martedì 9 aprile 2013

MOLESKINE 2

Parole o immagini?
Per le parole nessuno ha più tempo. Né di leggerle, né di ascoltarle.
L'immagine è il segno del nuovo linguaggio.

Denunciare la tortura, la guerra, la violenza, la fame, attraverso la diffusione di fotografie spietate dovrebbe scatenare lo sdegno e improntare gli animi a un cambiamento profondo.
Lo stesso risultato sarebbe possibile spiegando tutto quanto sta a monte della tortura, della guerra, della violenza, della fame. Dalle implicazioni economico-politiche, alla consapevolezza che la crudeltà fine a se stessa  è una predisposizione in alcuni individui affatto latente. Spiegazioni per poter attribuire le responsabilità a tutti coloro cui vanno attribuite.
Ma tale processo, inevitabilmente più lungo e complesso, rischia di incontrare l'attenzione solo di quella sparuta cerchia di ostinati che, per necessità personale, deve comprendere la connessione tra le cose.
E poi, per faccende come la tortura, la pedofilia, l'eccidio, non serve conoscere cause e concause per opporre un netto rifiuto. Un rifiuto che deve sorgere spontaneo. Quindi un'immagine.

Ma le immagini liberano?
Inducono realmente una riflessione? O soltanto suscitano un'emozione forte ma momentanea?
Alla fine anche le immagini più sconvolgenti lasciano appena una scia di nausea e l'idea confusa di qualcosa che non va. 
Poi decadono sul fondo dell'animo in successiva stratificazione, humus per un cinismo sedato e imbelle che ci obbligherà a una maggior dose di schifo, la prossima volta, per avere almeno un sussulto di umanità.

gennaio 2012

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