giovedì 11 ottobre 2018

AI - INTELLIGENZA ARTIFICIALE


AI – INTELLIGENZA ARTIFICIALE

Ieri ho partecipato a una giornata di studio, nell'Aula Magna del Rettorato dell'Università di Torino, riguardante l'intelligenza artificiale: "Intelligenza Artificiale. Una realtà tra sogno e magia". Un argomento che seguo da anni e su cui cerco di mantenermi aggiornata. Pur avendo, o forse proprio per questo, una formazione umanistica, amo la scienza e l'innovazione tecnologica nella misura in cui possono migliorare la vita sia individuale che collettiva nonché le condizioni dell'ambiente. E mi interessano in gran misura le implicazioni filosofiche, etiche e, non ultime, legali della questione.
Si sono succeduti vari relatori e, al termine, è seguita una tavola rotonda con studenti dei corsi di Laurea in Informatica e del Politecnico. Si è rimasti sul generale, alla fine si è parlato più che altro dell'Internet delle cose, cioè della tecnologia che permette prestazioni performanti grazie all'estensione della connessione internet a oggetti e luoghi, quindi non propriamente di intelligenza artificiale. Una trattazione direi di primo approccio, nulla che non sapessi già, per cui il mio desiderio di apprendere oltre è stato in parte deluso. Dico in parte perché si è trattato comunque di un'occasione di incontro e perché al termine ho avuto modo di scambiare opinioni con alcuni uditori.
Tra essi una psichiatra che, durante il dibattito e di fronte all'entusiasmo acritico e eccessivamente specialistico degli studenti, ha fatto riferimento alle patologie psichiatriche legate all'utilizzo compulsivo di schermi come unico tramite con il mondo. Patologie da anni ormai contemplate nel DSM (Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali dell'APA Associazione Psichiatria Americana). Forse la dottoressa è uscita un po' dal tema della discussione ma ciò è servito a evidenziare come le nuove generazioni, capaci e brillanti, difettino di una visione d'insieme, come siano incapaci di guardare dall'alto. Si sono mostrati increduli all'idea che possano esistere simili patologie e non avevano mai fatto caso al fatto che nei rapporti virtuali non si utilizzino alcuni sensi, quali olfatto e tatto, e che possano esserci mutazioni posturali, indebolimento muscolare, abbassamento della vista. Sanno cos'è la linguistica computazionale ma hanno difficoltà a dare una definizione esaustiva di linguaggio. Sono fieri di quella che viene chiamata Quarta Rivoluzione Industriale, Industria 4.0, ma mi chiedo se sappiano cos'è la Terza Rivoluzione Industriale. A questo proposito sono costretta ad ammettere che la definizione che ne do io non corrisponde esattamente a quella che si trova online, intendendola infatti io nell'accezione rifkiniana, se mi passate il termine.
A un certo punto è intervenuta dal pubblico Silvia Rosa Brusin, la nota conduttrice di TG Leonardo. Sottolineando la diretta proporzionalità tra la massima prestazione di un'applicazione e la quantità di dati necessari, e cioè più vuoi che funzioni più dati ci devi mettere, ha sollevato la questione della necessità di legiferare in materia senza regalare la totalità dei nostri dati sensibili privi del benché minimo controllo sull'uso che ne verrà fatto. Anche in questo caso un misto di imbarazzo, forse maggiore vista la notorietà dell'interlocutrice, e di sufficienza, come a dire: sono in là con gli anni, non sono al passo con i tempi, non vedono le potenzialità, hanno paure irrazionali. Di fatto non hanno risposto se non in modo evasivo.
Ho preso parola anch'io chiedendo se ritenevano del tutto fuori luogo discutere di un'etica per le “macchine” visti e considerati gli obiettivi assai concreti dei movimenti transumanisti e postumanisti. Hanno tergiversato qualche secondo e sono passati ad altro senza rispondere. Evidente il fatto che non sapessero di cosa stavo parlando. Spero che qualcuno mosso da curiosità sia andato a documentarsi.
Ammiro la loro dedizione, la fiducia che hanno nel progresso, la capacità di destreggiarsi agevolmente in ambiti tanto complessi ma io non voglio una futura generazione di tecnici abilissimi, ma una di uomini capaci, riflessivi, lungimiranti, in grado di tenere le redini, non solo di oliare i mozzi delle ruote. Perdonate ragazzi, la mia è una generazione di mezzo. Tra i libri e la rete. Forse non riesco a spiegarmi perché ormai abbiamo linguaggi diversi ma concedete a me, alla psichiatra, alla signora Brusin, di ritenerci a buon diritto un amalgama felice di conoscenze. Persone capaci di vedere verso entrambe le sponde e formulare una visione d'insieme, una sintesi altrimenti preclusa.
Dovrebbe essere obbligatorio, nelle facoltà scientifiche, almeno lo studio della filosofia e della geografia sociale ma, vista la recente abolizione del tema di storia dagli esami di Maturità, la vedo dura. Si vuole eliminare dalle menti la capacità di contestualizzare e ciò è di una gravità senza precedenti alla luce della rapidità con cui tutto si sta evolvendo.
Altrettanto grave è che i relatori, per tutto il tempo di questo dibattito innescato dall'uditorio, abbiano lasciato la palla ai giovani e se ne siano stati muti.
Da menzionare, tra le cose sentite, il riferimento fatto da un relatore all'industria dell'etichettatura: il lavoro nascosto e sottopagato dei data- tagger.
Per il resto me ne sono andata via con un senso di perplessità e, credo legittima, preoccupazione.
Stamane, leggendo un articolo sull'argomento, ho trovato questa frase: “la densità delle persone è proporzionale alla densità dei dati.”. Non so spiegarlo in poche parole ma io la frase l'avrei detta almeno alla rovescia. Pensateci.

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