giovedì 1 maggio 2014

SUPERMERCATI COOP

La sostenibilità dal punto di vista ecologico e sociale è parte integrante dell’attività commerciale di Coop e rappresenta una componente essenziale del successo nel tempo dell’azienda” 

Questa la dichiarazione d’intenti. 
E decine le iniziative in tal senso: dalla posizione prudente nei confronti delle coltivazioni ogm, al sostegno di campagne per l’acqua bene comune, dal tonno pescato a canna (Yellowfin fiorfiore coop), ai prodotti da commercio equo e solidale, dalle bat box (case per pipistrelli) alle uova marchio coop di galline non allevate in gabbia, dal premio ricevuto da Compassion World Farming nel 2012 per il sostegno a politiche migliorative del benessere degli animali da reddito nella loro filiera, alla tracciabilità dei prodotti. 

Già su ognuno di questi punti si potrebbe dibattere per anni, ma, ad esempio, se il fine è educare alla consapevolezza, al limite mi vendi solo il tonno pescato a canna e non anche tutti gli altri ben disposti a scaffale, e inizi a togliere le confezioni di minestre in plastica e cartone dal reparto del fresco. 
Quanto al premio di Compassion World Farming, l’han preso pure Amadori, McDonald’s, Unilever… e non credo sia necessario commentare. E in ogni caso, è proprio la parola compassione che non va. L’animalismo compassionevole. Certo, una dottrina cui va riconosciuto il merito di aver sottolineato l’esistenza di elementi comuni tra gli animali umani e i non umani, nello specifico la capacità di provare dolore, ma che non pone una base per il riconoscimento dei diritti degli animali non umani, anzi in qualche modo la ostacola, essendo appunto fondata sul principio antropocentrico della “compassione”. La simpatia o il sentir di dover essere pietosi rappresentano un’etica del dovere che è ben lungi da un’etica dei diritti.
Si sono scomodati parecchi a discutere della questione di questi diritti: da Cartesio a Voltaire, da Hume a Kant, da Schopenauer a Singer, per citarne alcuni.. 
L’umano compassionevole è colui che inorridisce per la crudeltà sugli animali da affezione, vuole che la sperimentazione sia fatta con l’anestesia e non più tagliando le corde vocali agli animali (prassi usata regolarmente fino all’altro ieri per non disturbare orecchie e coscienze con i versi di dolore degli animali da laboratorio), e che le uova che mangia siano di galline allevate a terra. Gli è sufficiente la scritta rassicurante sulla confezione del prodotto, il verde del praticello sul cartone che avvolge le uova, e lo sguardo ammirato di chi in coda alla cassa osserva il contenuto del suo carrello zeppo di confezioni certificate etiche, biologiche e non crudeli. Un giretto in un allevamento gli sarebbe utile, e senza andare sul pesante, anche solo di un capannone di ovaiole senza gabbie. “A terra” dovrebbe significare un’altra cosa. 
La compassione non basta e può essere controproducente.


Ma non voglio allontanarmi da ciò di cui volevo scrivere inizialmente. 
Leggo in una delle pagine web di Coop: 
 Coop lavora in modo mirato alla gestione di rifiuti secondo il principio: evitare – riciclare – smaltire. Nella categoria dell’evitare rientra, tra l’altro, la riduzione dei materiali da imballaggio… eccetera, eccetera, eccetera.

La mia domanda è molto semplice: Perché metà del reparto salumi e formaggi, cui normalmente si fa la coda con il proprio numerino, è stato adibito ad imballaggio? 
Mi spiego: nei tre centri Coop che ho visto è stata acquistata un macchinario che sforna porzioni da un etto o poco più di affettati e formaggi in vaschette di plastica. Una solerte commessa ci si dedica alacremente, rimpinzando il marchingegno con salami, mortadella, prosciutti, qualità varie di formaggi, e appunto vaschette di plastica, poi riempie a raffica un espositore con le decine e decine di confezioni che ne fuoriescono. Se al banco si chiede del prosciutto, la sua collega indica con lo sguardo verso il suddetto espositore, come a dire, guardi che lì son già pronti, perché viene a chiederlo a me? 

Ecco, la filosofia del già pronto. Del rapido e pratico. Delle quattro fette che pesano quanto la plastica che le contiene. Scusate, ma me ne frego se è riciclata. 

È questa l’etica? È questa la sensibilizzazione del consumatore? 
È questa la strada che intendiamo percorrere?

marzo 2014

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