Ho
letto, entrambi sull'ultimo numero di luglio di Internazionale,
l'articolo di John Gray sulle illusioni degli ambientalisti e quello
di Marga Mediavilla in risposta a John Gray. Le posizioni sono
opposte. Mentre leggevo il primo, ignara di quello successivo, avevo
segnato a margine alcune considerazioni alcune delle quali ho poi in
parte ritrovato, ben argomentate, nell'articolo di risposta. Allo
stesso modo nell'articolo di Mediavilla ho trovato passaggi su cui
discutere. Ritengo che entrambi dicano cose vere ma le loro visioni
restano parziali. A mio parere i loro diversi punti di vista vanno
considerati unitamente e possono essere complementari.
Con
una buona dose di ragione Gray sottolinea l'illusorietà
dell'efficacia delle misure, apparentemente drastiche, per la
riduzione delle emissioni o l'azzeramento delle stesse entro il 2050
come proposto da alcuni Paesi dell'Unione sull'onda dei movimenti
Fridays for Future e Extinction Rebellion. Inefficaci come come tutti
i provvedimenti urgenti che puntualmente, come usanza ai summit,
vengono differiti ai decenni successivi. Misure e provvedimenti che
non tengono conto, ad esempio, di meccanismi,
quali quelli di retroazione che possono amplificare (retroazione
positiva o feedback positivo) o diminuire (retroazione negativa o
feedback negativo) gli effetti di un cambiamento e che rispondono
solo a dinamiche di convenienza elettorale.
Gli
stravolgimenti ormai sono insiti nel sistema. Né cortei di protesta
né summit alla mercé delle lobbies potranno mai determinare una
soluzione degna di tal nome. Ciò non significa che possiamo allora
fregarcene ma non possiamo nemmeno illuderci. Nostro malgrado, sit
in, manifesti, raccolte di firme, in buona parte procurano solo
autocompiacimento e non posseggono per
un'intrinseca
debolezza dei movimenti di massa la forza per scalzare il potere
offrendo una meditata e concreta alternativa. Laddove la
determinazione individuale si indebolisce nell'illusione di una
maggiore forza collettiva, al venir meno dell'impeto trascinante di
questa, essa rivela la propria debolezza. Abbracciati o nascosti dal
fiume in piena, nel lasciarsi trascinare dalla corrente si rilassa il
tono muscolare e si dimezza il potenziale d'impatto dei singoli, che
se tale rimanesse, nel sommarsi determinerebbe una potenza finale
nettamente superiore a quella normalmente riscontrabile nei movimenti
di massa. La percezione di una distribuzione del pericolo e della
responsabilità su tanti, fa sì che singolarmente si allenti
l'impegno. Nella perdita d'identità si lascia spazio al nemico,
quale che sia, ed è sufficiente una preda buttata nel mezzo della
piazza per generare scompiglio, incertezza, disgregazione.
Il
confine tra la forza derivante dalla condivisione di un obiettivo e
la perdita della determinazione individuale necessaria a
raggiungerlo, proprio a causa dell'affidarsi a un'entità più grande
ma, di fatto, acefala e pertanto inesistente, è molto sottile.
Insomma,
non c'è scampo? Dobbiamo dunque arrenderci a un futuro in cui pochi,
nelle proprie ipertecnologiche torri protese verso il cielo o sepolte
sotto terra, godranno di uno stile di vita degno e si compiaceranno
di ammirare i resti della biodiversità in asettiche oasi e riserve,
mentre il resto dell'umanità lotterà per la sopravvivenza? O
possiamo e dobbiamo ambire a qualcosa di meglio?
Dal'altro
canto attribuire però una sorta di pensiero magico agli
ambientalisti, tacciandoli di scarso realismo, è eccessivo e offende
chi tanto seriamente si dedica a cercare di risolvere le cose ed è
doveroso difendere l'operato di chi tenta con i mezzi a disposizione
di dare un impulso di movimento in direzione contraria alla tendenza
dominante.
Ugualmente
Gray ha ragione quando sottolinea che parlare di ambiente senza tener
conto della situazione geopolitica mondiale è naïf.
L'eccellente saggio di Leif Wenar affronta la questione in modo molto
chiaro ed efficace. Ma Gray sbaglia, invece, quando afferma che
l'abbandono dei combustibili fossili creerebbe solo disordini sociali
su larga scala. Gli esempi che porta sono validi e certamente sarebbe
necessario attraversare un periodo di assestamenti anche drammatici
ma ciò non è prova che la transizione a un nuovo assetto energetico
e sociale sia impossibile.
