Mi piace guardare le persone. Tutte le persone. Mi è impossibile andare per le strade senza osservare i miei simili. Senza guardarli in volto. Serve a riconoscere se stessi e a riconoscerci tra noi appunto in quanto simili, per quanto ciò possa apparire bizzarro, considerate le diversità a volte sorprendenti tra individui della stessa specie. Eppure ci riconosciamo: si chiama empatia.
Poi penso a Blade Runner, alla possibilità di trovarmi invece di fronte a un essere ibrido, uomo macchina, senziente e forse capace di provare emozioni, e mi dico che non potrei non considerarlo un individuo. Altrove ho scritto sulle implicazioni etiche che il progresso scientifico tecnologico comporta e non voglio qui ripetermi, solo torno sulla conclusione: un tale individuo ha dei diritti che vanno tutelati esattamente come quelli di un paraplegico che si esprima con l’ausilio di un computer o, comunque, come quelli di un diversamente abile. Ora, se consideriamo diverse aree scientifiche e cioè gli studi sull’Intelligenza Artificiale, le nanotecnologie, l’ingegneria genetica, la neurologia, le biotecnologie applicate, la criogenizzazione, è evidente che ci troviamo nel bel mezzo di una rivoluzione profonda che ci costringe fin d’ora a rivedere e confermare o meno i principi e i valori sui quali abbiamo fondato, o cercato di fondare, la storia umana.
I nostri nipoti dovranno fare i conti con una società molto diversa da quella attuale e noi abbiamo la responsabilità di assumere una posizione in merito.
Anche termini quali eugenetica liberale, transumanesimo, individui postumani, devono entrate nelle nostre teste. Dobbiamo sforzarci di comprenderli, con onestà e coerenza, senza schierarci per forza pro o contro, ma provando a trovare il giusto equilibrio tra ciò che è sacrosanto e ciò che è comunque legittimo. C’è un’immensa zona grigia ed è proprio lì che bisogna lavorare.
Dobbiamo confrontarci con un movimento culturale, intellettuale e scientifico che afferma “il dovere morale di migliorare le capacità fisiche e cognitive della specie umana e di applicare le nuove tecnologie all’uomo, affinché si possano eliminare aspetti non desiderati come la sofferenza, la malattia, l’invecchiamento, e, persino, la morte.” E ancora “Sarà individuo qualunque entità, umana, animale*, extraterrestre, cyborg, in possesso di ratio”.
E qui arrivano le prime domande:
Cosa significa migliorare?
Su cosa si baserà il criterio di normalità?
Esisteranno dei limiti alla ri-progettazione umana che, attraverso l’individuo transumano, porterà a quello postumano?
E chi apparterrà ancora alla cerchia degli umani, come verrà considerato?
Un pc con “cervello umano” sarà persona?
Sembrerebbe un riduzionismo funzionalista, persona solo in quanto ente razionale, ma secondo me si considera la questione dalla prospettiva sbagliata. Non si vuole concedere lo status di persona a una macchina senziente perché non s’intende considerare la razionalità come parametro determinante, in quanto ciò comporterebbe il considerare i disabili mentali non persone. Ebbene i disabili mentali sono persone, con tanto di diritti, (esistono molti modi per sentire ed esprimere il proprio io), ma perché vogliamo discriminare un cyborg se comprende e magari sarà in grado di auto evolversi sino a compiere scelte autonome? Non sarebbe né giusto né coerente. E accadrà: non è fantascienza, è solo questione di tempo e di interessi… Il problema lo vedrei più sul fronte del controllo. Chi gestirà, come, e con che fine. Per il resto questo processo è già in corso e non si arresterà: fa parte della nostra natura andare avanti, di confine in confine. Cerchiamo di gestire la cosa al meglio. E teniamo a mente che nessuna conquista tecnico-scientifica può trasformare la società se non è accompagnata da una rivoluzione culturale, sociale e politica. Ci si deve poter riconoscere in un obiettivo per rivendicare o accettare la messa in atto di tutte le misure atte a conseguirlo. Di questo dobbiamo essere consapevoli. I transumanisti lo sono, tant’è che parlano esplicitamente di un lungo e complesso lavoro di persuasione, per far sì che l’accettazione delle varie fasi di trasformazione vengano accolte dalle persone senza ostacoli e traumi.
Ma, al dunque, oltre all’invito ad approfondire l’argomento, io che da bambina volevo fare l’astronauta e che divoro letteratura scientifica, mi chiedo, proprio in nome di ciò, anziché migliorare l’essere umano, non sarebbe già una gran cosa dargli una vita migliore?
E poi, non saranno proprio la nostra fragilità e caducità, la nostra limitatezza nel tempo, la soggezione e l’emozione che proviamo al cospetto della vita e della morte, ad essere cifra della nostra grandezza?
MTI – Movimento Italiano Transumanista
WTA – World Transhumanist Association
*Molto interessante approfondire le posizioni di Roberto Marchesini, fondatore della zoo antropologia, sostenitore del Movimento Italiano Transumanista, e autore di testi interessanti, uno tra tutti, “La fabbrica delle chimere”.
La zooantropologia in breve, ritiene l’eterospecifico (in questo caso l’animale) come soggetto, un’entità in grado di dialogare con l’uomo e di contaminarlo, ed è necessario salvaguardare l’eterospecifico con i suoi caratteri di soggettività, di diversità dall’uomo, di peculiarità, e cioè non reificare, non antropomorfizzare, non considerarlo come cifra. Arrivare a considerare la relazione uomo-animale, e la referenza che ne consegue, un contributo insostituibile. Arrivare a diminuire la distanza che separa la nostra specie dalle altre. Se la biologia evoluzionista ha creato un legame di tipo filogenetico, la zooantropologia ne crea uno di tipo ontogenetico. L’eterospecifico viene ad assumere un ruolo specifico nell’ontologia umana.
2011
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