A proposito di giornate della memoria, leggere che in diversi Paesi s’intende confiscare ai profughi denaro e
beni che eccedono di poco i mille euro fa scorrere un brivido lungo la schiena.
Certo, solo a titolo di cauzione, con rilascio di ricevuta, come in
Svizzera, dove da anni si applica tale procedura anche per eventuali spese di
rimpatrio qualora la domanda d’asilo venga respinta. Per le medesime ragioni viene
trattenuto per dieci anni il 10% dello
stipendio dello straniero che trova impiego, quale rimborso delle spese di
apertura procedure d’asilo e spese di sostentamento.
In Danimarca, per accedere alla disoccupazione, non è possibile avere
beni oltre i 1350 euro, quindi la recente decisione di confiscare ai rifugiati
di beni e valori eccedenti tale cifra sarebbe un ovvio adeguamento a quelle che
sono le condizioni dei propri cittadini.
È giusto contribuire alle spese di uno stato che assicura un welfare,
è giusto restituire prestiti per lo studio una volta ottenuto un lavoro, è
giusto partecipare alle spese di accoglienza se si è nelle condizioni di
poterlo fare; a patto che il welfare sia
reale ed equo, che le detrazioni dallo stipendio permettano di mantenere un
livello di vita decoroso, che l’accoglienza sia tale e porti a una reale
integrazione.
Ed è giusto non adagiarsi nell'assistenzialismo. Perché porta alla
depressione e va a discapito della comunità.
Fatte queste considerazioni, resta il brivido. Perché a fianco di quello che viene definito
un legittimo contributo economico si erigono muri e barriere di ogni sorta.
Sto pensando ad Ausmerzen, il libro resoconto di Marco Paolini sulle
dinamiche sociali che hanno reso possibile arrivare alla soluzione finale nei più
assoluti silenzio e noncuranza.
Un passo alla volta, come se tutto fosse normale.
p.s. leggetelo!
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