Con tutta la buona volontà,
arriva sempre il momento in cui ci si sorprende portatori di pregiudizi. Se accettate
l’invito a una cena di raccolta offerte per sostenere attività con cui coinvolgere i migranti,
potrebbe capitarvi di provare un inaspettato imbarazzo al momento di
presentarvi al prossimo. Nell'episodio specifico si è trattato di una cena con
un centinaio di partecipanti, di cui una trentina migranti soprattutto africani, una decina operatori indaffarati, e i restanti, infine, cittadini di buona volontà. Vivendo in una città piuttosto provinciale
e ad alto tasso di perbenismo, ho fatto una carrellata sui presenti di
carnagione bianca, quasi tutti sconosciuti e ho presunto, a causa di esperienze
pregresse, che probabilmente molti partecipassero per
presenzialismo e ho deciso che il mio interesse nei loro confronti, in quel frangente, poteva
essere ridotto al minimo essenziale. Primo pregiudizio. Grave a prescindere. Quindi ho rivolto la
mia attenzione alle persone dalla pelle nera o comunque scura e dai tratti
somatici esotici. I migranti. Secondo pregiudizio. Improvvisamente ho
riflettuto sul fatto che forse l’uomo nero cui mi sono ritrovata vicino, e che
stavo per salutare con cordialità ospitale, avrebbe potuto benissimo essere un italiano
dalla nascita, il marito di un’italiana, un libero professionista affermato della città, o, ancora, un inglese, un francese, un americano, e, perché no, un
astronauta o uno chef sensibile al tema dei diritti umani. È andata che l’ho salutato con un salve e basta. Mi sono bloccata, mi sono sentita
ridicola, stupida, mediocre. Incastrata nei luoghi comuni.
Poi ci si è seduti per mangiare.
Una quindicina di tavoli lunghi. Ho evitato i posti liberi ai tavoli solo di
bianchi, notando che occupavano circa metà della sala. Non ho trovato posto in
quelli solo di africani perché si erano stipati aggiungendo sedie, anch'essi
secondo un naturale istinto di gregge. Alla fine ho scelto un tavolo vuoto
lasciando al prossimo la scelta se unirsi, andando a riempire i posti vacanti, o
meno. Il risultato è stato un tavolo con quattro donne italiane, un uomo
pakistano, uno afgano, uno non me lo ricordo, e un tredicenne della Sierra Leone. Imbarazzi, sorrisi, presentazioni, e gentilezza reciproci.
Pensieri in ordine sparso? Non ne
ricorderò mai i nomi. Ci sono solo un paio di adolescenti, che strano. Mi
piacerebbe scrivere qualcosa con loro. Perché la maggior parte delle persone ha
paura di mescolare i popoli? La gioia della promiscuità. Lo ripeto, una delle
cause principali del razzismo è l’invidia. Il menù è perfetto e sintetico:
focaccia, torta verde, piatto con tanto riso e un pezzo di pollo o
verdure per i vegetariani, crostata in chiusura. Liguria e Africa. Lista delle bevande: acqua, vino rosso,
vino bianco, birra, coca cola, aranciata. Se il ragazzone del tavolo a fianco si
è bevuto tre bicchieri di rosso ancora prima di iniziare a mangiare, o ignora i
dettami della propria religione o è cristiano o tutto l'elenco dei motivi possibili. Ma quanto sono belle queste
donne. Fa un gran caldo qua dentro. Chissà cosa stanno pensando. A quanto pare
non si può prescindere dal colore della pelle.
Durante la serata sono state
lette alcune poesie e una giovane ballerina bianca le ha accompagnate danzando con grazia e decisione.
Uomini africani la guardavano con occhi antichi e attenti. Cosa stavano
pensando le donne africane?
Prima del dolce sono uscita a
fumare. Ho sceso i pochi scalini all'ingresso della sala mente un gruppo di
africani rientrava. Contatto di braccia, pelle, vocaboli sconosciuti. La
piacevole sensazione di risalire controcorrente il flusso della vita.
Al termine della cena, un bianco
e un nero hanno suonato i djembè. Alcuni uomini africani hanno iniziato a
danzare. Benché si tratti dell’unica musica che mi fa ballare, sono rimasta
inchiodata alla sedia. Nessuna donna africana si era alzata per partecipare. Ho
rispettato quella che era una convenzione senza conoscerla e non mi sono mossa. Dopo una
mezz'ora hanno iniziato anche loro, che ero già in procinto di andare via, giacca e
borsa in mano, sulla porta. Allora ho posato tutto su una sedia e, senza
pensarci su, ho raggiunto il gruppo danzante. Un ragazzo africano mi ha preso le mani e ha ballato con me e
alla fine del pezzo mi ha detto, brava. Gli ho risposto grazie e me ne sono
andata a dormire con un sorriso stampato
in faccia.
Forse basterebbe mettersi in cerchio ad ascoltare tamburi.
Forse basterebbe mettersi in cerchio ad ascoltare tamburi.
27 maggio 2017
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