Mi sto abituando al
passeggio tra svolazzi di plastica, volantini promozionali, pattume
di sorta. Lungo le strada, sui marciapiedi, cresce, prolifera,
attecchisce. Scoraggia e dissuade dal gesto virtuoso. Avvilisce.
Funziona così. Un giorno via l'altro diventa paesaggio consueto.
All'uscita dal seggio
elettorale mi fermo nella piazza dei giochi e siedo a godere
dell'atteso tepore. Guardo i bambini. Due piccoletti sfrecciano in bici a rotelle ignari di ciò che li aspetta. Un'esistenza misera,
mefitica, malata. E sopra ogni cosa ingiusta.
Il danno maggiore sarà
che nel male che proveranno non troveranno elementi da cui partire
per tentare un riscatto. Perché essi non avranno più idea di un
mondo diverso, né che possa esistere qualcosa di meglio. Non ne
avranno memoria. Si saranno abituati pian piano a quello che
crederanno sia sempre stato. Nati immersi nella distanza,
ecco, li vedo, si stanno abituando fin d'ora.
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