Non riesco più a starci dietro.
Alle coalizioni anti Isis. E, forse, non vale la pena continuare a sprecare energia in tal senso. Solo mi
chiedo: la Francia da una parte bombarda per rappresaglia la Siria contro i
sunniti dell'Isis e dall'altra diventa interlocutore corteggiato dall'Arabia
saudita, ora che gli Usa “fraternizzano” con l’Iran? Arabia saudita le cui
posizione e responsabilità riguardo all'Isis sono quanto meno nebulose.
Forniture di petrolio a parte, l’ideologia dell'ISIS infatti ricalca l’ideologia wahabita della
monarchia saudita in quasi ogni aspetto anche se il mancato riconoscimento
della suddetta monarchia come guida legittima del mondo islamico rende l'ISIS una
minaccia per l’Arabia saudita, non fosse altro per l’immagine che ne deriva
al cospetto delle potenze occidentali. Noi stessi italiani, attraverso molti
dei nostri illustri imprenditori stiamo facendo ingenti accordi economici con gli emiri
perché gli affari sono affari, in barba alla lunga lista di fatawa
antidemocratiche e al non rispetto dei diritti umani degni appunto del peggior
integralismo. Insomma da che parte stiamo?
Senza contare il fatto che al Califfato
non sembra vero questo bombardamento che sospende il lavoro di partizione della
Siria, cui si cercava di mettere mano da parte dei principali poteri
internazionali attraverso un estenuante lavoro di negoziati. Si tratta di una
questione di potere, si tratta della volontà di restaurare finalmente un
immenso Stato sunnita, utilizzando ogni mezzo, plagiando e indottrinando giovani
che diventano kamikaze inconsapevoli del pragmatismo che permea le decisioni
dei vertici dell'IS. Letteralmente carne da macello.
Ma qui mi fermo, perché ciò che voglio
dire è semplicemente che la vera informazione è un lusso che presuppone, oltre a interesse e curiosità, tanto tanto tempo.
Alle nuove generazioni questo viene ingolfato e pertanto viene precluso il diritto a sapere, vengono
negati gli strumenti per orientarsi e sviluppare un senso critico. Le si
ottunde con il proliferare dei devices (ammennicoli tecnologici) persuadendole di avere a portata di mano
tutto quanto serve, privandole invece criminalmente della possibilità di sviluppare una visione d’insieme, dall'alto.
Io non ho figli ma mi stanno a cuore i
figli degli altri. La mia amica Katia mi dice di essere ottimista: “Non la
generazione di mio figlio, che ha 18 anni e subisce ancora l’influenza della
nostra, ma quella successiva vivrà in integrazione, perché è un processo
inevitabile e funzionale alla sopravvivenza. Per mio nipote, quando sarà
adulto, sarà normale relazionarsi al prossimo in base ai meriti e alle qualità
di questi anziché secondo l’etnia.” Mi viene in mente una vignetta che ho visto
poco tempo fa. Un adulto chiede a una bambina: ”Ci sono extracomunitari nella
tua scuola?” e lei risponde un po’ stupita della domanda: ”Veramente nella mia
scuola ci sono solo bambini”.
E il discorso non riguarda solo il
problema dell’integrazione ma tutti gli aspetti della vita su questo mondo
pianeta. La mia visione in linea di principio è analoga a quella della mia
amica, soltanto temo che questa futura umanità vivrà in uno spazio molto più
stretto e esponenzialmente meno ospitale, in cui le risorse saranno sempre più
concentrate nelle mani di pochi a discapito di una moltitudine che dovrà
arrangiarsi e rifuggire la bestialità della lotta tra disperati solo grazie a
una fede assoluta in quei valori che trasformano nella difficoltà un nemico in
compagno.
I compagni di merenda delle conferenze sul clima e gli accordi economici transnazionali insegnano.
Siamo nel terzo millennio e di fronte a
un bivio epocale della nostra storia di esseri umani. E ho la netta impressione
che si stia imboccando la direzione sbagliata. Sulla spinta di coloro cui ciò
torna comodo, nella loro sete malata di potere, e di una folla sterminata che procede acriticamente perché
vittima di un’indotta incapacità di vedere.
novembre 2015
(tutti i diritti riservati)
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