venerdì 9 ottobre 2015

PROFUGHI


Il piccolo Aylan non ha sfiorato il mio cuore.  L’ho guardato con l’accettazione compassionevole ma lucida che bisogna riservare alla morte.
Per me è stato uno dei tanti. Non particolarmente meritevole di attenzione. Degno dei medesimi compassione e rispetto che dobbiamo a ogni altro cadavere occultato nelle cifre a tanti zeri che siamo abituati a leggere e sentire.
Dopo mesi e mesi e mesi di dolore e frustrazione e senso di impotenza per questo ossario comune che è divenuto il nostro mare, dopo anni di incredulità, rabbia e compassione per un ininterrotto conflitto mondiale cui nessuno ha il coraggio di riferirsi con tale nome, perché ci viene presentato a pezzetti, come se fossero solo guerre intestine di Paesi sparsi per il globo, dopo e durante tutto ciò, sono stati gli assalti al tunnel della Manica che da mesi si ripetono nella “giungla” di Calais da parte dei profughi e dei migranti, e le immagini provenienti dalla penisola balcanica, a risvegliare un moto interiore che risale agli anni della mia infanzia. Qualcosa che richiama apocalittiche visioni cinematografiche da post conflitto finale. Le barriere. Alcuni di qua altri di là.

Riporto qui uno stralcio da un testo del 2006:
“ (…) Vi voglio raccontare di un vecchio sogno, anzi di una serie di sogni. Le vicende mutavano ma il denominatore comune c’era. Si trattava sempre di circostanze in cui gruppi di persone dovevano trovare rifugio e proteggersi da dei fantomatici “cattivi” che tenevano sotto giogo l’intera popolazione mondiale. Li ho sempre chiamati i “sogni di resistenza”. Questi sogni ricorrenti li facevo da bambina, dai 7 agli 11 anni circa. Erano situazioni difficili, angoscianti, incomprensibili. Inspiegabile che si formassero nella testa di una bimba delle elementari. Sì, è anche vero che la mia maestra ci parlava di ecologia, inquinamento, dittature e diritti umani a ogni piè sospinto ed eravamo nei primi anni settanta e a Torino si sentivano spesso le sirene della polizia, erano ancora anni caldi. In questi sogni faticavo molto, avevo mansioni di guardia, di organizzazione, di protezione. Ero arrivata al punto, con la mia fervida immaginazione, di credere che fossero sogni premonitori. Poi con la pubertà e l’adolescenza tutto ciò è sparito e nel tempo dimenticato. 
Ora, però, vedo segni inequivocabili: quei sogni si sono avverati. E non posso fare finta di nulla. Non posso tradire l’animo cavalleresco dell’infanzia. Non sono qui per raccontare delle verità, non ho certezze da trasmettere, ma so che la conoscenza rende liberi, per cui sono qui a raccontare cosa vedo, cosa ho capito, a chiedere cosa ne pensate, per capire ancora meglio, e a chiedere cosa vedete voi. 
Ognuno di noi ha il dovere di mettersi in gioco per il bene comune condividendo con onestà gli esiti della propria esperienza, perché è solo dal confronto che si ha crescita. 
Pensava che avrebbe attraversato mari e terre, che avrebbe conosciuto genti e persone e compiuto imprese straordinarie e ardimentose. Ora sapeva che, invece, l’opera totale e più strenua della sua vita sarebbe stata non piegarsi. 
Ecco.

Dieci anni prima, nel ’95, scrivevo della mia ansia sul futuro dell’umanità e della vita stessa. Da piccola mi avevano insegnato che la terra è una palla di terra, acqua e fuoco. Una cosa rotonda, con una superficie limitata di cui era possibile calcolare l’area. Vedendo come da decenni ne venivano consumate e distrutte porzioni sempre crescenti in modo irreversibile mi domandavo, visto che non per l’avidità, se almeno per l’ottusità folle e dilagante potesse esserci rimedio. Ma col passare degli anni mi rassegnavo al fatto che no, non esiste alcun antidoto per l’ottusità.
Immaginavo quindi che a breve intere popolazioni umane e animali avrebbero dovuto spostarsi, quelle che fossero sopravvissute e che fossero riuscite a migrare in tempo utile, pensavo alla lentezza migratoria delle specie vegetali, sapevo che il mondo si sarebbe fatto sempre più stretto e che ci sarebbero stati conflitti, esclusioni, e la corsa spregiudicata e violenta per accaparrarsi le risorse. In sostanza ingiustizie e morte.

Così è. Ora e qui.

Ed è arrivato il momento di decidere da che parte stare.

settembre 2015


(tutti i diritti riservati)

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