lunedì 25 marzo 2013

PICCOLI E GRANDI

Ci vogliono una lungimiranza e una capacità di astrazione fuori dal comune per sentirsi responsabili in anticipo di un evento futuro. Su questo non si discute. E agire, assumersi un impegno, fare dei sacrifici perché dei benefici che ci saranno godano le generazioni a venire, implica il raggiungimento di un’etica massima, un’etica senza reciprocità: quando ci ringrazieranno non ci saremo più da un pezzo. 
Abbiamo questa forza morale? Possediamo questa grandezza? Di sapere, e accettare, che la storia naturale ha fatto a meno di noi per circa 4 miliardi di anni, e che l’unico senso dell’esistenza è l’autoconservazione e la perpetuazione della vita e che questa bizzarra razza di bipedi non è esattamente al centro del cosmo? E di pensare, comunque e con amore, alle possibili catastrofi come se fossero già accadute e comportarci facendo in modo che non si verifichino o se ne verifichino meno, per quello che può essere il nostro contributo, accettando di buon grado che quando non accadranno, non sarà perché avevamo sbagliato previsione ma perché ci saremo finalmente mossi nel modo giusto? Smettendo, una buona volta, di distinguerci dalle altre specie, per il male gratuito, stupido, e sistematico che permea il nostro agire? 
Raggiungere un’etica basata sull’umiltà di sentirsi parte di un sistema al quale non siamo necessari e su cui non possiamo influire in modo ponderale, ma al cui interno possiamo dar prova di una forma altissima di umanesimo. Un umanesimo fatto di gratitudine per aver potuto coscientemente far parte di questo flusso vitale, e di responsabilità e rispetto nei confronti della nostra specie e di quelle che condividono con noi questo breve lasso di tempo nel corso dell’evoluzione. Accettare che accanto al tempo storico, ne esistono uno geologico e uno cosmologico, e che se da un lato ci ridimensionano, dall’altro ci offrono una prospettiva suprema finalmente non antropocentrica. 
C’è chi dice che il mondo ha passato di peggio, che molte civiltà sono cadute e altre sono nate, ma se andiamo a vedere perché, troviamo cause che ci sono famigliari: consumo delle risorse, distruzione di habitat, crescita demografica inidonea, carestie, conflitti e via dicendo. Solo che ora la diffusione, l’intensità dei fenomeni e la velocità con cui si susseguono sono cresciuti in modo esponenziale, quindi essere scettici o addirittura negare il disastro imminente è da ottusi. 
La questione è molto semplice: il nostro impatto si scontra e si scontrerà sempre più con il limite di tollerabilità degli ecosistemi, per cui, inevitabilmente, il sistema terra avrà reazioni e riorganizzazioni funzionali a se stesso, ma non è detto che saranno soluzioni adatte alla nostra sopravvivenza. Si tratta dunque di salvare noi stessi, i nostri compagni di viaggio e i nostri discendenti, il pianeta è in grado di salvarsi da solo. Con i propri tempi, dilatati senz’altro, ma sopravvivrebbe benissimo alla nostra scomparsa. 
Ma anche sapendo di dover sparire dobbiamo agire giustamente. 
Partire dalla nostra fragilità e transitorietà e farne un punto di forza e di prestigio, imprimerci uno scatto evolutivo verso un’etica assoluta che ci preservi dal commettere l’ennesimo crimine contro l’umanità: derubarla del futuro, qualunque durata possa ancora avere. Ora che sappiamo non possiamo addurre alibi o giustificazioni di sorta. 
Proprio la nostra finitezza, il nostro essere tanto piccoli e irrilevanti al cospetto del cosmo può renderci grandi. 
Quella grandezza interiore che anima chi, a discapito dei propri immediati interessi e talvolta persino a sprezzo della propria vita, vive e combatte per un ideale nobile.

Io voglio imparare a essere un’abitante del terzo millennio.

dicembre 2012

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