È curioso come un termine possa
travolgerti da un giorno all'altro comparendo compulsivamente in articoli,
inchieste, dibattiti, e programmi culturali, dalla cucina all'architettura. È
come se a un certo punto si svegliassero tutti insieme e contemporaneamente
vedessero la stessa cosa. Nello specifico l’esito di un processo. Ma i
processi, per definizione, comportano un
tempo. Possibile che nel mentre si svolgono nessuno se ne accorga? Che nessuno,
notando un cambiamento in atto, senta l’impulso
di analizzare, di capire, di parlarne? A quanto pare, a parte singoli individui e qualche inascoltato comitato di quartiere, no. Quale manifestazione
immanente, di punto in bianco, ora abbiamo la gentrificazione. E i media iniziano a parlarne. I vecchi e
scalcinati centri storici delle grandi città nel mondo, abitati sino a ieri per
lo più da una classe lavoratrice operaia, ora rimessi a nuovo o in fase di ristrutturazione
e rinnovamento, in alcuni casi, non nego, gradevole, sono ora
meta residenziale della nuova middle class impiegata principalmente in attività
imprenditoriali affaristiche e finanziarie, e amante di quel cocktail di svago,
cultura, eleganza, zone verdi e vetrine chic, che ne rispecchia al meglio l’anima
ottimista. Le conseguenze sociali di tale processo, dovute alle impennate dei prezzi immobiliari e commerciali, fanno
parte degli effetti collaterali inevitabili di un sedicente e illusorio
progresso che in realtà evidenzia quello che sarà il futuro: nuclei protetti e
funzionali e tutto il resto fuori.
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