Ieri ho scritto alcune righe sull'abituarsi e stanotte è morto un amico che non si è mai voluto abituare. Pasquale Indulgenza lo conobbi poeta trent'anni fa. Una buona persona con un carattere a tratti spigoloso sempre però incline a un sorriso. Colto, attento, dedito alla causa della polis, credo sia stato sopraffatto dalla stanchezza. L'arrendersi amaro all'evidenza dei fatti che infine sottrae l'energia vitale che ci sostiene. L'ultima volta che parlammo mesi fa ci trovammo distanti su alcune considerazioni finali legate alla politica ma riconoscemmo grati la serietà intellettuale, l'onestà d'intenti, il senso di responsabilità umana che ci accomunava. Per lui ero troppo proiettata verso un futuro ancora utopico, per me lui ancora troppo legato a una concezione della politica a mio avviso obsoleta nel terzo millennio. Mi salutò ammiccando indulgente e sono certa abbia pensato, Amica mia, non hai idea di quanta strada ci sia ancora da fare.
martedì 28 maggio 2019
lunedì 27 maggio 2019
ABITUARSI
Mi sto abituando al
passeggio tra svolazzi di plastica, volantini promozionali, pattume
di sorta. Lungo le strada, sui marciapiedi, cresce, prolifera,
attecchisce. Scoraggia e dissuade dal gesto virtuoso. Avvilisce.
Funziona così. Un giorno via l'altro diventa paesaggio consueto.
All'uscita dal seggio
elettorale mi fermo nella piazza dei giochi e siedo a godere
dell'atteso tepore. Guardo i bambini. Due piccoletti sfrecciano in bici a rotelle ignari di ciò che li aspetta. Un'esistenza misera,
mefitica, malata. E sopra ogni cosa ingiusta.
Il danno maggiore sarà
che nel male che proveranno non troveranno elementi da cui partire
per tentare un riscatto. Perché essi non avranno più idea di un
mondo diverso, né che possa esistere qualcosa di meglio. Non ne
avranno memoria. Si saranno abituati pian piano a quello che
crederanno sia sempre stato. Nati immersi nella distanza,
ecco, li vedo, si stanno abituando fin d'ora.
sabato 18 maggio 2019
COME LACRIME NELLA PIOGGIA
Guardo le pile di libri e
penso che se morissi la grandezza di pensiero contenuta in molti di
essi andrebbe perduta. Più correttamente andrebbe perduta la
sintesi irripetibile che dall'unione di quei determinati libri
scaturisce. Più che attraverso qualsiasi parola potrei scrivere, nel
compenetrarsi di tutti questi testi è contenuto quanto vorrei
trasmettere.
La paziente e attenta
lettura di migliaia di pagine forma l'animo di un individuo
definendolo. Combinazione unica e particolare che in ogni biblioteca
personale si verifica e determina scenari di pensiero unici e
straordinari. Una ricchezza che dev'essere condivisa e che crea,
attraverso l'unicità di ciascun lettore, ulteriore ricchezza e
progresso umani.
L'unica eredità che ho
da lasciare.
C'è una scena in Blade Runner che descrive perfettamente quel senso di caducità di cui ogni
esistenza pare essere intrisa.
“E tutti quei
momenti andranno perduti nel tempo, come lacrime nella pioggia. È
tempo di morire.”
martedì 14 maggio 2019
VACANZA LOW COST
Recentemente ho deciso di
concedermi una settimana di vacanza ma, essendo al limite
dell'incapienza, ho optato per una soluzione a costi ridotti. Ho
spento il telefono e mi sono immersa nella lettura di due libri.
Con sempre rinnovato
piacere mi sono dedicata alla prosa scarna ma efficace di Simenon ne
“Le persiane verdi” (Adelphi) e con estrema attenzione al saggio di Otto
Bauer (Editori Riuniti) ne “La questione nazionale”.
La seconda lettura, a
prescindere dal contenuto su cui a lungo si potrebbe argomentare, mi
ha fatto riflettere su quante volte ho espresso opinioni e
manifestato aspettative politiche senza avere una cultura specifica
in materia. A parte il "Manifesto del Partito Comunista” ai tempi del liceo e pochi
altri saggi, ho letto per lo più letteratura sociale, scientifica,
ed economica. Tutte trattazioni attinenti in ultima analisi alla
politica ma non specifiche. Leggere ora il saggio di Bauer,
pubblicato all'età di ventisei anni, quindi pensato ed elaborato in
quelli precedenti, giovanissimo, mi ha emozionato al pensiero del
fermento culturale di quegli anni che rendeva uomini dei ventenni
quanto a cultura e capacità d'analisi. Nondimeno il trovare
trattate, come anche in questo testo, idee cui sono giunta attraverso
osservazione, analisi, e intuizione, mi rassicura sul fatto di non
dovermi porre troppi problemi riguardo all'esprimermi su questioni
politiche. Non sarò in grado di affrontare tecnicismi, né di
argomentare con dotti riferimenti ma quanto a visione d'insieme sulle
questioni e sulle dinamiche che necessariamente devono concorrere
all'elaborazione di una strategia politica lungimirante ed equa,
direi che l'unico ostacolo è la ristrettezza di vedute della maggior
parte degli interlocutori. Se operanti a livello politico, si tratta
per lo più di persone convinte di aver raggiunto un traguardo
personale anziché di essere i rappresentanti di responsabilità
collettive. Se comuni cittadini, troppo presi dalle contingenze
quotidiane per buttare l'occhio verso l'orizzonte. In entrambi i casi
prigionieri di particolarismi e sterile competitività.
