Quando, inevitabilmente, penso al
fallimento dei sogni che avevo, bambina e ragazza, mi sale una buona dose di
sconforto. Sogni come promesse di quello che sarebbe stata la mia vita.
Promesse che rinnoverei se non fosse che, nel frattempo, ho fatto pace con la
realtà contingente.
Poi capita (e accadimenti
analoghi, analoghi per l’esito che determinano, per fortuna, non sono rari) che
decido di leggere con estrema attenzione il numero di fine anno di
Internazionale, numero dedicato alla letteratura canadese, e resto colpita dai
lavori di alcuni autori. Ne leggo le brevi biografie e sorrido. Mi si apre proprio
il cuore. Sono più giovani di me, alcuni di poco, sette, otto anni, e sono riusciti
a realizzare cose che avrei realizzato volentieri anch’io. Ci sono riusciti.
Qualcuno ci riesce. Lo sconforto scompare. Scompare in un modo che corrisponde
allo scoprire in me uno sguardo di madre. Un’attitudine da mariposa, da custode. Una bella scoperta.
Comunque, venendo ai contenuti di
Internazionale, ho molto apprezzato il racconto “Gli ultimi nati” di Samuel Archibald,
classe ’78, di cui mi sono appuntata di cercare una raccolta di racconti, e lo
spirito del progetto fotografico “OH, Canada” di Naomi Harris, classe ’73. Mi
ha incuriosito la scrittrice Leanne Betasamosake Simpson (di cui non ho trovato l'età), e commosso Sean
Michaels, classe '82, con il racconto “L’altro festival”.
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