mercoledì 31 maggio 2017

PREGIUDIZI

Con tutta la buona volontà, arriva sempre il momento in cui ci si sorprende portatori di pregiudizi. Se accettate l’invito a una cena di raccolta offerte per sostenere attività con cui coinvolgere i migranti, potrebbe capitarvi di provare un inaspettato imbarazzo al momento di presentarvi al prossimo. Nell'episodio specifico si è trattato di una cena con un centinaio di partecipanti, di cui una trentina migranti soprattutto africani, una decina operatori indaffarati, e i restanti, infine, cittadini di buona volontà. Vivendo in una città piuttosto provinciale e ad alto tasso di perbenismo, ho fatto una carrellata sui presenti di carnagione bianca, quasi tutti sconosciuti e ho presunto, a causa di esperienze pregresse, che probabilmente molti partecipassero per presenzialismo e ho deciso che il mio interesse nei loro confronti, in quel frangente, poteva essere ridotto al minimo essenziale. Primo pregiudizio. Grave a prescindere. Quindi ho rivolto la mia attenzione alle persone dalla pelle nera o comunque scura e dai tratti somatici esotici. I migranti. Secondo pregiudizio. Improvvisamente ho riflettuto sul fatto che forse l’uomo nero cui mi sono ritrovata vicino, e che stavo per salutare con cordialità ospitale, avrebbe potuto benissimo essere un italiano dalla nascita, il marito di un’italiana, un libero professionista affermato della città, o, ancora, un inglese, un francese, un americano, e, perché no, un astronauta o uno chef sensibile al tema dei diritti umani. È andata che l’ho salutato con un salve e basta. Mi sono bloccata, mi sono sentita ridicola, stupida, mediocre. Incastrata nei luoghi comuni.

Poi ci si è seduti per mangiare. Una quindicina di tavoli lunghi. Ho evitato i posti liberi ai tavoli solo di bianchi, notando che occupavano circa metà della sala. Non ho trovato posto in quelli solo di africani perché si erano stipati aggiungendo sedie, anch'essi secondo un naturale istinto di gregge. Alla fine ho scelto un tavolo vuoto lasciando al prossimo la scelta se unirsi, andando a riempire i posti vacanti, o meno. Il risultato è stato un tavolo con quattro donne italiane, un uomo pakistano, uno afgano, uno non me lo ricordo, e un tredicenne della Sierra Leone. Imbarazzi, sorrisi, presentazioni, e gentilezza reciproci.

Pensieri in ordine sparso? Non ne ricorderò mai i nomi. Ci sono solo un paio di adolescenti, che strano. Mi piacerebbe scrivere qualcosa con loro. Perché la maggior parte delle persone ha paura di mescolare i popoli? La gioia della promiscuità. Lo ripeto, una delle cause principali del razzismo è l’invidia. Il menù è perfetto e sintetico: focaccia, torta verde, piatto con tanto riso e un pezzo di pollo o verdure per i vegetariani, crostata in chiusura. Liguria e Africa. Lista delle bevande: acqua, vino rosso, vino bianco, birra, coca cola, aranciata. Se il ragazzone del tavolo a fianco si è bevuto tre bicchieri di rosso ancora prima di iniziare a mangiare, o ignora i dettami della propria religione o è cristiano o tutto l'elenco dei motivi possibili. Ma quanto sono belle queste donne. Fa un gran caldo qua dentro. Chissà cosa stanno pensando. A quanto pare non si può prescindere dal colore della pelle.

Durante la serata sono state lette alcune poesie e una giovane ballerina bianca le ha accompagnate danzando con grazia e decisione. Uomini africani la guardavano con occhi antichi e attenti. Cosa stavano pensando le donne africane?

Prima del dolce sono uscita a fumare. Ho sceso i pochi scalini all'ingresso della sala mente un gruppo di africani rientrava. Contatto di braccia, pelle, vocaboli sconosciuti. La piacevole sensazione di risalire controcorrente il flusso della vita.

Al termine della cena, un bianco e un nero hanno suonato i djembè. Alcuni uomini africani hanno iniziato a danzare. Benché si tratti dell’unica musica che mi fa ballare, sono rimasta inchiodata alla sedia. Nessuna donna africana si era alzata per partecipare. Ho rispettato quella che era una convenzione senza conoscerla e non mi sono mossa. Dopo una mezz'ora hanno iniziato anche loro, che ero già in procinto di andare via, giacca e borsa in mano, sulla porta. Allora ho posato tutto su una sedia e, senza pensarci su, ho raggiunto il gruppo danzante. Un ragazzo africano mi ha preso le mani e ha ballato con me e alla fine del pezzo mi ha detto, brava. Gli ho risposto grazie e me ne sono andata a dormire con un sorriso stampato in faccia.
Forse basterebbe mettersi in cerchio ad ascoltare tamburi.

27 maggio 2017

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