Oggi ho incontrato Raja,
un uomo indiano che conobbi anni fa mentre mendicava all'entrata di
un supermercato. Ci siamo intrattenuti una decina di minuti a
chiacchierare. Mi ha raccontato che in India si è separato dalla
moglie*
e che ora vive a Sanremo con i suoi due figli di sedici e diciotto
anni. Vive con loro in una piccola roulotte all'interno di un
campeggio. In cambio dell'alloggio esegue lavoretti di manutenzione.
Per il resto fa qualche giornata qua e là. Ci siamo ritrovati a
parlare di politica e lui ha detto di essere preoccupato per i
movimenti migratori. Affermazione legittima ma sono rimasta molto
sorpresa a sentirne le motivazioni.
Riporto
alcune sue frasi:
“ I
migranti Siriani ad esempio sono ricchi perché sono ricchi e anche
quelli africani lo sono, perché gli danno un sacco di soldi per
venire in Italia. Non hanno bisogno veramente, hanno rotoli di soldi.
È
solo un piano per invadere l'Italia. È
la mafia africana dei barconi che vuole diventare sempre più ricca.
Anche la mafia italiana. Non sono contento di questa situazione. È
tutto finto.”
Ho
ribattuto parlando ad esempio dello Yemen, di donne gravide che
affrontano il mare, di desertificazione, di conflitti per le risorse
idriche, delle reali percentuali di spostamento e della varietà di
destinazioni, del diritto a migrare e di quello a non (dover)
migrare, di guerra, di fame. Mi osservava con aria perplessa mentre consideravo quanto
fosse surreale essere io, anziché lui, a perorare una causa che
ritenevo fosse anche la sua. Ripensando all'evidente miglioramento
del suo italiano, dovuto, a suo dire, all'ascolto dei notiziari e
alle chiacchiere per strada, deduco che le sue convinzioni siano
l'esito di un'integrazione perversa. E constato l'efficacia di certa
propaganda rivolta capillarmente soprattutto ai ceti medio bassi.
*Ho
un'idea abbastanza precisa della condizione femminile in India, ma ho
evitato di approfondire l'argomento chiedendogli del suo caso
personale, perché sarebbe stato fuori luogo e ho rimandato alla
prossima occasione.
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