venerdì 11 marzo 2016

DAKAR, RIFIUTI E SOGNI

Immaginando di poter un giorno tornare in Africa, da diverso tempo, penso al Senegal. Mi attrae per diversi motivi, non ultimo il fatto che si parli francese. Un anno fa vidi un bel documentario su Rai 5 che parlava di un biologo francese che si è stabilito a sud di Dakar per dedicarsi alla divulgazione di metodi di pesca sostenibile tra la popolazione e ha messo su una squadra di sub per ripulire i fondali dalle reti rotte e abbandonate, facendo di questo programma la propria missione. Ecco un'altra persona in gamba, ho pensato. Un mio conoscente, poi, ci si è trasferito per aprire un'azienda di imballaggi alimentari da materiali riciclati. Inoltre il clima sarebbe idoneo per la mia salute. Insomma, una cosa dietro l'altra, sono arrivata a pensare che, vista la mia precarietà qui, mi ci sarei potuta trasferire dopo una visita preventiva, anzi, più correttamente, sarei potuta emigrare. Ad oggi, però, le mie finanze consentirebbero a malapena un viaggio di andata. Sarebbe veramente emigrare incrociando le dita. Di fatto l'idea è accantonata.
Ieri però, quando sono andata a perfezionare le pratiche di demolizione del mio scooter antico e distrutto da un incidente, ho letto che sarebbe finito a Dakar. Il concessionario mi ha spiegato che spedendo laggiù le moto spende un centinaio di euro in meno di rottamazione. Si sa che i nostri rifiuti più fastidiosi finiscono in Paesi in via di sviluppo, in Africa in particolare, con tutte le considerazioni del caso che qui tralascio, e che da alcuni di essi gli Africani tirano fuori ancora qualcosa di utile, come nel caso del mio scooter da cui trarranno pezzi di ricambio, ma ciò che mi ha colpito è stato pensare che proprio a Dakar è finito qualcosa di collegato a me mentre io resto qui.

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