venerdì 25 ottobre 2019

RIFLESSIONI SERALI SULLA FILANTROPIA


Crediamo che progredire significhi avere più dei nostri predecessori. Non riusciamo ad affrancarci da questa convinzione. Di fronte alle evidenti e dilaganti ingiustizie e sofferenze, tutt'al più tacitiamo la nostra coscienza al pensiero di quel po' di filantropia nel mondo che mette una pezza qua e là. Ma la filantropia è siffatta per lasciare le cose come stanno: da una parte chi dà e dall'altra chi riceve. Nulla nella filantropia ha mai portato né porterà a un cambio di paradigma. Forse perché non abbiamo ben chiaro cosa significhi benessere degli altri, cosa sia il benessere degli altri. Per come ci muoviamo, continueranno a esistere gruppi di persone che daranno sostegno ad altre senza che venga messa in atto una strategia per far sì che diminuisca il numero di coloro cui è necessario dare. Lo stesso dicasi per la carità che esaurisce la propria funzione nel momento in cui viene esercitata. È il momento di dire basta. Il punto è che dal momento in cui nasciamo abbiamo dei debiti intrinseci l'uno con l'altro. Ognuno di noi è responsabile per ogni bambino morto per disidratazione, fame, annegato, saltato in aria. Ognuno di noi lo è per ogni conflitto in atto. Siamo responsabili in solidum per tutto quanto. Ma il massimo che riusciamo a fare è donare il corrispettivo di un paio di colazioni al bar. Dovremmo invece indignarci per ogni spot in cui ci chiedono due euro, raccontandoci la favola che due euro sono pochi per il singolo ma tanti singoli insieme possono fare la differenza. La differenza la farebbe insultare e mettere alle strette chi ci prende per i fondelli e dilapida milioni di euro per sovvenzioni a settori mortiferi. Chi incentiva il razzismo o le diversità quali che siano per dividere chi è sfruttato. Chi rende illegale rispondere alla propria coscienza aiutando chi chiede aiuto, riparo, cibo. Ovunque nel mondo proliferano leggi per impedire qualsiasi atto privato di solidarietà. L'unica identità che ci viene riconosciuta è quella in cui noi accettiamo di esistere per produrre, vendere e comprare. E trasformarci a nostra volta, come è, in prodotti. La povertà è la vergogna, è il tabù di questo millennio storto e malato. Su queste basi la storia dell'umanità è finita.

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