mercoledì 9 ottobre 2019

MARGA MEDIAVILLA VERSUS JOHN GRAY


Ho letto, entrambi sull'ultimo numero di luglio di Internazionale, l'articolo di John Gray sulle illusioni degli ambientalisti e quello di Marga Mediavilla in risposta a John Gray. Le posizioni sono opposte. Mentre leggevo il primo, ignara di quello successivo, avevo segnato a margine alcune considerazioni alcune delle quali ho poi in parte ritrovato, ben argomentate, nell'articolo di risposta. Allo stesso modo nell'articolo di Mediavilla ho trovato passaggi su cui discutere. Ritengo che entrambi dicano cose vere ma le loro visioni restano parziali. A mio parere i loro diversi punti di vista vanno considerati unitamente e possono essere complementari.
Con una buona dose di ragione Gray sottolinea l'illusorietà dell'efficacia delle misure, apparentemente drastiche, per la riduzione delle emissioni o l'azzeramento delle stesse entro il 2050 come proposto da alcuni Paesi dell'Unione sull'onda dei movimenti Fridays for Future e Extinction Rebellion. Inefficaci come come tutti i provvedimenti urgenti che puntualmente, come usanza ai summit, vengono differiti ai decenni successivi. Misure e provvedimenti che non tengono conto, ad esempio, di meccanismi, quali quelli di retroazione che possono amplificare (retroazione positiva o feedback positivo) o diminuire (retroazione negativa o feedback negativo) gli effetti di un cambiamento e che rispondono solo a dinamiche di convenienza elettorale.
Gli stravolgimenti ormai sono insiti nel sistema. Né cortei di protesta né summit alla mercé delle lobbies potranno mai determinare una soluzione degna di tal nome. Ciò non significa che possiamo allora fregarcene ma non possiamo nemmeno illuderci. Nostro malgrado, sit in, manifesti, raccolte di firme, in buona parte procurano solo autocompiacimento e non posseggono per un'intrinseca debolezza dei movimenti di massa la forza per scalzare il potere offrendo una meditata e concreta alternativa. Laddove la determinazione individuale si indebolisce nell'illusione di una maggiore forza collettiva, al venir meno dell'impeto trascinante di questa, essa rivela la propria debolezza. Abbracciati o nascosti dal fiume in piena, nel lasciarsi trascinare dalla corrente si rilassa il tono muscolare e si dimezza il potenziale d'impatto dei singoli, che se tale rimanesse, nel sommarsi determinerebbe una potenza finale nettamente superiore a quella normalmente riscontrabile nei movimenti di massa. La percezione di una distribuzione del pericolo e della responsabilità su tanti, fa sì che singolarmente si allenti l'impegno. Nella perdita d'identità si lascia spazio al nemico, quale che sia, ed è sufficiente una preda buttata nel mezzo della piazza per generare scompiglio, incertezza, disgregazione.
Il confine tra la forza derivante dalla condivisione di un obiettivo e la perdita della determinazione individuale necessaria a raggiungerlo, proprio a causa dell'affidarsi a un'entità più grande ma, di fatto, acefala e pertanto inesistente, è molto sottile.
Insomma, non c'è scampo? Dobbiamo dunque arrenderci a un futuro in cui pochi, nelle proprie ipertecnologiche torri protese verso il cielo o sepolte sotto terra, godranno di uno stile di vita degno e si compiaceranno di ammirare i resti della biodiversità in asettiche oasi e riserve, mentre il resto dell'umanità lotterà per la sopravvivenza? O possiamo e dobbiamo ambire a qualcosa di meglio?
Dal'altro canto attribuire però una sorta di pensiero magico agli ambientalisti, tacciandoli di scarso realismo, è eccessivo e offende chi tanto seriamente si dedica a cercare di risolvere le cose ed è doveroso difendere l'operato di chi tenta con i mezzi a disposizione di dare un impulso di movimento in direzione contraria alla tendenza dominante.
Ugualmente Gray ha ragione quando sottolinea che parlare di ambiente senza tener conto della situazione geopolitica mondiale è naïf. L'eccellente saggio di Leif Wenar affronta la questione in modo molto chiaro ed efficace. Ma Gray sbaglia, invece, quando afferma che l'abbandono dei combustibili fossili creerebbe solo disordini sociali su larga scala. Gli esempi che porta sono validi e certamente sarebbe necessario attraversare un periodo di assestamenti anche drammatici ma ciò non è prova che la transizione a un nuovo assetto energetico e sociale sia impossibile.
