Ho letto dell’uscita, la prossima estate, del secondo romanzo di Arundhati
Roy. S’intitola "Il Ministero della felicità assoluta" e vedrà la
luce vent'anni dopo "Il dio delle piccole cose", il suo esordio
narrativo che le è valso il Premio Booker nel 1997. Vent'anni durante i quali si è dedicata con fervore all'informazione
di alto livello attraverso inchieste e saggi. Attenta alla realtà sociale
e politica del proprio Paese, l’India, e partendo da essa, con forte e
contagioso trasporto, ha scritto e scrive di chi siamo tutti noi su questo
pianeta e quali sono le dinamiche che decidono le umane sorti, mettendoci di
fronte all'imperativo categorico di un’assunzione di responsabilità individuale
e quindi collettiva. Leggere i suoi libri, forti di un’estrema chiarezza
espositiva unita a una profonda capacità di trovare il filo rosso che unisce
gli eventi, è un’esperienza formativa, culturale, e filosofica. Fa bene
all'anima sentire quanta energia trasuda dalle sue parole e viene una gran
voglia di esserne contagiati al punto da riuscire a fare altrettanto. Almeno
per me è così.
Quindi, pur prediligendo la Roy giornalista, non vedo l’ora di poter
leggere il suo nuovo romanzo, a proposito del cui titolo vorrei raccontare un
aneddoto. Cercando su internet per quale casa editrice italiana uscirà "Il
Ministero della suprema felicità", mi sono imbattuta in un altro libro:
"Il Ministero della felicità". Chiaramente incuriosita sono andata a
vedere. L’autore Sabino Acquaviva, sociologo, docente all'Università di Padova
e di Trento, prolifico autore di pubblicazioni scientifiche, ha pubblicato nel
2011 per Cairo Editore questo romanzo di fantascienza ambientato in Italia. Ne
ho letto la trama, dopo aver scorso i titoli delle sue varie pubblicazioni e
il risultato è che mi è venuta voglia di leggerlo. Apprezzo quando capitano
queste cose.
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