mercoledì 23 marzo 2016

LOCATION PER UNA FIABA

C’era una volta un posto dove le case erano tutte alte alte e strette strette, con una porticina in basso e una o due finestre piccole piccole appena sotto il tetto. In genere la casa era sempre di fronte, ma il tetto si vedeva in prospettiva e cioè da davanti e da un lato insieme. Ogni casa aveva un giardino bello verde con fiori alti dai colori sgargianti. Ogni giardino aveva almeno un albero e ogni albero aveva frutti. Spesso alberi e fiori erano della stessa altezza. Sotto l’albero o nelle vicinanze c’erano sempre un tavolo imbandito e delle sedie.
Nel giardino c’erano sempre delle persone anch’esse  molto molto alte e, a volte, comprese le scarpe e i capelli o i cappelli arrivavano quasi fino al tetto della casa che era appena più alta dell’albero. In questo modo le persone potevano cogliere i frutti con poca fatica, bastava allungare un braccio e prenderli. E potevano anche lavare le finestre o spolverare il tetto della casa senza bisogno di scale. E anche annaffiare i vasi sul balcone e i balconi sembravano cassetti. Ogni tanto qualcuno annaffiava i fiori del giardino e se, per distrazione, lo faceva da troppo lontano, le gocce d’acqua dall’annaffiatoio si muovevano orizzontalmente nell’aria per coprire quella distanza e giunte sopra il fiore, allora ricadevano su di esso. Il cielo era sempre blu e c’era sempre il sole quando era giorno e una fetta di luna e tante tante stelle tutte in fila, tante righe di stelle, quando era notte. La particolarità era che sia di notte che di giorno nello spazio tra la striscia blu del cielo  e la striscia verde della terra c’era sempre luce e le persone potevano stare sempre fuori. Era meglio se stavano fuori, perché per entrare nella casa dovevano mettersi a quattro zampe per passare dalla porticina e poi, una volta dentro, potevano starci solo in piedi uno attaccato all’altro con la testa che sfiorava il soffitto e dovevano pure fare attenzione a muoversi poco per non urtare le pareti. Se dormivano in casa, dormivano in piedi: avevano inchiodato ai muri in alto dei grossi cuscini morbidi e ci appoggiavano la testa e si mettevano a dormire. Non rischiavano di cadere, perché non c’era proprio spazio e se a qualcuno mentre dormiva gli si piegavano le gambe, scivolava un po’ ma poi si fermava, perché le ginocchia si puntavano contro le gambe degli altri e rimaneva bloccato così. Quando gli alberi erano due si poteva legare un’amaca e riposare lì, oppure sdraiati sul prato, che era molto più comodo che starsene dritti dritti dentro la casa. Per lavarsi era la stessa cosa: in mezzo al soffitto di fianco al lampadario era fissato un rubinetto e la pigna di una doccia, si apriva l’acqua e voilà. Il sapone, le spugne, gli spazzolini da denti erano su delle mensole appese alle pareti sopra i quadri, che erano quadri impermeabili, altrimenti si sarebbero rovinati con tutto quel umido. Anche l’armadio era impermeabile: era alto e sottile e occupava due lati interi della casa, si apriva con delle cerniere e dentro c’erano le scarpe, i vestiti, i libri e i fiocchi per i capelli. E i cappelli. I vestiti, le scarpe, i fiocchi e i cappelli erano tutti molto belli e colorati. Gialli, rosa, arancione, rosso, blu, verde e i colori erano molto brillanti. C’erano vestiti per tutte le occasioni: pantaloni lunghi e corti, molto pratici per andare a passeggio e stare in campagna, gonne corte per l’estate e gonne lunghe e vestiti da principessa per le serate e i balli. Diciamo che era un posto in cui in casa ci si andava solo per necessità e si trascorreva la maggior parte del tempo fuori. A volte accadeva che qualcuno dovesse andare dentro per prendere o fare qualcosa, magari la mamma o la figlia o un’amica o il babbo, ma subito gli veniva l’istinto di guardare dalla piccola finestrella là in alto cosa succedeva in giardino e dal basso gli altri vedevano spuntare da quel buco quadrato lassù prima il naso poi tutta la faccia con gli occhi sgranati e curiosi e allora gli facevano ciao con la mano e gli gridavano, vieni che è pronto il caffè, vieni che facciamo un gioco, vieni che prendiamo il sole. Allora chi era dentro si accucciava per sgusciare attraverso la porticina e correre fuori e tutti insieme bevevano il caffè, giocavano con la palla o con i gatti e con i cani o con la palla insieme ai cani, che i gatti non erano capaci, e dopo si mettevano a saltare e saltare sempre più in alto, che con i piedi superavano l’altezza del tetto, e saltavano saltavano per prendere il sole.
C’erano sempre gli animali, qualche volta non si vedevano perché erano dietro la casa o nascosti dagli alberi, ma poi venivano sempre fuori. Ce n’erano di vario tipo: innanzitutto i cani e i gatti, poi almeno un cavallo, delle galline, qualche capra, conigli, senza contare i pesci nel cielo e gli uccelli nel torrente o nel laghetto, perché certi giorni si confondevano e sbagliavano posto. I gatti, in genere, erano anche loro piuttosto alti, in alcuni casi più dei cani, ma questi ultimi si consolavano perché i cavalli, che non erano pony, non erano più alti di loro, anzi a volte leggermente più bassi e  andavano insieme trotterellando per il giardino e quando erano stanchi si riparavano all’ombra dei petali dei fiori. Per cui quello era un luogo in cui non era difficile incontrare gatti più grossi di cavalli e nascosti in mezzo ai fiori cavalli che brucavano l’erba. E poi c’erano galline così ciccione che non passavano sotto il tavolo e quando ci provavano restavano incastrate e certi conigli avevano le orecchie così lunghe che facevano il solletico alle nuvole e le facevano scappare perché non resistevano al solletico. Per quello c’erano sempre il sole e la luna belli brillanti, perché le nuvole scappavano via ridendo. Che si sa, se una nuvola ride troppo poi scoppia e scende la pioggia e bisogna ripararsi tutti sotto l’albero, perché non sempre la pioggia scende fresca e leggera, certe volte ne scende un mucchio e tutta insieme e ci si bagna peggio che sotto la doccia aperta al massimo e si rischia di prendere il raffreddore. Meglio che vadano a ridere da un’altra parte le nuvole, non troppo lontano però, qualche decina di metri soltanto, perché comunque l’acqua serve al ruscello, serve alla terra, agli alberi e ai fiori e anche per fare la doccia e il caffè. E serve anche ai pesci quando scendono dal cielo e tornano al laghetto.





(disegni di Elena Dumas – 8 anni)

racconto tratto da "Incontri" ed. Philobiblon - 2008



(tutti i diritti riservati)

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