AI – INTELLIGENZA ARTIFICIALE
Ieri ho partecipato a una
giornata di studio, nell'Aula Magna del Rettorato dell'Università di
Torino, riguardante l'intelligenza artificiale: "Intelligenza Artificiale. Una realtà tra sogno e magia". Un
argomento che seguo da anni e su cui cerco di mantenermi aggiornata.
Pur avendo, o forse proprio per questo, una formazione umanistica,
amo la scienza e l'innovazione tecnologica nella misura in cui
possono migliorare la vita sia individuale che collettiva nonché le
condizioni dell'ambiente. E mi interessano in gran misura le
implicazioni filosofiche, etiche e, non ultime, legali della
questione.
Si
sono succeduti vari relatori e, al termine, è seguita una tavola
rotonda con studenti dei corsi di Laurea in Informatica e del
Politecnico. Si è rimasti sul generale, alla fine si è parlato più
che altro dell'Internet delle cose, cioè della tecnologia che
permette prestazioni performanti grazie all'estensione della
connessione internet a oggetti e luoghi, quindi non propriamente di
intelligenza artificiale. Una trattazione direi di primo approccio,
nulla che non sapessi già, per cui il mio desiderio di apprendere
oltre è stato in parte deluso. Dico in parte perché si è trattato
comunque di un'occasione di incontro e perché al termine ho avuto
modo di scambiare opinioni con alcuni uditori.
Tra
essi una psichiatra che, durante il dibattito e di fronte
all'entusiasmo acritico e eccessivamente specialistico degli
studenti, ha fatto riferimento alle patologie psichiatriche legate
all'utilizzo compulsivo di schermi come unico tramite con il mondo.
Patologie da anni ormai contemplate nel DSM (Manuale Diagnostico e
Statistico dei Disturbi Mentali dell'APA Associazione Psichiatria
Americana). Forse la dottoressa è uscita un po' dal tema della
discussione ma ciò è servito a evidenziare come le nuove
generazioni, capaci e brillanti, difettino di una visione d'insieme,
come siano incapaci di guardare dall'alto. Si sono mostrati increduli
all'idea che possano esistere simili patologie e non avevano mai
fatto caso al fatto che nei rapporti virtuali non si utilizzino
alcuni sensi, quali olfatto e tatto, e che possano esserci mutazioni
posturali, indebolimento muscolare, abbassamento della vista. Sanno
cos'è la linguistica computazionale ma hanno difficoltà a dare una
definizione esaustiva di linguaggio. Sono fieri di quella che viene
chiamata Quarta Rivoluzione Industriale, Industria 4.0, ma mi chiedo
se sappiano cos'è la Terza Rivoluzione Industriale. A questo
proposito sono costretta ad ammettere che la definizione che ne do io
non corrisponde esattamente a quella che si trova online,
intendendola infatti io nell'accezione rifkiniana, se mi passate il
termine.
A un certo punto è intervenuta dal pubblico Silvia Rosa Brusin, la
nota conduttrice di TG Leonardo. Sottolineando la diretta
proporzionalità tra la massima prestazione di un'applicazione e la
quantità di dati necessari, e cioè più vuoi che funzioni più dati
ci devi mettere, ha sollevato la questione della necessità di
legiferare in materia senza regalare la totalità dei nostri dati
sensibili privi del benché minimo controllo sull'uso che ne verrà
fatto. Anche in questo caso un misto di imbarazzo, forse maggiore
vista la notorietà dell'interlocutrice, e di sufficienza, come a
dire: sono in là con gli anni, non sono al passo con i tempi, non vedono le potenzialità,
hanno paure irrazionali. Di fatto non hanno risposto se non in modo
evasivo.
Ho
preso parola anch'io chiedendo se ritenevano del tutto fuori luogo
discutere di un'etica per le “macchine” visti e considerati gli
obiettivi assai concreti dei movimenti transumanisti e postumanisti.
Hanno tergiversato qualche secondo e sono passati ad altro senza
rispondere. Evidente il fatto che non sapessero di cosa stavo
parlando. Spero che qualcuno mosso da curiosità sia andato a
documentarsi.
Ammiro
la loro dedizione, la fiducia che hanno nel progresso, la capacità
di destreggiarsi agevolmente in ambiti tanto complessi ma io non
voglio una futura generazione di tecnici abilissimi, ma una di uomini
capaci, riflessivi, lungimiranti, in grado di tenere le redini, non
solo di oliare i mozzi delle ruote. Perdonate ragazzi, la mia è una
generazione di mezzo. Tra i libri e la rete. Forse non riesco a
spiegarmi perché ormai abbiamo linguaggi diversi ma concedete a me,
alla psichiatra, alla signora Brusin, di ritenerci a buon diritto un
amalgama felice di conoscenze. Persone capaci di vedere verso
entrambe le sponde e formulare una visione d'insieme, una sintesi
altrimenti preclusa.
Dovrebbe
essere obbligatorio, nelle facoltà scientifiche, almeno lo studio
della filosofia e della geografia sociale ma, vista la recente
abolizione del tema di storia dagli esami di Maturità, la vedo dura.
Si vuole eliminare dalle menti la capacità di contestualizzare e ciò
è di una gravità senza precedenti alla luce della rapidità con cui
tutto si sta evolvendo.
Altrettanto
grave è che i relatori, per tutto il tempo di questo dibattito
innescato dall'uditorio, abbiano lasciato la palla ai giovani e se ne
siano stati muti.
Da
menzionare, tra le cose sentite, il riferimento fatto da un relatore
all'industria dell'etichettatura: il lavoro nascosto e sottopagato
dei data- tagger.
Per
il resto me ne sono andata via con un senso di perplessità e, credo
legittima, preoccupazione.
Stamane,
leggendo un articolo sull'argomento, ho trovato questa frase: “la
densità delle persone è proporzionale alla densità dei dati.”.
Non so spiegarlo in poche parole ma io la frase l'avrei detta almeno alla
rovescia. Pensateci.
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