domenica 21 febbraio 2016

UNA MISERA EUROPA

In questi ultimi giorni ho scritto sul mio notes alcuni post, poi ho letto su Pagina99 quest'articolo di Helena Janeczek che ben amalgama e comunica in modo chiaro e sintetico le riflessioni che io avevo espresso in tre diversi articoli. Per cui, onore al buon giornalismo, ve lo propongo.



Profughi | Non solo le confische dei beni ai rifugiati
e una politica da spilorci. La pezza è il principio
guida della visione europea, drammatica e grottesca
ai confini
dell’Europa
i pezzenti siamo noi
HELENA JANECZEK
Due donne chiacchierano di fronte al mare di un’isoletta greca. «Ci daranno il Nobel per la pace», dice una. «Perché?» domanda l’altra. «Perché salviamo i profughi, ma poi ci espellono da Schengen». — «Perché?» — «Non li lasciamo affogare». L’iperbole satirica di questa vignetta sintetizza l’aria che tira in Europa. Lo scaricabarile, il mercanteggiamento con qualche sbrocco degno del ragionier Fantozzi e qualche compromesso, tanto per mettere una pezza. La pezza è il principio-guida della politica europea, cosa drammatica e grottesca. Di fronte ai profughi e migranti, noi che viviamo meglio e siamo a casa nostra, stiamo facendo una figura da pezzenti. Prendiamo Danimarca, Svizzera, Baviera e Baden-Württemberg che hanno deciso la confisca dei beni dei rifugiati per sostenere l’onere di mantenerli. Che esempio danno quelle regioni dove il benessere e il lavoro rimangono diffusi sopra la media, al resto del continente che sta peggio? Cosa devono pensare amministratori e abitanti delle isole egee quando il Landtag della terra nativa di Wolfgang Schäuble vara una simile misura?
Devono concludere che sono più vicini a coloro che ripescano dal mare, vicini in tutti sensi, di quanto siano considerati da un'Europa più ispirata allo sceriffo di Nottingham che ai padri del Manifesto di Ventotene? E gli ungheresi o gli slovacchi portati a giustificazione che una linea più conciliante con la Grecia sarebbe stata insostenibile dinanzi ai membri ancora più poveri, perché dovrebbero avere cedimenti sui ponti levatoi alzati e l’accoglienza zero? La questione delle grandi migrazioni non sarebbe la probabile botta finale al progetto costruito a partire dal dopoguerra se non si stesse abbattendo su un’Europa così fragile. Lacerata e infragilita a partire dalle politiche che hanno trasformato la culla della socialdemocrazia nell'interprete più inerte del socialismo dei banchieri. Più degli Stati Uniti sotto la guida di Obama, ma forse persino un governo repubblicano avrebbe preso misure superiori per uscire dalla crisi rispetto a Bruxelles: le leve concesse tardi e obtorto collo a
Draghi e poi nient’altro che tasse, tagli e pareggi di bilancio. Come può l’Europa dominata da una visione così stretta pensare di dimostrarsi all'altezza di una sfida enorme che la raggiunge dall'esterno? Eppure quella sfida, se affrontata con successo, confermerebbe il ruolo di primo attore che pure l’Europa vorrebbe avere. Vorrebbe, ma non può, come sta dimostrando: reagisce giorno dopo giorno, cambia idea in balia del cambiamento degli umori, si barcamena come uno dei gommoni stracarichi che fluttua tra le onde, nella speranza che non saltino le pezze appiccicate sopra, almeno per oggi. Le posture dei vari attori sono complementari, tutte da struzzo. C’è lo struzzo conservatore che vorrebbe venire a capo del problema senza toccare lo status quo, c’è lo struzzo reazionario convinto che la risposta alla feroce globalizzazione sia tornare piena- mente padroni a casa nostra, c’è lo struzzo aggrappato all'idea debole di un multiculturalismo carino come una cena al ristorante etnico. Vince lo struzzo reazionario, l’unico energico e aggressivo nella reazione di difesa, lo struzzo buonista è malconcio dopo i fatti di Colonia. Vigono in ogni caso tabù e negazione. Perché puoi anche riempire di denaro gli amici alla Erdogan, o chiudere le frontiere, ripristinare la sovranità, adottare protezionismi, ma non puoi più impedire alle parti più disastrate del mondo di essere connesse in mille modi a quelle dove si sta meglio. Quindi non puoi fermare quella gente se non davvero con le armi con cui oltretutto finisci facilmente per sparare sul paese confinante. Puoi però gestire il flusso nel modo più deciso e razionale oltreché consono a quelli che sarebbero i tuoi principi. Sviluppare un piano comunitario, deliberare un finanziamento della Bce per incentivare i paesi membri più in difficoltà a farne parte. Allestire strutture nei campi oltremare per individuare chi richiede un aiuto prioritario (le famiglie), farsi carico del trasporto tagliando fuori le organizzazioni criminali, creare alloggi, scuole e tutto quanto è necessario, competenze (mediatori, interpreti, psicologi ecc.) sì, lavoro. L’urgenza del problema sarebbe un’o c c a s i one per spingere l’Europa a investire in se stessa. Ma se investire significa indebitarsi e condividere quel debito siamo nel regno dell’inconcepibile. L’Europa soffre di una mancanza di fiducia e generosità verso se medesima, prima ancora che verso gli altri, che sembra destinarla a crepare d’avarizia. È una cosa che fa male perché sul lungo periodo sarebbe capace di trasformare quei nuovi arrivati in cittadini. L’Europa unita ha prodotto ragazzi aperti e preparati, resi più aperti e consapevoli dalla necessità di andare altrove per percorrere la propria strada, ragazzi come quelli massacrati al Bataclan tra cui Valeria Solesin, e come Giulio Regeni torturato a morte da un regime cui affidiamo interessi di stabilità e scambio commerciale. Il giovane accademico non si sentiva diverso dai giovani attivisti egiziani che frequentava per le sue ricerche, salvo per il privilegio di un’origine. La vedevano così anche coloro che, infischiandosi del suo passaporto, gli hanno riservato lo stesso trattamento.




Helena Janeczek è nata a Monaco di Baviera in una famiglia ebreo-polacca e vive in Italia da oltre trent’anni. Ha scelto l’italiano come lingua letteraria per opere di narrativa che spesso indagano il rapporto con la memoria storica del secolo passato. È autrice di
Lezioni di tenebra (Guanda), Cibo (Mondadori), Le rondini di Montecassino (Guanda). Ha co-fondato il blog collettivo Nazione Indiana, collaborato con Nuovi Argomenti, Alfabeta2, Lo Straniero e scritto per giornali come La Repubblica, L’Unità, Il Sole 24 Ore
e altri.

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