In questi ultimi giorni ho scritto sul mio notes alcuni post, poi ho letto su Pagina99 quest'articolo di Helena Janeczek che ben amalgama e comunica in modo chiaro e sintetico le riflessioni che io avevo espresso in tre diversi articoli. Per cui, onore al buon giornalismo, ve lo propongo.
Profughi | Non
solo le confische dei beni ai rifugiati
e
una politica da spilorci. La pezza è il principio
guida
della visione europea, drammatica e grottesca
ai
confini
dell’Europa
i
pezzenti siamo noi
HELENA JANECZEK
Due donne chiacchierano di fronte al mare di
un’isoletta greca. «Ci daranno il Nobel per la
pace», dice una. «Perché?» domanda l’altra. «Perché
salviamo i profughi, ma poi ci espellono da Schengen». — «Perché?» — «Non
li lasciamo affogare». L’iperbole satirica di questa vignetta
sintetizza l’aria che tira in Europa. Lo
scaricabarile, il mercanteggiamento con qualche sbrocco degno
del ragionier Fantozzi e qualche compromesso, tanto per mettere una pezza. La
pezza è il principio-guida della politica europea,
cosa drammatica e grottesca. Di fronte ai profughi e migranti, noi che
viviamo meglio e siamo a casa nostra, stiamo
facendo una figura da pezzenti. Prendiamo
Danimarca, Svizzera, Baviera e Baden-Württemberg che hanno deciso la confisca
dei beni dei rifugiati per sostenere l’onere di mantenerli. Che esempio danno quelle
regioni dove il benessere e il lavoro rimangono diffusi
sopra la media, al resto del continente che sta peggio? Cosa devono
pensare amministratori e abitanti delle isole egee
quando il Landtag della terra nativa di Wolfgang
Schäuble vara una simile misura?
Devono concludere che sono più vicini a
coloro che ripescano dal mare, vicini in tutti sensi,
di quanto siano considerati da un'Europa più
ispirata allo sceriffo di Nottingham che ai padri del Manifesto di Ventotene?
E gli ungheresi o gli slovacchi portati a
giustificazione che una linea più conciliante con la Grecia
sarebbe stata insostenibile dinanzi ai membri
ancora più poveri, perché dovrebbero avere cedimenti sui ponti levatoi alzati
e l’accoglienza
zero? La questione delle grandi migrazioni non sarebbe
la probabile botta finale al progetto costruito a partire dal dopoguerra se non
si stesse
abbattendo su un’Europa così fragile. Lacerata e infragilita a partire dalle
politiche che hanno trasformato la culla della
socialdemocrazia nell'interprete più inerte del socialismo dei
banchieri. Più degli Stati Uniti sotto la guida di Obama, ma forse persino
un governo
repubblicano avrebbe preso misure superiori per uscire dalla crisi rispetto
a Bruxelles: le leve concesse tardi e obtorto collo a
Draghi e poi nient’altro che tasse, tagli
e pareggi di bilancio. Come può l’Europa dominata da
una visione così stretta pensare di dimostrarsi all'altezza
di una sfida enorme che la raggiunge dall'esterno? Eppure quella
sfida, se affrontata con successo, confermerebbe il
ruolo di primo attore che pure l’Europa vorrebbe
avere. Vorrebbe, ma non può, come sta dimostrando: reagisce giorno dopo
giorno, cambia idea in balia del cambiamento degli umori,
si barcamena come uno dei gommoni stracarichi che fluttua tra le onde,
nella speranza che non saltino le pezze
appiccicate sopra, almeno per oggi. Le
posture dei vari attori sono complementari, tutte
da struzzo. C’è lo struzzo conservatore che
vorrebbe venire a capo del problema senza toccare lo status quo, c’è lo struzzo
reazionario convinto che la risposta alla feroce globalizzazione sia tornare
piena- mente padroni a casa nostra, c’è lo
struzzo aggrappato all'idea debole di un
multiculturalismo carino come una cena al ristorante etnico.
Vince lo struzzo reazionario, l’unico energico e aggressivo nella reazione di
difesa, lo struzzo buonista è malconcio dopo i
fatti di Colonia. Vigono
in ogni caso tabù e negazione. Perché puoi anche riempire di denaro gli amici alla
Erdogan, o chiudere le frontiere, ripristinare la sovranità, adottare
protezionismi, ma non puoi più impedire alle parti più
disastrate del mondo di essere connesse in mille
modi a quelle dove si sta meglio. Quindi non puoi
fermare quella gente se non davvero con le
armi con cui oltretutto finisci facilmente per
sparare sul paese confinante. Puoi però gestire
il flusso nel modo più deciso e razionale oltreché consono a quelli che
sarebbero i tuoi principi. Sviluppare un piano
comunitario, deliberare un finanziamento della Bce per
incentivare i paesi membri più in difficoltà a
farne parte. Allestire strutture nei campi oltremare per individuare chi
richiede un aiuto prioritario (le famiglie), farsi
carico del trasporto tagliando fuori le
organizzazioni criminali, creare alloggi, scuole e tutto
quanto è necessario, competenze (mediatori, interpreti,
psicologi ecc.) sì, lavoro. L’urgenza del problema sarebbe un’o c c a
s i one per spingere l’Europa a investire in se stessa.
Ma se investire significa indebitarsi e condividere
quel debito siamo nel regno dell’inconcepibile. L’Europa soffre di una mancanza di
fiducia e generosità verso se medesima, prima
ancora che verso gli altri, che sembra destinarla a crepare d’avarizia. È una
cosa che fa male perché sul lungo periodo sarebbe capace di trasformare quei
nuovi arrivati in cittadini. L’Europa
unita ha prodotto ragazzi aperti e preparati, resi più aperti e
consapevoli dalla necessità di andare altrove per
percorrere la propria strada, ragazzi come quelli
massacrati al Bataclan tra cui Valeria Solesin, e
come Giulio Regeni torturato a morte da un
regime cui affidiamo interessi di stabilità e scambio
commerciale. Il giovane accademico non si sentiva diverso dai giovani
attivisti egiziani che frequentava per le sue
ricerche, salvo per il privilegio di un’origine. La
vedevano così anche coloro che, infischiandosi del suo
passaporto, gli hanno riservato lo stesso trattamento.
Helena Janeczek è nata a Monaco di
Baviera in una famiglia ebreo-polacca e vive in Italia da oltre
trent’anni. Ha scelto l’italiano come lingua letteraria per opere di
narrativa che spesso indagano il rapporto con la memoria
storica del secolo passato. È autrice di
Lezioni di tenebra (Guanda),
Cibo (Mondadori), Le rondini di
Montecassino (Guanda). Ha co-fondato il blog collettivo Nazione
Indiana, collaborato con Nuovi Argomenti, Alfabeta2, Lo Straniero e
scritto per giornali come La Repubblica, L’Unità, Il
Sole 24 Ore
e altri.
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