero di fare qualcosa di buono ma ne ho colto, spero mi perdonerà leggendo queste righe, l'ingenuità.
Così si ottiene l’effetto opposto. Creare disagio all'uomo comune, come si dice, non funziona più. Si accentua la percezione di un nemico là dove non dovrebbe essere. Sarebbe sufficiente che ognuno sedendo su un autobus si rivolgesse al vicino dicendo: «Certo che sapere che proprio su questi sedili la notte siedono dei disperati per essere rispediti alla disperazione da cui sono fuggiti, è triste.» Una cosa così. In quel momento chi siede accanto a noi ci percepirebbe come un suo pari, uno che va a lavorare o a fare la spesa con un mezzo pubblico, diverremo degni di ascolto, non saremmo più visti come sciroccati disturbatori di esistenze già sufficientemente complicate e precarie. L’empatia dobbiamo cercare. Non abbiamo sufficiente tempo per pretendere che una provocazione, in qualsiasi forma, possa tramutarsi in ascolto, riflessione, comprensione. Tutto sarebbe ridotto a ritardo, disagio, fastidio. Aumenterebbero l’insofferenza, l’intolleranza, la frustrazione.
Una volta gli scioperi, i boicottaggi, le vetrine spaccate delle banche, il danneggiamento dei beni di chi era considerato nemico del bene sociale, potevano anche avere un senso perché si colpiva un potere reale. Oggi il potere reale non è più nelle cose, se non esteriormente, per cui si danneggiano semplicemente delle persone. Restano solo rabbia, sconforto, disorientamento. È vero che se non si entra con un po’ di decisione nella quotidianità di un individuo ignaro dei problemi reali perché troppo preso da quelli propri contingenti, non si può sperare che si risvegli una coscienza civile ma oggi è necessario più che mai un linguaggio diverso.
È un problema di narrazione. Chi narra deve tenere conto del contesto e di coloro che ricevono la narrazione, altrimenti il suo racconto diviene sterile, inascoltato, per quanto onesto e veritiero possa essere.
Ognuno singolarmente può diventare narratore della realtà se lo fa con coerenza e onestà. Non c’è bisogno di far parte di un gruppo o di una qualche associazione. È sufficiente appartenere al consorzio umano per essere legittimati, e avere il dovere, di fare qualcosa.
Altrimenti continueranno a esserci mamme a manifestare davanti al Palasport di Ventimiglia. Continueranno a manifestare nella piena convinzione di avere ragione, forti delle loro reali  ragioni, senza comprendere veramente cosa sta accadendo nel mondo, cioè qui e ora. Quando un fenomeno sociale di cui abbiamo tanto sentito parlare, ma sempre come di un qualcosa di distante da noi, qualcosa che riguardava luoghi del mondo ma dall'altra parte non si sa bene dove, si manifesta accanto a noi e ci tocca, vuol dire che difficilmente è reversibile, vuol dire che è in atto un cambiamento importante. Sta a noi riconoscerlo per poterne trasformare gli aspetti difficili in occasione di crescita per tutti. Credere alle promesse di politicanti populisti e in malafede che assicurano di poterlo arrestare, di poter arginare quella che si ostinano a definire emergenza, è fondamentalmente stupido. Perché la faccenda non sarà reversibile ma è (ancora) risolvibile. Con intelletto, lungimiranza, onestà. Senza stare a scomodare l’empatia.
Alla riunione qualcuno è intervenuto affermando che non serve sensibilizzare, che la gente sa, come ai tempi di altre deportazioni, ma fa finta di non sapere. In parte credo sia vero. Meno impegnativo girarsi dall'altra parte, salvo poi stupirsi e indignarsi se l’etichetta dovesse mai richiederlo. Però sono convinta che la maggior parte delle persone ignorino. Nel senso che non sono a conoscenza. Esistono sintomi sotto agli occhi di tutti, barconi e filo spinato, ma delle cause della malattia pochi saprebbero dire. Quanto poi alla violenza inevitabile, alle brutalità, alle soluzioni provvisorie (in prospettiva di una finale?) legate al fermo, alla detenzione, al respingimento di masse umane, credo che, come già accaduto, l’animo umano fino all'ultimo si rifiuti di crederle possibili.
Penso al testo teatrale “Ausmerzen” * di Marco Paolini: un’analisi attenta e illuminante, una spiegazione di come si possa arrivare ad avere forni crematori in giardino senza capire da dove sono saltati fuori.


*
”Ausmerzen” Einaudi editore. Lettura vivamente consigliata.


VITTIME DELLA OBSOLESCENZA PROGRAMMATA


Non parlo di rilassamenti cutanei, capelli e peli bianchi, abbassamento della vista, insomma nulla che abbia a che fare con la data finale stabilita dai nostri telomeri.
Alludo alla congiura della tecnologia e della meccanica. Di quando, nell'arco di pochi giorni, le strumentazioni di cui ci serviamo cospirano e cessano quasi simultaneamente, e senza motivo apparente, di funzionare. Credo sia accaduto a tutti voi.

Questa settimana annovero tra le perdite: due apparecchi fotografici della Canon, uno compatto da tasca, l’altro leggermente più grande, una telecamera Panasonic, la chiusura del portellone dell’auto, il tritatutto, un hard disk esterno.

