Una decina di giorni fa, alle due
del pomeriggio, con una temperatura percepita di 40 gradi, sono andata a
guardare gli animali del circo vicino al Parco urbano di Imperia.
Ho chiesto il permesso al
responsabile e sono andata sul retro del tendone, tra roulotte, gabbie e
recinti.
Ho chiacchierato con i lavoranti,
quasi tutti di origine indiana o stati limitrofi, persone che stanno anni senza
vedere i loro cari e considerano ciò normalità.
C’erano quattro dromedari, due
struzzi, un asino, tre pony, un paio di bufali e altrettanti lama, una zebra, una giraffa, una
tigre, due leoni e sei leonesse.
Perché andare a vederli? Si sa
che fa male all'anima o, almeno, dovrebbe. Mi sono semplicemente detta vengo a
soffrire un po’ visto che voi soffrite sempre. Serve a poco ma sottrarsi
significa facilitare rimozione e oblio.
Non c’è spazio per voi, non c’è
spazio per tutti gli altri animali che ancora godono di qualcosa di simile alla
libertà, e non c’è soluzione a questo. Perché non c'è più spazio per l’animale
uomo (non che abbia meriti particolari per averne maggior diritto) e quel che resta lo si accaparra in pochi, perché, checché ne dicano, si sa bene che
per quanto sembri ancora molto, in realtà è meglio accantonarne per i tempi
magri a venire.
Per cui me ne sono stata in piedi
sotto la canicola polverosa a guardarvi negli occhi. E nei vostri occhi chiaro
e lampante il nostro destino.
2 luglio 2015
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