Inoltre
l'utilizzo della tecnologia per migliorare la qualità della vita
anziché per incentivare la produzione, nell'ottica di un'economia da
stato
stazionario, non
ha senso solo per i miopi. Se a ciò si aggiunge il problema
demografico, Mill diceva bene quando si augurava che i posteri
accettassero di essere stazionari prima di essere costretti a
diventarlo per necessità. Eppure, nella nostra vecchia Europa,
mentre esecriamo che altrove si prolifichi a spron battuto perché consapevoli del danno inevitabile di una popolazione in crescita
esponenziale, continuiamo a lamentarci della scarsa natalità nelle
nostre nazioni e auspichiamo un'inversione di tendenza. Eppure una
buona regola dovrebbe valere per tutti, a prescindere dall'origine
geografico culturale. E, in ogni caso, come non mi stanco di
affermare, le risorse sarebbero ancora sufficienti per tutti. Se però
l'alternativa ai fossili implica automobili elettriche per la cui
produzione serve il doppio dell'energia rispetto a una vettura
convenzionale, estrazione di metallbiocarburantii rari per le batterie, o
automobili a biofuel quindi monoculture per biocarburanti, e se per
far crescere il Pil si incendia e deforesta per coltivare mangimi per
le nostre amate bistecche, allora siamo punto e a capo. Va interdetto
tutto ciò che si accompagna all'aggettivo intensivo.
Colture
ed allevamento intensivi in primis. Ma, a quanto pare, conta solo
aumentare le esportazioni. L'unico dictat resta accumulare ricchezza.
Ribaltare tale sistema, Gray non ha torto, scatenerebbe disordini e
conflitti ma questi già ci sono e non potranno che aumentare di
intensità e diffusione. Rinunciare all'idea di uno stravolgimento
del nostro sistema socio economico non è quindi meno illusorio che
prodigarsi perché esso avvenga. Il modello di economia che abbiamo
eletto sovrano non può, per sua propria natura, accettare vincoli e
limiti. Nulla è impossibile per esso, meno che mai la crescita
infinita, con buona pace di entropia e termodinamica. Come credere
dunque che proseguire su questa strada sia meglio che batterne una
nuova?
La
visione di un futuro con produzione sintetica di alimenti e
concentrazione della popolazione in centri urbani ad altissima
densità, abbandonando gli spazi naturali a se stessi in modo che si
rigenerino mi attrae anche perché tiene conto con maggiore realismo
del contesto in cui viviamo. Proposte come decrescita e agricoltura
biodinamica purtroppo sono fuori tempo massimo. D'altro canto è una
strada che va perseguita, perché è meglio, come dice Mediavilla,
decrescere meglio che decrescere peggio, visto che nella decrescita
ci siamo fino al collo comunque.
Per
secoli, nel nostro percorso verso la laicità, siamo stati
incoraggiati a credere di avere sulla vita quel potere per secoli
attribuito a dei inesistenti e oggi tale convinzione ci si ritorce
contro perché ci ha resi incapaci di ritenerci parte di un unicum.
Nonostante ciò perseveriamo in un delirio di onnipotenza alimentato
dalla cupidigia di pochi individui molto determinati e dalla
dabbenaggine, dalla disonestà, e dall'ignoranza arrogante di tanti
amministratori della res publica. Come proclamò George Bush senior,
il nostro stile di vita non è negoziabile. L'idolo è lì sul
piedistallo. Noi siamo perfetti e in grado di fare ciò che vogliamo
senza pagare dazio. Quindi chiunque pretenda un approccio realistico
con problemi quali, ad esempio, il cambiamento climatico è ritenuto
un disfattista.
Gray
afferma che compito della scienza è determinare leggi universali
indipendenti dalle convinzioni e dai valori umani. Concordo riguardo
alle convinzioni. Riguardo ai valori invece sta a noi riuscire a
mantenere vivi e forti principi etici e giustizia all'interno di un
contesto dato per quanto difficile si presenti.
Mediavilla
definisce le soluzioni di Gray rattoppi, la sua fiducia nelle
invenzioni degli ingegneri illusoria. Soltanto chi è ancora convinto
che le risorse siano illimitate, la più grande e deleteria utopia
dgli ultimi due secoli, può pensare che tacitare gli ecologisti e
affidarsi alla sola innovazione tecnologica sia la soluzione. Ma
credere di poterne farne a meno è altrettanto ingenuo che credere
ciecamente in essa.
Mediavilla
ritiene la critica di Gray nei confronti dei movimenti ecologisti
puro disprezzo ma non è proprio così. Gray analizza i fatti. Se è
innegabile infatti l'importanza di sostenere i gruppi ambientalisti
d'altro canto è chiaro che il loro operato è insufficiente. Non hanno il potere necessario.
Giusta,
in conclusione, e l'unica che abbia veramente un senso,
l'affermazione finale di Mediavilla sul fatto che stiamo comunque già
decrescendo e dobbiamo solo decidere se farlo bene o male.
Proteggendo la biosfera e la società o alimentando le
disuguaglianze. E tocca appunto a noi decidere.
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