giovedì 11 agosto 2016

HO AVUTO PAURA


L’uomo è mio padre. Io sono io ma nata in una vita diversa.
C’è una grande stanza dove sto con altre donne di età diverse e parecchi bambini.  Percepisco qualcosa di sbagliato nella situazione anche se l’atmosfera in un primo momento pare tranquilla e il luogo accogliente. Un’ampia vetrata che raggiunge il soffitto dà su un giardino alberato. Mi avvicino, le porte finestre sono sigillate. Fa molto caldo. Guardo intorno. Non c’è traccia di cibo né acqua in giro. Oltre al lato con la vetrata ci sono tre pareti senza sbocchi a parte la porta d’ingresso.
Il rumore di una serratura, la porta si socchiude, una voce mi chiama, esco dalla stanza. Mio padre mi porge un catino in acciaio piuttosto profondo coperto da un telo ripiegato. Ne scosta un lembo e mi indica il contenuto: una lama da rasoio lunga una ventina di centimetri con l’impugnatura rivestita di cuoio. Mi dice sottovoce «Sai qual è il tuo compito.» e mi sospinge verso la porta per farmi rientrare nella stanza. Mi irrigidisco, i piedi incollati al pavimento, il corpo obliquo in avanti per la pressione della sua mano. Si para di fronte a me e afferra i miei occhi con i suoi  «Devi farlo. Se non lo fai molte persone moriranno e tra queste molte che ami. Vuoi questa colpa sulla coscienza? Non credo. Quindi va’ e uccidi tre donne e tre bambini e raccogli il loro sangue qui dentro.» scandisce scuotendo il catino che stringo al petto. L'assurdità del male. Non aspetta risposta o reazione e mi spinge all'interno della stanza richiudendo la porta alle mie spalle. Nemmeno per un secondo penso che, scoperte le mie intenzioni, tutte quelle persone potrebbero attaccarmi e avere la meglio. Penso però che ho una gran paura. Visto che sono io ma nata in una vita diversa, non ho idea di chi siano le persone che amo e che morirebbero se non ubbidissi, resta il fatto che in questa vita altra ci sono da qualche parte persone che amo e che devo proteggere. Ma non so chi siano, è come se fossi colpita da amnesia, forse la parte di me cosciente nel sogno accorre in mio aiuto, c’è solo vuoto nei ricordi, forse è tutta una messa in scena. Stanno bluffando, non hanno niente in mano. Non hanno nessuno in mano. Mi accorgo che mio padre è diventato plurale, è diventato un loro. Ecco forse posso rigirarmi e puntare la lama verso ciò che ci aspetta fuori dalla porta. Dobbiamo andarcene di qua. Se non io qualcun altro entrerà per uccidere. Non so perché, non capisco cosa succede. Solo un istinto di fuga verso la salvezza. I secondi scorrono rapidi e pregni, la mia immobilità attira l’attenzione. Ho paura perché so che devo prendere una decisione in fretta. Sento che qualcuno o qualcosa sta avendo la meglio su me, mi sta dominando, mi ha messo in una situazione che non appartiene alla vita che conosco, ed esito. Non sapere, non capire, non ricordare fa montare una frustrazione furibonda. Chi è il nemico? Impazzisco. Forse devo uccidere tre donne e tre bambini e raccoglierne il sangue? Forse questa azione è decisiva per un corso positivo degli eventi? Eventi che non conosco. Come posso decidere senza sapere? Mi prende il terrore perché so con certezza di non essere io la persona che pensa una cosa tanto assurda, riconosco il corpo, le mani, mi guardo riflessa in uno specchio. Sono io e ricordo che io non avrei avuto dubbi, appena visto il rasoio lo avrei impugnato con fermezza contro l’ordine assurdo, invece per alcuni interminabili secondi un’altra me ha preso in considerazione di poter uccidere innocenti per salvare altri innocenti. Cosa accade nel cervello quando si è soggiogati? Quando si perde ogni punto di riferimento. Quando ci vengono iniettati diffidenza, paura, senso di colpa. Quando ci viene sottratta la possibilità di sopravvivenza. Cosa accade? Di cosa siamo capaci quando le nostre pulsioni peggiori hanno il beneplacito da parte dell’ordine costituito, in qualunque forma esso si manifesti? Quando ormai abbiamo assimilato un linguaggio stuprato.
Mi accuccio appoggiando il catino a terra, le donne si avvicinano a cerchio, e ne rivelo il contenuto. Retrocedono di un passo, mi guardano incredule, poi si accucciano anche loro. E aspettiamo.

Mi sveglio e rimango con un dolore in corpo.

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