Il piccolo Aylan non ha sfiorato
il mio cuore. L’ho guardato con l’accettazione
compassionevole ma lucida che bisogna riservare alla morte.
Per me è stato uno dei tanti. Non
particolarmente meritevole di attenzione. Degno dei medesimi compassione e
rispetto che dobbiamo a ogni altro cadavere occultato nelle cifre a tanti zeri
che siamo abituati a leggere e sentire.
Dopo mesi e mesi e mesi di dolore
e frustrazione e senso di impotenza per questo ossario comune che è divenuto il
nostro mare, dopo anni di incredulità, rabbia e compassione per un ininterrotto
conflitto mondiale cui nessuno ha il coraggio di riferirsi con tale nome,
perché ci viene presentato a pezzetti, come se fossero solo guerre intestine di
Paesi sparsi per il globo, dopo e durante tutto ciò, sono stati gli assalti al
tunnel della Manica che da mesi si ripetono nella “giungla” di Calais da parte
dei profughi e dei migranti, e le immagini provenienti dalla penisola
balcanica, a risvegliare un moto interiore che risale agli anni della mia infanzia.
Qualcosa che richiama apocalittiche visioni cinematografiche da post conflitto
finale. Le barriere. Alcuni di qua altri di là.
Riporto qui uno stralcio da un
testo del 2006:
“ (…) Vi voglio raccontare di un vecchio sogno,
anzi di una serie di sogni. Le vicende mutavano ma il denominatore comune
c’era. Si trattava sempre di circostanze in cui gruppi di persone dovevano
trovare rifugio e proteggersi da dei fantomatici “cattivi” che tenevano sotto
giogo l’intera popolazione mondiale. Li ho sempre chiamati i “sogni di
resistenza”. Questi sogni ricorrenti li facevo da bambina, dai 7 agli 11 anni
circa. Erano situazioni difficili, angoscianti, incomprensibili. Inspiegabile
che si formassero nella testa di una bimba delle elementari. Sì, è anche vero
che la mia maestra ci parlava di ecologia, inquinamento, dittature e diritti
umani a ogni piè sospinto ed eravamo nei primi anni settanta e a Torino si
sentivano spesso le sirene della polizia, erano ancora anni caldi. In questi
sogni faticavo molto, avevo mansioni di guardia, di organizzazione, di
protezione. Ero arrivata al punto, con la mia fervida immaginazione, di credere
che fossero sogni premonitori. Poi con la pubertà e l’adolescenza tutto ciò è
sparito e nel tempo dimenticato.
Ora, però, vedo segni inequivocabili: quei sogni
si sono avverati. E non posso fare finta di nulla. Non posso tradire l’animo
cavalleresco dell’infanzia. Non sono qui per raccontare delle verità, non ho
certezze da trasmettere, ma so che la conoscenza rende liberi, per cui sono qui
a raccontare cosa vedo, cosa ho capito, a chiedere cosa ne pensate, per capire
ancora meglio, e a chiedere cosa vedete voi.
Ognuno di noi ha il dovere di mettersi in gioco
per il bene comune condividendo con onestà gli esiti della propria esperienza,
perché è solo dal confronto che si ha crescita.
Pensava che avrebbe attraversato mari e terre,
che avrebbe conosciuto genti e persone e compiuto imprese straordinarie e
ardimentose. Ora sapeva che, invece, l’opera totale e più strenua della sua
vita sarebbe stata non piegarsi. ”
Ecco.
Dieci anni prima, nel ’95, scrivevo della
mia ansia sul futuro dell’umanità e della vita stessa. Da piccola mi avevano
insegnato che la terra è una palla di terra, acqua e fuoco. Una cosa rotonda,
con una superficie limitata di cui era possibile calcolare l’area. Vedendo come
da decenni ne venivano consumate e distrutte porzioni sempre crescenti in modo
irreversibile mi domandavo, visto che non per l’avidità, se almeno per
l’ottusità folle e dilagante potesse esserci rimedio. Ma col passare degli anni
mi rassegnavo al fatto che no, non esiste alcun antidoto per l’ottusità.
Immaginavo quindi che a breve intere
popolazioni umane e animali avrebbero dovuto spostarsi, quelle che fossero
sopravvissute e che fossero riuscite a migrare in tempo utile, pensavo alla
lentezza migratoria delle specie vegetali, sapevo che il mondo si sarebbe fatto
sempre più stretto e che ci sarebbero stati conflitti, esclusioni, e la corsa
spregiudicata e violenta per accaparrarsi le risorse. In sostanza ingiustizie e
morte.
Così è.
Ora e qui.
Ed è
arrivato il momento di decidere da che parte stare.
settembre 2015
(tutti i diritti riservati)
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