Un consiglio finale: dopo
aver avvisato parenti e amici stretti, onde evitare allarmismi,
concedetevi qualche giorno a telefono spento. Superato lo spaesamento
iniziale potreste essere sorpresi da un senso di benessere
dimenticato.
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giovedì 9 maggio 2019
CENTINAIA DI NEONATI ABBANDONATI
“Orrore in Italia.
Abbandonati nei campi, lungo le strade o nei cumuli di spazzatura,
continua il ritrovamento di neonati. Ormai sono centinaia. Per la
maggior parte di essi ormai è troppo tardi. Le immagini strazianti
dei piccoli corpi senza vita danno la misura della tragedia che si
sta consumando.”
Cose che succedono.
Come sarebbe a dire, cose
che succedono?
Certo, succedono. Cose
così e altre simili o peggiori. Quotidianamente. Qual è il
problema?
Ma è inaudito! Non è
possibile permettere un abominio simile.
Tanto, cosa possiamo
farci?
Muoverci tutti insieme,
pretendere l'intervento delle istituzioni, coinvolgere le nazioni
unite, insomma, qualsiasi cosa pur di mettere fine a questa strage di
innocenti.
Bene. Avete ragione. Ora
però sostituite Italia con Iraq.
Iraq? Stai parlando
dell'Iraq? Ma mi hai fatto venire un colpo. Perché hai detto Italia?
Sei proprio stronza.
Iraq dove alle donne fuggite dalle zone roccaforte dell'Isis, violentate prima dai
combattenti dello Stato Islamico, poi dai militari della parte
avversa, e ora nei campi profughi dalle guardie che dovrebbero
tutelarne l'incolumità, allo stremo delle forze non resta che
tentare di abortire da sé o abbandonare i neonati, cui solo un
futuro di vendetta è garantito.
Senza contare i circa
quindicimila bambini che muoiono ogni giorno di fame, quelli
costretti a imbracciare le armi, quelli venduti e comprati per vari
utilizzi. Quelli storditi dalle droghe, quelli costretti a vivere tra
i rifiuti, o nelle fogne per ripararsi dalle intemperie.
Eccetera,
eccetera, eccetera.
Ognuno di essi ha un
volto e uno sguardo. Ognuno di essi ha emozioni e prova dolore.
Solo che sono lontani,
non sono qui. Non sono i nostri bambini.
Lo so, è difficile
portare il peso del dolore del mondo. Passa la voglia di vivere.
Perché se scomponiamo i milioni in unità e concediamo a ognuno
identità e storia, allora comprendiamo l'entità del nostro
fallimento di esseri umani. Io mi sento così. Sento di avere
fallito.
La provocazione qui sopra
è solo un penoso tentativo di colmare l'incomprensibile divario tra
chi sente troppo e chi non sente nulla. E forse non nasce più dalla
speranza di riuscire a fare qualcosa, dalla speranza che il sapere
sia sprone sufficiente. Forse è solo per l'invidia nei confronti di
chi riesce a farsi scivolare tutto di dosso.
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domenica 5 maggio 2019
FUCILARE GLI EXTRA
L'ufficio postale è
gremito. Alcune persone in attesa all'esterno tengono d'occhio il
display con i numeri di chi è in coda. Entro comunque e prendo un
biglietto. Numero 88. Ho ventotto persone davanti. Esco, vado a bermi
un caffè in un bar lì vicino, e ritorno ad attendere il mio turno
restando nei pressi dell'ingresso. Dopo un po' ho solo più dodici
persone davanti. Temevo peggio. Tocca al numero 76. Ma il numero 76,
un tipo accanto a me che ho notato, corpulento, barba da pirata,
accento albanese, è al telefono. Alcuni numeri devono aver
desistito perché mancano all'appello. I tre sportelli operativi
chiamano il 77, e a seguire l'84 e l'85. Nel frattempo il 76 termina
la telefonata e rientra nell'ufficio. Non appena uno sportello si
libera si fa avanti. Entro anche io. Colgo un brontolio sommesso che
in pochi secondi aumenta di tono forse perché il disappunto è
condiviso dalla maggior parte degli astanti.
- Non si fa così.
- Avrebbe dovuto
prendere di nuovo il numero e rimettersi in coda daccapo
- Questi che vanno a
farsi un giro e poi pretendono di passare...