Inoltre l'utilizzo della tecnologia per migliorare la qualità della vita anziché per incentivare la produzione, nell'ottica di un'economia da stato stazionario, non ha senso solo per i miopi. Se a ciò si aggiunge il problema demografico, Mill diceva bene quando si augurava che i posteri accettassero di essere stazionari prima di essere costretti a diventarlo per necessità. Eppure, nella nostra vecchia Europa, mentre esecriamo che altrove si prolifichi a spron battuto perché consapevoli del danno inevitabile di una popolazione in crescita esponenziale, continuiamo a lamentarci della scarsa natalità nelle nostre nazioni e auspichiamo un'inversione di tendenza. Eppure una buona regola dovrebbe valere per tutti, a prescindere dall'origine geografico culturale. E, in ogni caso, come non mi stanco di affermare, le risorse sarebbero ancora sufficienti per tutti. Se però l'alternativa ai fossili implica automobili elettriche per la cui produzione serve il doppio dell'energia rispetto a una vettura convenzionale, estrazione di metallbiocarburantii rari per le batterie, o automobili a biofuel quindi monoculture per biocarburanti, e se per far crescere il Pil si incendia e deforesta per coltivare mangimi per le nostre amate bistecche, allora siamo punto e a capo. Va interdetto tutto ciò che si accompagna all'aggettivo intensivo. Colture ed allevamento intensivi in primis. Ma, a quanto pare, conta solo aumentare le esportazioni. L'unico dictat resta accumulare ricchezza. Ribaltare tale sistema, Gray non ha torto, scatenerebbe disordini e conflitti ma questi già ci sono e non potranno che aumentare di intensità e diffusione. Rinunciare all'idea di uno stravolgimento del nostro sistema socio economico non è quindi meno illusorio che prodigarsi perché esso avvenga. Il modello di economia che abbiamo eletto sovrano non può, per sua propria natura, accettare vincoli e limiti. Nulla è impossibile per esso, meno che mai la crescita infinita, con buona pace di entropia e termodinamica. Come credere dunque che proseguire su questa strada sia meglio che batterne una nuova?
La visione di un futuro con produzione sintetica di alimenti e concentrazione della popolazione in centri urbani ad altissima densità, abbandonando gli spazi naturali a se stessi in modo che si rigenerino mi attrae anche perché tiene conto con maggiore realismo del contesto in cui viviamo. Proposte come decrescita e agricoltura biodinamica purtroppo sono fuori tempo massimo. D'altro canto è una strada che va perseguita, perché è meglio, come dice Mediavilla, decrescere meglio che decrescere peggio, visto che nella decrescita ci siamo fino al collo comunque.
Per secoli, nel nostro percorso verso la laicità, siamo stati incoraggiati a credere di avere sulla vita quel potere per secoli attribuito a dei inesistenti e oggi tale convinzione ci si ritorce contro perché ci ha resi incapaci di ritenerci parte di un unicum. Nonostante ciò perseveriamo in un delirio di onnipotenza alimentato dalla cupidigia di pochi individui molto determinati e dalla dabbenaggine, dalla disonestà, e dall'ignoranza arrogante di tanti amministratori della res publica. Come proclamò George Bush senior, il nostro stile di vita non è negoziabile. L'idolo è lì sul piedistallo. Noi siamo perfetti e in grado di fare ciò che vogliamo senza pagare dazio. Quindi chiunque pretenda un approccio realistico con problemi quali, ad esempio, il cambiamento climatico è ritenuto un disfattista.
Gray afferma che compito della scienza è determinare leggi universali indipendenti dalle convinzioni e dai valori umani. Concordo riguardo alle convinzioni. Riguardo ai valori invece sta a noi riuscire a mantenere vivi e forti principi etici e giustizia all'interno di un contesto dato per quanto difficile si presenti.
Mediavilla definisce le soluzioni di Gray rattoppi, la sua fiducia nelle invenzioni degli ingegneri illusoria. Soltanto chi è ancora convinto che le risorse siano illimitate, la più grande e deleteria utopia dgli ultimi due secoli, può pensare che tacitare gli ecologisti e affidarsi alla sola innovazione tecnologica sia la soluzione. Ma credere di poterne farne a meno è altrettanto ingenuo che credere ciecamente in essa.
Mediavilla ritiene la critica di Gray nei confronti dei movimenti ecologisti puro disprezzo ma non è proprio così. Gray analizza i fatti. Se è innegabile infatti l'importanza di sostenere i gruppi ambientalisti d'altro canto è chiaro che il loro operato è insufficiente. Non hanno il potere necessario.
Giusta, in conclusione, e l'unica che abbia veramente un senso, l'affermazione finale di Mediavilla sul fatto che stiamo comunque già decrescendo e dobbiamo solo decidere se farlo bene o male. Proteggendo la biosfera e la società o alimentando le disuguaglianze. E tocca appunto a noi decidere.

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