L’hanno partorito. Dopo un
travaglio di vent’anni, ce l’hanno fatta. L’hanno partorito e ha un gran bel
faccino che commuove ma è corrotto da una qualche tara mortifera. Si vede.
Me lo sono letto il documento
finale della #COP21.
Certo, sarebbe potuta andare
molto peggio visti i precedenti quindi è andata bene. Una lunga sfilza di
ammissioni riguardo la gravità del problema e la promessa di un sincero impegno
da parte di tutti, senza esclusione, a risolverlo. Il tutto condito con l’impegno
a dare una mano economica ai Paesi in via di sviluppo, peraltro i più esposti
(per ora) ai danni procurati dal cambiamento climatico in atto. Bene, un gran
bel punto di partenza ma, ragazzi, guardate che questo doveva essere un punto d’arrivo.
Vi dovevate incontrare per mettere dei paletti e anche ben piantati.
Perciò, in soldoni, solo di
promesse si tratta: nessuna Carbon tax, non esiste una data per l’azzeramento
delle emissioni, i controlli consisteranno in un’autocertificazione degli Stati
su quanto succede a casa loro.
Praticamente, ogni cinque anni,
ci si incontrerà e ci si racconterà cosa si è fatto, promettendo di fare meglio
per il quinquennio seguente. Stop. Non c’è altro.
E ciò che si sarà fatto sarà
stato su base volontaria, in quanto non esiste alcuna regolamentazione
vincolante o sanzione in assenza di ottemperanza.
Per finire, l'accordo entrerà in vigore nel
2020 a seguito di ratificazione di almeno 55 Stati che rappresentino il 55%
delle emissioni globali. C’è l’invito a provvedere alla sottoscrizione, chi vuole,
durante la cerimonia di apertura alla firma convocata per il 22 aprile 2016 a
New York, a disposizione fino al 21 aprile 2017.
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