- Chi si crede di
essere.
- È
un extracomunitario.
- Sono
dei prepotenti.
- Devono
tornarsene a casa loro.
- Questi
stranieri non meritano niente.
L'uomo
si volta e reagisce in prima battuta dicendo che era in coda anche se
fuori e che non era andato a farsi un giro. Poi, al crescere
dell'ostilità, manda tutti a quel paese e torna a sbrigare la
propria pratica.
Il
disappunto generale cresce e i commenti rivolti all'uomo si fanno
pesanti.
Intervengo
pacatamente rivolgendomi a tutti in generale:
- Signori,
la vita è già difficile, perché dobbiamo contribuire a
complicarcela? Anziché prima il 76 e dopo il 77, è passato prima
il 77 e dopo il 76. L'attesa è uguale. Certo il signore avrebbe
potuto essere un po' più garbato ma a nessuno fa piacere essere
aggredito.
Per
tutta risposta una signora d'età s'inalbera:
- Questi
extra (dice proprio extra,
non spreca neanche fiato a pronunciare la parola per intero) son
tutti gentaglia. Non sono italiani. Questi extra ci vogliono passare
davanti.
Al
che mi sento in dovere di precisare, educatamente e con il sorriso:
- Signora,
non crede sia scorretto farne una questione di nazionalità? Se
proprio dobbiamo fare una divisione, facciamola tra buoni e cattivi.
Al
che la signora, rivolgendosi ai vicini di sedia, rincara la dose e
io rispondo.
- Questi
extra, prenderli uno a uno, raccoglierli in giro, metterli tutti in
fila, e fucilarli.
- Signora,
queste non sono cose da dire e soprattutto non sono da pensare.
- Non
la riguarda. Di che s'impiccia?
- Be',
se lei fa un'affermazione tanto grave in modo udibile in un luogo
pubblico, mi riguarda eccome. E
poi la memoria, insomma, un po' di cose dovrebbe ricordarsele, a
meno che...
Nello
stesso momento il display segna il turno dell'88. Lascio in sospeso
la frase. Vado allo sportello. Sento bisbigliare alle mie spalle e
colgo:
- Quella
è una che se la fa con gli extracomunitari.
Terminata
l'operazione mi dirigo verso l'uscita, augurando a tutti una buona
giornata, senza sarcasmo né astio. Da tempo sono convinta che il
nemico bisogna spiazzarlo. E
dico nemico per semplificare, si è tutti vittime di qualcuno o
qualcosa, fosse anche solo di se stessi. Comunque sia, gentilezza
contro aggressività. Maggiori possibilità di riuscire in qualcosa di buono. Cerco
nello sguardo dei presenti qualcosa che mi suggerisca i loro
pensieri, le loro emozioni. Giusto un uomo mi guarda dritto negli
occhi e leggo approvazione. La maggior parte distoglie lo sguardo.
Nel frattempo sono entrate persone ignare dell'accaduto. L'albanese
se n'è andato da un pezzo.
Lo
so. È
solo un piccolo fatto ma mentre
m'incammino sento un peso nell'anima. Una gran tristezza. Per queste
persone che vivono spente, vuote, aride. Timorose della morte e
perciò aggrappate alle quattro cose che danno loro sicurezza
convinte che rappresentino la sostanza della vita. Del tutto incapaci
di empatia. Solo più predisposte ad alimentare le difficoltà e il
malcontento, rovinando in primis le proprie giornate. Mentre
costeggio i banchi del mercato penso frasi in ordine sparso.
Un'impresa immane spetta alle persone di buona volontà. Il senso di
impotenza. La tentazione di arrendersi. Il rifiuto di farlo.
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venerdì 3 maggio 2019
MOLTO SEMPLICE
Chiunque abbia denaro può comprare ciò che vuole e in quantità proporzionale alla propria disponibilità economica. Incluse le risorse del pianeta. Inclusa la vita di chi deve ancora nascere.
È possibile comprare terre fertili, falde acquifere, aria, minerali, cibo. Tanto per semplificare. E anche persone. Ogni moneta permette di entrare in possesso di un pezzo di ricchezza del mondo. Ma il bene più prezioso che si può acquistare, a quanto pare, è il diritto a non dover rendere conto. Né delle conseguenze sociali, in termini di diritti, giustizia, qualità della vita, conflitti, né dell'esaurimento di beni e risorse. Nessuna responsabilità nei confronti di chi non può beneficiarne oggi e di chi non ne troverà domani. Reso legittimo il derubare impunemente il prossimo e le generazioni future. Basta pagare. Ciò che ci governa è il principio che una volta morti noi, morti tutti. Finito il film.
Se intendiamo concedere il nostro beneplacito a ciò, dobbiamo anche, senza accampare scuse e fare parole inutili, individualmente assumerci la responsabilità morale che tale posizione comporta.
Molto semplice.
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