Sono rimasta incantata nel vedere
in via Vianelli, al Parasio, due donne africane camminare ognuna con una
scatola sulla testa. La prima con una confezione intera di latte in tetrapak,
l’altra con pacchi presumo di riso, farina, legumi.
Non so ancora dove abitano. Dove
sono stati alloggiati. Da dove vengono
soprattutto. Li ho visti a due, tre alla volta e dalle fisionomie direi che
saranno dieci, dodici tra uomini, donne e bambini.
Vederle procedere a quel modo, lente,
ritte e fiere, ho pensato a quanto deve sembrare strano loro tutto quanto.
Anche solo gli spazi, la luce, la temperatura. Gli orari, i modi, le abitudini
di noi che siamo qui. I nostri problemi. Altrove, in giro per l’Italia e in giro
per l’Europa, avrebbero sentito altri odori, incontrato altri sguardi, visto
altri panorami. Ma tutto ugualmente bizzarro e incomprensibile per persone
tanto lontane da casa.
Vivo in un posto bellissimo ma se
penso alla bellezza dell’Africa, agli orizzonti aperti e profondi, mi sembra impossibile che chi vi è nato non
provi comunque una nostalgia infinita. Il comunque sta per tutti i vergognosi
motivi che rendono quelle terre sempre più inospitali e mortifere.
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