sabato 20 aprile 2013

ECONOMIA

In tutto il mondo le persone stanno sempre peggio.
Vien da chiedersi, ma non è che questo sistema di mercato non funziona?
Perché la politica si ostina a sostenerlo e difenderlo, raccontandoci che è la strada giusta o, comunque, l’unica percorribile? E perché devono stare meglio quelli che danno un contributo negativo alla società? Eppure il sistema politico internazionale avvalla anziché correggere il sistema mercato nonostante si stia rivelando fallimentare. Tranne per un esigua parte della popolazione mondiale, pari a poco più dell’1%. Insomma non sta funzionando come dovrebbe.
Le teorie di Smith secondo cui il perseguimento degli interessi di un’èlite portano a un benessere sociale partono dal presupposto che i ritorni privati siano allineati a quelli sociali e che si riceva un compenso proporzionale ai contributi apportati alla società.
Ma oggi non è più così.
Si dovrebbe creare ricchezza, intesa come benessere equamente distribuito, non sottrarne.
Di fatto è una corsa a sbranare la carcassa.
Anche quando si fanno considerazioni del tipo che il Pil non misura la sostenibilità della crescita, si dice una cosa giusta ma si utilizza un vocabolo che alimenta equivoci. Non si tratta di crescita. Ma di sottrazione. Questo è il punto che dovrebbe essere ben chiaro e che può mettere a tacere qualsiasi argomentazione a favore dell’attuale situazione. Sottrazione di beni comuni, di risorse, di libertà, di democrazia, di dignità.
Fino a esaurimento scorte.
I mercati dovrebbero funzionare su una reale libera concorrenza tutelata da governi che devono impedire la realizzazione di profitti di natura monopolistica. Ma esistono molti sistemi che permettono al sistema finanziario di impedire che i mercati funzionino bene e quindi che pochi si arricchiscano indipendentemente dai meriti, anzi, sempre più, procurando danno.
Eppure pare che questo orami sia l’unico mondo possibile. Che se cambiassimo strada crollerebbe il sistema e tutti ne verremmo danneggiati. Che qualsiasi inversione di tendenza sarebbe letale. Le obiezioni principali si riassumono nella considerazione che qualsiasi iniziativa, dal tagliare le spese militari, al non esternalizzare i costi ambientali, all’eliminare i benefici fiscali a favore delle grandi imprese, si tradurrebbe in perdita di posti di lavoro, e in un danno per la collettività.
Che la perdita costante ed esponenziale di posti di lavoro sia comunque sotto agli occhi di tutti poco importa.
In fondo tendiamo a credere a tutto ciò che conferma le nostre credenze pregresse. E quanto ci hanno inculcato riguardo all’efficienza dei mercati che viene meno solo a fronte di un ingerenza dei governi, è un’idea ben radicata. Rimossa invece l’idea che le imprese (e le banche) funzionano all’80% grazie alla ricerca, agli incentivi, alle agevolazioni fiscali degli Stati, cioè grazie ai soldi nostri. Anche il denaro dato alle banche (troppo grandi per fallire) avrebbe dovuto impedire che il credito si interrompesse. Invece la maggior parte di quei soldi sono finiti per pagare i bonus di chi ha determinato il collasso del sistema. I tassi di interesse pari quasi a zero con cui gli istituti bancari si sono potuti rifinanziare con denaro pubblico, hanno fatto sì che si provvedesse in fretta e furia a distribuire dividendi anziché rimettere in circolo un credito che avrebbe concesso respiro alla piccola e media impresa.
Per cui, visto che i governi si indebitano comunque x sostenere le grandi corporations finanziarie, non sarebbe meglio che lo facessero per garantire un’istruzione elevata, sviluppo tecnologico e, quindi, crescita di domanda di lavoro qualificato e protezione dell’ambiente?
Invece non solo non si punisce (encomiabile il caso dell’Islanda, ma si sa, è un paese piccolo) ma addirittura si premia chi danneggia la società.
La ricchezza la si crea o la si sottrae.
Un sistema basato esclusivamente sullo sfruttamento delle risorse ambientali e umane, a questo punto di risorse ai minimi termini, non può che divenire stagnante. Immobile. L’unico modo di arricchirsi è procedere all’accaparramento di ciò che c’è in circolazione, di ciò che rimane. A scapito del resto dell’umanità.
Ed è quanto sta accadendo. Impunemente.
Inoltre, in un circolo vizioso, spostando la ricchezza dal basso verso l’alto, cioè in mano a un numero sempre più esiguo di individui, i consumi non possono che scendere e, comunque, non possono essere proporzionali ai livelli di produzione e offerta necessari a un’economia viva e dinamica. E la disillusione nei confronti di un sistema politico che permette iniquità, porta a una diminuzione della partecipazione alla vita politica, al rassegnarsi a una vita sempre meno democratica. La perdita stessa di sovranità economica è una perdita di democrazia.
Ma, come ben sappiamo, i cambiamenti di mentalità e le convinzioni collettive mutano molto lentamente e lo fanno solo se lo mutano quelle di un numero considerevole di persone. Altrimenti si consolidano.
Media e think tank hanno lavorato e lavorano molto bene in merito.

ottobre 2012

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