Raramente
scrivo recensioni di libri. Mi piace consigliare la lettura di quelli
che, per un motivo o per l'altro, possono a mio giudizio arricchire
chi legge ma ritengo non esistano recensioni esaustive. Credo sia
giusta l'asserzione che di un testo esistano tante versioni quanti
sono coloro che lo leggono. Ho però deciso di recensire, ancor prima
di leggerlo, l'ultimo romanzo di Giuseppe Conte, “Sesso e
apocalisse a Istanbul”, stuzzicata dai molti giudizi negativi che
ho sentito. Riassumendo i commenti sono stati: un testo privo di
contenuti e idee, un'accozzaglia di volgarità fine a se stesse, il
delirio di una persona con frustrazioni non più controllabili.
Ho
terminato di leggere mezz'ora fa e ho deciso di scriverne
immediatamente.
Partirei
dall'avvertenza al lettore, in cui l'autore dichiara sostanzialmente
che Io è un altro. Non si tratta, per me, di un
mettere le mani avanti o lavarsele a fronte di prevedibili critiche
ma di una chiara dichiarazione d'intenti che mi ha fatto pensare alla
teoria recitativa di Stanislavskij. Teoria che presuppone
l'abbandono dello “stato attorico”, in cui l'interprete simula
stati d'animo che non sono suoi, per arrivare a una condizione in cui l'attore cede invece se stesso al personaggio in
un'operazione di identificazione assoluta, preparata da uno studio
accurato del personaggio e del suo ambiente, al punto che lo
spettatore non potrà che vedere sulla scena il solo personaggio e
non più l'attore. Conte di riferisce secondo me a un procedimento
analogo, l'unico che potesse permettergli di raccontare ciò che
racconta senza apparire didascalico o saccente. Ha deciso di essere
specchio del mondo e il mondo è volgare. Non lo è lo scrittore.
Egli semplicemente presta se stesso e la propria capacità narrativa
a un narratore che è lui ma non è più lui.
Quanto
alla mancanza di contenuti ed idee, direi che ce ne sono in
abbondanza anche se appena accennati. Nessun approfondimento, nessun
giudizio, se non breve e lasciato scivolare qua e là, forse nella
speranza che, in questa società con deficit d'attenzione, possa
essere proprio la brevità a far attecchire un qualche spunto di
riflessione. Solo un disseminare informazioni e accadimenti con una
noncuranza che è specchio puntuale della noncuranza con cui
accogliamo ed espelliamo in gran fretta, anche per limiti di
capienza, l'eccesso di fatti che sono la nostra storia umana
contemporanea.
I
fatti di piazza Taksim e del Gezi Park, l'evolversi delle posizioni
dell'Europa nei confronti della Turchia, e della Grecia, il
capitalismo autoritario della Cina in Africa, la diaspora delle
bellezze dell'Est dopo il crollo dell'Unione sovietica, il commercio
di carne umana, il fascismo e la finanza globale, la povertà in
Russia, compensata un tempo da sogni di grandezza che culminavano nel
volo di Gagarin e oggi dal poter accedere a qualche ammennicolo
elettronico e a qualche soggiorno all'estero, il mai abbastanza
approfondito fenomeno sociale dei foreign fighters, i concetti di
fede e di purezza, di una forza vergine e di una lotta che dovrebbero
spazzare via dal mondo ogni forma di sopraffazione ed empietà e far
regnare nel mondo onore e giustizia. E, ancora, la Siria in fiamme,
il traffico di armi per Assad, di armi contro Assad, di armi per i
Curdi, di armi per il Califfato contro i Curdi, il concetto di vita
dell'universo, l'entropia, la denuncia della banalizzazione del
concetto di tragedia.
Quindi
il sesso, la cui presenza permea il libro dall'inizio alla fine. Ho
trovato un solo paragrafo che ritengo eccessivo, per il resto le
particolareggiate descrizioni di atti sessuali riflettono quella che
è l'attuale e predominante tipologia di fruizione del sesso. Non c'è
erotismo, non è eccitante. La felice scelta del verbo zoomare,
che ho incontrato nel terzo capitolo, è rivelatoria in tal senso,
apocalittica. Tutto ciò che è normalmente nascosto, intimo,
segreto, viene offerto in fotogrammi macro. Cavità, orifizi, umori.
I contatti sono tra genitali non tra persone. Chi abbia anche solo
una conoscenza sommaria dell'universo sessuale online, senza arrivare
al mondo del web sommerso che, personalmente, ho avuto modo di
sondare per una ricerca giornalistica, non potrà che riconoscerne
una fedele narrazione, a mio parere persino edulcorata. Più che di
volgarità il libro è colmo di disincanto, è un libro triste che sa
di resa. Dove non si può far altro che ricondurre l'esistenza a quel
momento in cui siamo tutti uguali come dinanzi alla morte. In cui
perdiamo identità e desideriamo solo annullarci nella materia oscura
di un tratto intestinale, nella cecità della carne.
Il
disgusto provato da diversi lettori è prova dello stato di generale
e indotta anestesia, perché tale disgusto dovrebbe essere pregresso alla lettura di un testo come questo. Dovrebbe manifestarsi quotidianamente e determinare un fermo e concreto
rifiuto delle reiterate offese nei confronti
dell'essere umano, dell'intelligenza, dell'humanitas, del pianeta,
in sintesi della vita in tutte le sue manifestazioni.
Mi
rincresce non aver letto il libro prima di partecipare alla
presentazione: avrei chiesto a Giuseppe Conte conferma o meno della
mia analisi.
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