ANDARE DI LÁ

Andare di là.
Arrivano in Italia e vogliono andare di là: Francia, Germania, Inghilterra, ovunque verso il nord. Quel nord per decenni sinonimo di benessere, lavoro, sicurezza.
Il concetto di andare di là.
Avere il dovere morale di  aiutare ad andare di là senza le parole capaci di spiegare che di là è poco diverso che di qua. E lo sarà sempre meno.  Ma è un’onda e arriverà fin dove la spinta iniziale ha stabilito.
Per  quanto alte saranno le barriere contro cui l’onda dovrà infrangersi e rompersi, la massa d’acqua è immensa e il vento che la spinge costante.

Non torneranno indietro.

IL PICCOLO GERARCA

Nella città in cui abito c’è una via pedonale che raramente percorro la sera. Capita a volte in inverno,  andando a cenare da amici. Trovo la via deserta, semibuia, i pochi esercizi chiusi, a parte un bar e una pizza al taglio in procinto di esserlo. Ogni volta vedo anche un ragazzino, non saprei dire l’età, forse nove, forse undici dodici anni, che vaga avanti e indietro davanti alle luci delle ultime vetrine accese. Scruta a mento alto tra le aiuole, osserva, si guarda intorno. A volte sta seduto su una sedia di  plastica a guardare fisso davanti a sé. Presumo sia il figlio dei gestori di uno dei due locali. Ha l’espressione seria, quasi accigliata e, quando scorge qualcuno, lo guarda dritto negli occhi con aria di sfida, come a chiedere, qualcosa da ridire? Indossa sempre un’uniforme graduata da carabiniere, per cui quello che normalmente verrebbe definito un ragazzino grassoccio, in tali panni viene da dire che è massiccio, tarchiato, severo. L’effetto è quello di un gerarca nazista nano.

Mi chiedo perché, che senso, ben lontani dal Carnevale, ci sia di indossare, e con tale piglio, un travestimento simile reso maggiormente tetro dal buio e dalla desolazione del luogo. Un capriccio ossessivo assecondato malvolentieri dai genitori? Volontà dei genitori?  Mi inquieta incontrarlo. Lo oltrepasso pensando che travestito da pirata o da mago lo avrei considerato un ragazzino dalla fervida immaginazione.


gennaio

ITALIA SENZ'ACQUA

Cosa pensereste se, nel giro di un anno, tutta l’Italia fosse senza’acqua? Non solo quella che esce dal rubinetto ma tutta l’acqua: fiumi, torrenti, laghi… Se non ci fosse modo di ovviare a ciò e si fosse costretti a conviverci. Credo che la maggior parte delle persone cercherebbe di andarsene. Diverremmo profughi ambientali e quindi economici (che non ho ancora bene capito perché si faccia questa distinzione tra diverse categorie di profughi, ambientali, economici, da conflitto, visto che le cause degli esodi sono interconnesse). Direte: ma è un'esagerazione, sessanta milioni di persone improvvisamente senz'acqua, uno scenario da apocalittica fiction. Invece è realtà, invece accade. Ad esempio, prendendo a caso, ai sessanta milioni di persone che vivono lungo il basso corso del Mekong, in Cambogia. Ci sono sei dighe prime, altre undici in progettazione, altre in costruzione, e se l’acqua non arriva più al mare, il mare risale, la concentrazione salina aumenta, eccetera, eccetera. Una regione grande come il nostro bel Paese all'asciutto.


aprile




UNA DOMENICA AL MARE

La scorsa domenica sono andata a leggere sul mare in una spiaggia libera sassosa. Tre, quattro persone, era nuvoloso. Dopo un paio d’ore di lettura ho tirato fuori dalla borsa due sacchi neri condominiali ed ho iniziato a raccogliere la plastica. Da grossi oggetti a piccole scaglie. A malapena due sacchi sono stati sufficienti per ripulire il tratto che mi ero prefissata, un centinaio di metri di litorale. C’era anche un gabbiano morto da cui sbucava una bussola giocattolo di plastica blu. Nel prenderla ho osservato il gabbiano. Dall'aspetto doveva averlo portato il mare sulla riva. Non puzzava. Il mare disinfetta.
Quando i sacchi sono stati pieni, due ragazzi passando si sono offerti di portarli fino al bidone sulla strada. Li ho ringraziati e sono tornata verso il mio asciugamano. Camminando una macchia scura ha attirato la mia attenzione. Una suola. Una delle migliaia di ciabatte da mare smarrite. Invece no. Chinandomi per estrarla di tra le pietre capisco cos'è. Un pezzo di copertone ritagliato a forma di suola. Come un cadavere.
Quante suole come questa troveremo lungo la battigia?

14 giugno 2016

LA PERCEZIONE DEL CAMBIAMENTO


Una turista polacca che ha prenotato una casa vacanza per una settimana a luglio a San Bartolomeo al mare scrive in una mail: “… Non vedo l’ora di trascorrere le mie vacanze presso di voi. Ho una questione però riguardo ai migranti. Ci sono rischi nella vostra zona? Ho un po' paura. Distinti saluti.”

SPAGHETTI DI MEZZANOTTE

Prese da una fame notturna, verso mezzanotte la mia amica e io siamo entrate in una piccola spaghetteria sul mare per condividere una porzione di pasta. Ci siamo già state. La pasta è molto buona e la titolare, Antonella, per quanto apparentemente bizzarra, è simpatica e gentile. Siamo le uniche clienti e chiacchieriamo con lei delle diverse tipologie di turisti, della gente del posto, della ristorazione come vocazione all'accoglienza.

Della serata mi resta una frase di Antonella: “ Dagli stranieri si può solo imparare qualcosa che ancora non si sa.”