domenica 10 marzo 2013

PORTO DI IMPERIA

Sono tutti a pranzo. E c’è un gran vento. Il cielo è solcato da scie. 
Penso al libro su Imperia che ho pubblicato a novembre. Mentre cammino all’interno del nuovo porto mi dico che, forse, scrivendo ho tenuto i tono troppo bassi. 
Le piastrelle ballano, magazzini e uffici in abbandono senza essere mai stati utilizzati, il parcheggio allagato, palme in vaso e panchine accatastate e dimenticate. Nessun distributore di carburante. Un cartello indica la direzione per raggiungere un’inesistente reception. 
Solo qualche auto nelle strisce bianche e imbarcazioni all’ormeggio suggeriscono l’idea di un approdo importante i cui fasti annunciati mai saranno raggiunti. 
Un porto bifronte: un lato mare di yachts lussuosi ed equipaggi aitanti e un poco etilici com’è consuetudine, e, alle spalle, un cantiere fantasma.
Qualcuno ne renderà mai conto? 

Dello scheletro del capannone per la cantieristica navale, i tavelloni della copertura giacciono sovrapposti ai piedi della struttura. I pilastri verticali svettano contro il cielo senza più essere uniti. Pare un opera in fieri. Invece si smantella, con ulteriore dispendio di denari ed energie, una costruzione emblema della nostra presunzione. E della nostra ingordigia. Monumento alla vanagloria.
L’azzurro che recupera lo spazio cementizio è bello. Questo sì. 
Avevo voluto concedere il beneficio del dubbio. Speravo che, condivisibile o meno l’idea, questo porto, pensato fin dal XIX secolo, sarebbe potuto divenire comunque un’opportunità. Il più importante porto del Mediterraneo, magari con approdo per i traghetti, finalmente e nuovamente internazionali. 
Ora, invece, ho di fronte la rappresentazione ennesima del carattere di questa città. Così come l’ho vista e descritta. Ora questo luogo è quale un’istallazione. Provocatoria. Bisognerebbe mettere una targa come nelle esposizioni. Per spiegarla questa provocazione a chi è di fuori. Altrimenti per nessuno può avere senso questa cosa che abbiamo davanti agli occhi. A me piace così. L’abbandono, il degrado, la consunzione, la solitudine. Sì, preferisco così. Saltare un passaggio. Gli anni di attività che sono, nostro malgrado, non solo lavoro, socialità, guadagni, ma anche consumo e inquinamento. Guardo il porto dal suo dentro come qualcosa di già terminato da tempo. Abbiamo tra le mani già il dopo. Approfittiamone. Pronti a ripensarlo il dopo. Questa volta con intelligenza e lungimiranza. E maggior assunzione di responsabilità da parte di ognuno nel pretendere che le cose vengano fatte come devono essere fatte e nel contribuire a che ciò avvenga. 

 25/04/12 ore 13.00

Tutti i diritti riservati

Nessun commento: