Osservo le immagini della manifestazione per il 1º maggio a Treviso: imprenditori e operai a braccetto.
Il primo pensiero è che, forse, s’inizia a capire.
Le parole di sdegno per la situazione critica in cui ci troviamo sono ormai all'ordine del giorno. Ciò che mi sconcerta è il percepire una rabbia stupita. Esponenti di amministrazioni comunali e provinciali che lamentano tagli e bilanci in passivo, aziende sanitarie in tilt, imprenditori, cittadini comuni. Tutti che cascano dal pero.
L’arroganza di chi non ha voluto sapere, di chi non vuole sapere finché il portafogli è colmo. Di chi snobbava coloro che mettevano all’erta. Messe alla berlina le voci di quanti con scrupolo e onestà studiavano gli accordi economico-commerciali internazionali e paventavano le conseguenze future, ora presenti.
Allarmisti, nemici del progresso, pavidi oscurantisti. Così liquidati e persino derisi.
Mi fa (tristemente) sorridere sentire oggi pronunciare con enfasi parole come delocalizzazione, ristrutturazioni aziendali, beni comuni, bolle finanziarie, esternalizzazione dei costi, sanzioni commerciali, privatizzazione dei servizi (leggi monopoli) e via discorrendo. Come fossero termini dell'ultima ora.
Chi, anche solo quindici anni fa, provava a dibatterne nelle sedi preposte e con amici e conoscenti, veniva trattato come un alieno che parlasse un linguaggio incomprensibile. Che a uno fosse venuta la voglia o la curiosità di capire, invece no.
Più facile fare come tutti, come la maggioranza, arpionati alla poltrona sguazzando nell’ignoranza. Orecchie e naso tappati, occhi bendati e bocche raglianti: va tutto bene, i malanni sono passeggeri.
E ora scandalizzati a braccetto. Quelli che se la passano male con quelli che vedono sgretolarsi veloce un benessere considerato inattaccabile.
A braccetto come gli altri. Quelli che se la passano bene, anzi benissimo. Per nulla scandalizzati ma a sfregarsi lubrici le mani.
1 maggio 2013
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